SCIENZA E RICERCA

I pini di Genghis Khan

A partire dal XII secolo, il popolo di Genghis Khan, i Mongoli, emerse dall’oscurità per conquistare in un breve volgere di tempo più di 31 milioni di chilometri quadrati, un regno sconfinato che si estende dalla Corea al Balcani. Si tratta di un’impresa epica, non solo per il periodo in cui è stata effettuata ma anche per le modalità con cui è stata portata a termine questa conquista. Ad oggi, infatti, poco si sa su questo uomo di umili origini che in circa 25 anni riuscì a unificare il suo popolo, sconfiggere tutti i suoi avversari e condurre uno sconfinato esercito alla conquista di un territorio molto più vasto di quello che i Romani avevano sottomesso in 400 anni di guerre.

La storia di Genghis Khan è talmente affascinante da indurre ancora oggi molti ricercatori a cercare di ricostruirne gli eventi. Al di là delle cronache dell’epoca, affascinanti e terribili, e degli studi sugli aspetti politici, militari ed amministrativi della conquista che si sono succeduti nel tempo, moltissime sono infatti le circostanze ancora oscure di questa vera e propria epopea. Come poterono le armate di Genghis Khan sconfiggere una dopo l’altra le maggiori potenze del tempo, cosa diede all’Orda d’Oro il suo slancio irrefrenabile, e come fu possibile per  i Mongoli gettarsi in questa incredibile impresa?

È per rispondere ad alcune di queste domande che alla Columbia e Virginia University (Tree Ring Laboratory Lamont-Doherty Earth Observatory) Neil Pederson e Amy Hessl si sono fatti promotori di un innovativo progetto multidisciplinare, avente come obiettivo la correlazione dei cambiamenti climatici con le modifiche sociali e politiche avvenute su scala secolare, con uno studio condotto in alcuni siti nella terra di Genghis Khan. I risultati della loro ricerca potrebbero avere delle notevoli implicazioni storico-scientifiche perché in grado di colmare alcune lacune presenti nei dati climatici di una regione non ancora investigata in dettaglio. Per i prossimi tre anni, grazie ad una sovvenzione di ben 1.4 milioni di dollari da parte del US National Science Foundation, gli studiosi potranno infatti effettuare vari studi in Mongolia e nelle regioni adiacenti.

Circa 8.000-9.000 anni fa, infatti, un'eruzione del vulcano Khorgo, fino allora inattivo, ebbe delle conseguenze devastanti, ricoprendo di lava tutto il territorio circostante. Oggi esso ospita varie specie arboree tra cui biancospini, rose canina e grano saraceno ma anche il pino siberiano e il larice. Alcuni di questi alberi sporgono goffamente dalle fessure delle rocce vulcaniche, mentre altri sono intrecciati formando sagome più simili ai bonsai. Proprio a motivo del loro isolamento il loro studio rappresenta un “barometro” ideale per monitorare le condizioni climatiche che si sono succedute nelle varie epoche storiche: gli alberi, infatti, recano nei propri anelli l'impronta di tali fluttuazioni climatiche.

Già nel 2010, Pederson e Hessl avevano esaminato questa regione all’interno di un progetto che esplorava il legame tra il cambiamento climatico e il rischio di incendi boschivi in Mongolia. Nel loro ultimo giorno di lavoro sul campo, erano riusciti ad estrarre 10 campioni da pini siberiani dai quali era stato possibile identificare delle informazioni risalenti al periodo di Genghis Khan. Dall’analisi degli anelli, parrebbe che nell’epoca del suo dominio si fossero verificate abbondanti piogge, ben al di sopra del livello medio osservato negli ultimi 900 anni.

Questo fenomeno potrebbe quindi essere correlato alla maggiore proliferazione di vegetazione che avrebbe favorito l’allevamento di bestiame, cuore della vita di popoli di allevatori nomadi quali i Mongoli dell’epoca erano. Con un mare d’erba rigogliosa come mai prima, si sarebbe reso disponibile molto più cibo e molti più cavalli e ne sarebbe stata facilitata una crescita demografica significativa: tutte condizioni importanti per aiutare l’ascesa del grande Khan Timujin (questo il suo nome, in origine) rendendo  possibili le sue inenarrabili conquiste. 

Ancora una volta, si conferma qui il peso della disponibilità, o scarsità, di acqua nella storia della civiltà. L’acqua ha sempre giocato un ruolo chiave nella nostra vita, tanto che esiste una correlazione chiara tra la scarsezza di questo bene primario e il crollo di imperi nell’antichità.  Lo studio quindi di come i Mongoli siano stati favoriti da un periodo di maggiori precipitazioni, e  di quanto le trasformazioni innescate nell’ecosistema dei loro territori abbiano pesato sulle società che ne traevano sostentamento potrà sicuramente aiutare a comprendere un’era di splendore e anche il suo declino.

 

Cinzia Sada

 

Reference

Science 28 September 2012: Vol. 337 no. 6102 pp. 1596-1599 

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