SOCIETÀ

Guerra e pace dal Cairo a Timbuctù

L’Italia è presa nel tran tran elettorale, intanto in Africa gli scenari sono in rapida evoluzione. Dopo che le truppe maliane e francesi hanno ripreso Timbuctù e avanzano ora nel resto del Paese – i santuari e le biblioteche devastate da una furia insensata – in Egitto sembra riaccendersi la protesta di piazza, oggi contro il governo Morsi, accusato di voler imporre un regime teocratico. La Tunisia cerca faticosamente la sua via per la democrazia, tra l’enigma libico e il gigante malato algerino. Al centro il Sahara e un oceano di sabbia sempre più solcato da eserciti, trafficanti e guerriglieri, sotto l’occhio attento dei droni. Come orientarsi in questi cambiamenti repentini, che conseguenze e ripercussioni possono avere per noi? Dopo Renzo Guolo e Stefano Allievi ne parliamo oggi con Enzo Pace, sociologo delle religioni tra i massimi esperti di mondo islamico.

A due anni dal loro inizio, qual è la sua lettura delle “primavere arabe”?

All’inizio ebbi l’impressione di un importantissimo movimento di sollevazione dal basso, proveniente soprattutto dalle giovani generazioni, contro dittature che ormai si basavano quasi esclusivamente sull’appoggio dell’esercito. Il consenso popolare presente all’inizio dei processi di indipendenza, caratterizzato dall’ideologia panaraba e da figure carismatiche come quelle di Nasser, Bourghiba e Ben Bella, si era già esaurito da tempo. I nuovi movimenti però non avevano guide né programmi; sono quindi andati al potere gli unici ad avere una leadership e una visione precisa della società: i Fratelli musulmani.

Chi sono davvero i Fratelli musulmani?

Si tratta di un’ideologia nata in Egitto negli anni ’30, che ritiene che tra nazionalismo, arabo o panarabo, e marxismo la terza via sia rappresentata dall’Islam. Questo per loro significa rifugiarsi nello slogan che il Corano è la vera costituzione materiale dello stato, e che la legge coranica è la fonte del diritto. Soprattutto questa seconda affermazione è un’evidente forzatura ideologica, visto che non considera il processo lungo e complesso attraverso il quale si è formata la Sharia. Da quest’ideologia si sono poi staccati una serie di movimenti più estremi, come quello che fa riferimento al pensiero di Sayyid Qutb che, durante i 16 anni nelle prigioni di Nasser, teorizzò la possibilità di ricorrere alla lotta armata clandestina per rovesciare i regimi dittatoriali.

Qual è l’obiettivo originario di questi movimenti?

Scavalcare la modernità tornando al mito di un’ideale comunità primitiva. Da questa idea deriva ad esempio l’ideologia dei salafiti (il termine Salaf al-salihin – “antenati, predecessori” – identifica le prime generazioni di musulmani ndr). Nella seconda metà dell’Ottocento, in seguito alla colonizzazione europea, si era invece aperta una riflessione all’interno della cultura islamica, che aveva puntato sulla modernizzazione. Il problema oggi è fare i conti con la democrazia: si possono ancora giustificare palesi violazioni dei diritti umani in nome della legge coranica?

Quali sono gli scenari possibili in seguito alle “primavere arabe”?

Ne vedo almeno tre. Il primo è di un compromesso tra Fratelli musulmani ed esercito, come sta accadendo in Egitto. Un secondo è la costruzione di un “partito democratico islamico”. In questo caso il modello è la Turchia: lì l’Islam si esprime soprattutto nella società civile, tramite organizzazioni e confraternite che spesso diventano anche reti d’impresa, ogni tanto ci sono delle forzature, ma non nella costituzione turca, dove non c’è la Sharia. Oggi a questo modello si sta avvicinando la Tunisia, caratterizzata dalla presenza di una borghesia moderna e cosmopolita. Il terzo modello, che si intravvede nei nuovi movimenti di piazza, consiste in una pressione della società civile verso una società e una costituzione veramente liberali. Se si realizzasse sarebbe proprio un bell’esempio anche per gli stati vicini, a partire dall’Algeria.

E Al Qaeda che ruolo gioca Africa centro settentrionale?

Ce lo dimostra quello che sta accadendo in Mali. Al Qaeda è un cartello composto di vari gruppi autonomi, che intervengono nelle aree di crisi aiutando elementi vicini alla loro visione, che è quella di una “pulizia etnico-religiosa” delle società musulmane. Un’ideologia che vede come nemici gli occidentali, ma anche musulmani “impuri”, e che è abbracciato sostanzialmente dai movimenti wahabiti, che fanno riferimento all’Arabia Saudita. In Mali dal 1990 esiste un movimento di liberazione dell’Azawad, il nord del paese abitato dai Tuareg. Su questo conflitto si sono innestati poi i terroristi, che all’inizio hanno fornito appoggio militare ai ribelli, poi però hanno progressivamente imposto la loro ideologia, ad esempio combattendo il sufismo e alcune tradizioni locali. Per questo oggi una parte degli stessi Tuareg si sta ribellando contro Al Qaeda, come a mio avviso ha dimostrato la velocità dell’avanzata francese.

C’è il rischio che si apra un nuovo fronte di instabilità?

C’è un intero territorio, che arriva fino al Ciad e al Sudan, che è stato destabilizzato dopo il crollo di Gheddafi. Aggiungiamo che in Mali nel 2006 sono stati trovati gas e petrolio, e che nell’area è molto attiva l’intelligence americana, a partire dalla gigantesca operazione Flintlock del 2005, un’esercitazione militare congiunta tra Usa e stati africani. Intanto nelle retrovie del Maghreb opera una serie di gruppi vicini ad Al Qaeda, da Al-Shabaab in Somalia a Boko Haram in Nigeria. È quindi in corso una grossa partita in un vero e proprio scenario di guerra; questo spiega anche perché la Francia non sia isolata: gli Stati Uniti e l’Europa la appoggiano, mentre anche Cina e Russia stanno zitte.

Qual è il rapporto tra i nuovi partiti islamici e Al Qaeda?

Molti leader islamici hanno compreso che la via di Qutb non ha pagato, e che in realtà gli estremisti stanno distruggendo quello che a parole vogliono difendere. Molti all’inizio erano affascinati e dalla ribellione e dalla sfida contro l’Occidente, ma i risultati – cito le parole di esponenti islamici– sono stati una scia di sangue, che ha paradossalmente chiuso e rafforzato ancora di più i regimi dittatoriali.

Si è parlato negli ultimi giorni dei rischi di una penetrazione dei Fratelli musulmani anche in Italia.

Mi pare una costruzione di un nemico che non c’è. La stessa Ucooi, l’associazione in Italia che è considerata più vicina ai Fratelli Musulmani, oggi è composta soprattutto per lo più da giovani nati e cresciuti in Italia: persone abituate alla società occidentale, che magari dialogano con la Chiesa Cattolica e le associazioni. Sono presenti anche piccoli gruppi salafiti, che per ora sono marginali: nell’Islam europeo comunque non c’è quel monolitismo che sembra spaventare molti.

C’è il rischio di una nuova infiammata nei rapporti con l’Islam, sia a livello internazionale che interno?

Penso di no. La lezione dell’Algeria è stata tenuta presente: lì i musulmani avevano vinto le elezioni nel 1991 ma gli è stato impedito di prendere il potere, causando una guerra durata anni e costata migliaia di morti. Questa volta si è deciso invece di mettere alla prova i leader politici musulmani. Questa è secondo me la sfida di Obama: non intervenire direttamente ma provare a spingere questi paesi verso forme di democrazia, magari adattate alle loro esigenze. Spero riesca perché è l’unico modo di pacificare la zona, anche se il conflitto israelo-palestinese, finché non sarà risolto, continuerà comunque ad essere un formidabile fattore di destabilizzazione.

Daniele Mont D'Arpizio

Settembre 2012. Aboubakar Yaro, responsabile della conservazione presso la Djenne Library of Manuscripts, davanti a manoscritti coranici su legno. Si ritiene che a Djenne esistano almeno 10.000 manoscritti dal XIV al XX secolo. I bibliotecari di Timbuctù da sempre spingono per la loro digitalizzazione.

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