CULTURA

Hitchcock è fra noi

Con l’anteprima nazionale di Psycho, il 16 giugno del 1960, cominciarono davvero i Fabulous Sixties, di Alfred Hitchcock (classe 1899) e dell’America: si ridestavano alla ricerca di nuovo il regista e il Paese, l’uno dopo lustri di cadaveri eccellenti e assassini blasonati, l’altro dopo il lungo sogno dorato dalle lusinghe dell’American way of life, lunga vita e prosperità conquistata con duro lavoro. Que serà, serà aveva canticchiato fino a qualche tempo prima Doris Day, il volto di quel sogno, diretta da Hitchcock nel remake di un suo stesso film del 1934, insinuando qualche dubbio persino nell’“Uomo che sapeva troppo”.

E troppo lo era davvero, a quel punto, anche per Hitchcock: 46 lungometraggi e tre fortunate stagioni televisive (Alfred Hitchcock presents) avevano messo il regista nella condizione di dover stare molto attento a non ripetersi. Il corsivo è di Stephen Rebello, giornalista e scrittore di cinema e costume, autore di Alfred Hitchcock and making of Psycho, uscito negli Stati Uniti nel 1998, in Italia tradotto una prima volta l’anno successivo in Come Hitchcock ha realizzato Psycho. Da questo testo ricchissimo e avvincente (che fa perno su Psycho ma racconta l’America e il cinema di quegli anni parlando anche di diritti d’autore, censura, tecniche di marketing, cronaca nera) è stato tratto un film ora nelle sale italiane, Hitchcock. Firmato da Sacha Gervasi, non ha convinto del tutto critica e pubblico, nonostante il dispiegamento di un grande cast (Helen Mirren, Anthony Hopkins, Scarlett Johansson) e il formidabile appeal della materia per i cultori.

Difficile che funzioni il cinema che parla di cinema, come la letteratura che parla di letteratura del resto, mentre il libro-saggio-inchiesta di Rebello, che analizza distintamente e scrupolosamente tutti gli aspetti della genesi della pellicola più controversa di Hitchcock, inchioda il lettore fino ai “titoli di coda” compresivi di nota bio e “che ne è stato di” dopo Psycho per ognuno dei protagonisti che ha girato attorno al film, in un cast and credit lunghissimo.

Il libro parte col fatto di cronaca che nel 1957 agghiacciò il Wisconsin e ispirò a Robert Bloch, scrittore di genere (horror e science fiction), il romanzo alla base di Psycho. Il soggetto del libro che, ripreso piuttosto fedelmente dal film, sconvolse gli spettatori e mise a repentaglio la reputazione di Hitchcock, edulcora e semplifica l’orrore dei delitti realmente compiuti da Ed Gein. Il vero serial killer di Plainfield ,per intenderci, somigliava, in quanto a hobbistica macabra e pratica necrofila, molto di più al Buffalo Bill del Silenzio degli innocenti che al Norman Bates hitchcockiano.

Nondimeno, il regista ebbe un gran daffare a ingannare i censori della Motion Picture Association e la Legione della Decenza (!) distogliendoli - con l’inserimento a bella posta di inquadrature subliminali di seno nudo sotto la doccia fatale (inquadrature che finse di tagliare a malincuore) - dalla scena di apertura del film: la prima nella storia del cinema americano che esplicitamente mostri una coppia ancora a letto, con lei in lingerie, nell’atto di ricomporsi dopo un incontro amoroso. Non faticò solo con la censura, Hitchcock, ma dovette lavorare faticosamente sul suo progetto a dispetto di sceneggiatori, cast tecnico e artistico, critica, produzione, tempo. Il film fu girato in soli trenta giorni con precisione maniacale, budget ridotto e, come è noto, un sofisticato bianco e nero, che allora parve cheap, perfetto per la storia di ordinaria follia di un uomo comune, una donna comune che agiscono in luoghi comuni e riconoscibili. La normalità della cittadina di Phoenix (che negli anni 2000 è diventata teatro degli efferati omicidi della serie Medium) dove la storia ha inizio divenne centrale nella ricerca di Hitchcock: la protagonista, fatta morire a un terzo del film, doveva essere un’attrice famosa ma con l’aria di una che venisse da lì. Un posto qualunque, con decori natalizi da un lampione all’altro della via che, sfuggiti al montatore, alla segretaria di produzione e persino all’attenta Mrs Hitchcock, imposero all’incipit del film una data precisa: “11 dicembre”.  Ebbe da fare Hitchcock, incalzato anche dalla competizione con il successo de I diabolici di Clouzot, ma la spuntò su tutto, con incassi stellari, psicosi collettive del pubblico, innumerevoli tentativi di imitazione del film e in particolare della scena clou , costruita per tagli come un fumetto, dove il poco sangue (uno dei primi topping al cioccolato in circolazione) spaventa come le inarrestabili emorragie del grande Shining, il suono del coltello è quello di una lama che affonda su un melone d’inverno e i violini della colonna sonora strillano più di Janet Leigh.

Agli studios di Hollywood ancora oggi è possibile vedere il set, motel tristanzuolo più casa di mamma Bates, fulgido esempio di gotico californiano e hopperiano, e lasciarsi spaventare, facendosi anche con quattro risate, da un attore che scende giù dallo stradino brandendo un coltellaccio. Sarebbe piaciuto a Hitchcock, convinto che per apprezzare il più grande flop annunciato e smentito della sua carriera servisse soprattutto una buona dose di humour.

Dopo Psycho, Gli uccelli, che quest’anno compiono 50 anni.

Silvia Veroli

 

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