SOCIETÀ

I soldi della guerra di Spagna: gettati e pretesi

Cinque miliardi di lire: è la cifra del risarcimento spagnolo per la partecipazione dell’Italia alla guerra di Spagna. Il debito, definito nel 1940 tra l’allora ministro degli Esteri spagnolo, Beigbeder, e l’ambasciatore italiano a Madrid, Gambara, sarebbe stato risarcito in 50 rate semestrali, dal 1942 al 1967, ed era garantito da 5.000 buoni del Tesoro spagnolo depositati presso la Banca d’Italia a Roma. A differenza del debito verso la Germania, che venne liquidato almeno parzialmente già durante la guerra civile attraverso scambi commerciali, nel caso italiano l’entità fu maggiore e divenne oggetto di specifici accordi dopo la fine del conflitto.

Prima di entrare nel merito del pagamento del debito di Franco, va però fatto un passo indietro a tracciare un bilancio della partecipazione italiana alla guerra civile, che da un punto di vista economico-commerciale si concluse con un sostanziale fallimento. Da un lato il risarcimento pattuito con la Spagna risultava ben inferiore al valore delle forniture e delle spese sostenute dalle truppe italiane, valutato 8 miliardi e 300 milioni di lire; dall’altro le iniziative per rendere l’intervento militare fascista proporzionale alla penetrazione commerciale italiana in Spagna ebbero almeno sul breve periodo scarsa efficacia. Non solo: quella di Mussolini appare a tutti gli effetti una vittoria di Pirro, se si considera il costo alternativo rappresentato dagli uomini e dai mezzi militari che l’Italia lasciò o perse in Spagna invece di averli a disposizione all’inizio della seconda guerra mondiale: a cominciare dai quasi 800 velivoli a fronte dei 1.600 apparecchi su cui contava l’Italia nel 1940 al momento del suo ingresso nella seconda guerra mondiale.

Il governo di unità nazionale e quelli repubblicani post e anti fascisti nati dalla Resistenza ereditarono il credito di Mussolini verso il caudillo e continuarono a pretenderne il pagamento, in sostanziale continuità con il precedente regime fascista. D’altra parte, la questione del debito di guerra, prima verso Mussolini e poi verso i governi post resistenziali, va inserita nelle dinamiche politiche tra i due paesi in un periodo cruciale della storia europea e nell’ambito del quadro politico internazionale all’indomani della seconda guerra mondiale.

Quando nel dicembre 1946, il ministro degli Esteri Pietro Nenni richiamò l’ambasciatore italiano a Madrid, Gallarati Scotti, in seguito alla raccomandazione votata dall’assemblea dell’Onu di rompere le relazioni diplomatiche con la Spagna di Franco, la scelta “atlantica” dell’Italia creò un certo raffreddamento nei rapporti con la Spagna. Anche se pochi giorni dopo il proprio ritiro come ambasciatore, Gallarati Scotti informò Nenni con un telegramma che nella visita di congedo, il ministro degli Esteri spagnolo, Alberto Martín Artajo, gli aveva mostrato grande dispiacere per la decisione:

“Martín Artajo ha aggiunto sua deplorazione essere tanto più viva in quanto Spagna aver dato sincere e ripetute prove di sua buona volontà: anzitutto accettando mia missione con piena forma di accreditamento, proprio quando Nord Italia era sottoposto a Governo ligio ai tedeschi che premevano per un suo riconoscimento; aveva poi riconosciuto debito di guerra come debito fra popolo e popolo, nonostante che nell’autorevole opinione di molti esso fosse considerato come debito fra regime e regime, tanto che un deputato inglese recentemente giunto in Spagna per conto di Churchill, il signor Roberts, ricordando che la Spagna è solita tenere fede ai propri impegni, aveva accennato che ciò era avvenuto perfino con un debito di tal genere”.

Nell’anno che precedette il suo richiamo a Roma, Gallarati Scotti cercò una soluzione che potesse rendere operativo il pagamento del debito spagnolo, inserendolo di fatto in un accordo commerciale in grado di superare lo stallo in cui versava la questione. E quando ciò avvenne fu naturalmente con il beneplacito delle tre potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. Così nel gennaio del 1946, il presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, De Gasperi, poteva informare l’ambasciatore a Mosca della firma del fondamentale accordo commerciale con la Spagna:

“Abbiamo firmato […] un accordo commerciale con la Spagna per la sistemazione del noto credito di cinque miliardi di lire. La prego di spiegare a codesto Governo [sovietico] che accordo è unicamente inteso a ritogliere al regime Franco almeno parte dei risparmi del popolo italiano che gli fu a suo tempo prestata dal regime fascista. Nelle condizioni in cui ci troviamo è necessario mobilitare ogni nostro credito per sopperire ai bisogni gravi ed urgenti del Paese. Ma, ripeto, ogni interpretazione che andasse al di là di questa necessità materiale sarebbe arbitraria e falsa. Nostra posizione nei riguardi della Spagna resta quella di cui al mio telegramma n. 5019 del 7 agosto scorso anno [leggi: l’allineamento dell’Italia al fronte contrario all’ingresso della Spagna nell’Onu]”.

Il lavorìo di Gallarati Scotti, che in seguito sarebbe divenuto ambasciatore a Londra, dava alla fine i suoi frutti. (1/continua)

Andrea Tappi

La firma dell'accordo tra tra l’allora ministro degli Esteri spagnolo, Beigbeder, e l’ambasciatore italiano a Madrid, Gambara nel 1940.

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012