SOCIETÀ

Il “Data journalism”: scommessa on line per resuscitare il giornalismo

Il 17 marzo è tornato on line, in un formato completamente rinnovato, FiveThirtyEight, sito fondato da Nate Silver nel marzo del 2008. Silver è uno statistico trentaseienne che ha cominciato a scrivere di previsioni elettorali e analisi politiche per il blog Daily Kos nel 2007 per poi aprire di lì a poco il proprio blog. Qualche mese, ed è riuscito a prevedere con successo il risultato elettorale in 49 Stati su 50 nelle elezioni presidenziali del 2008, divenendo un punto di riferimento per tutti coloro che si interessano di politica americana. L’anno successivo, contando sul lavoro a tempo pieno del solo Silver e di un collaboratore, FiveThirtyEight è entrato a far parte dei blog ufficiali affiliati al New York Times e molti dei post di Silver hanno iniziato a essere pubblicati anche sulla prestigiosa edizione cartacea. Silver è stato poi di nuovo capace di azzeccare, stavolta in tutti e 50 gli Stati, il risultato delle presidenziali del 2012, ma nei mesi successivi le frizioni con la direzione del giornale hanno portato, nonostante i visitatori fossero in crescita costante  alla fine della collaborazione e all'andata off line del blog. Dopo una breve trattativa marchio e proprietà del blog sono stati rilevati da Espn, colosso dell’informazione controllato dalla Walt Disney.

Dopo oltre sei mesi di preparazione ecco la nuova veste di FiveThirtyEight: sito e non più blog, con la collaborazione di venti (giovani) giornalisti a tempo pieno. Come annunciato nell’editoriale di apertura, l’obiettivo della nuova creatura di Silver è quello di fare del data journalism, cioè di pubblicare articoli rigorosi partendo da analisi quantitative di dati. L’idea è quella del massimo approccio scientifico possibile e della necessità di giustificare coi numeri ogni tipo di analisi. Il nuovo sito non tratta solo di politica ma anche di economia, sport, società e scienza. Nella prima settimana infatti, accanto alle consuete previsioni politiche, si parlava anche dei possibili vincitori del campionato di college di pallacanestro, delle tariffe aeroportuali e perfino dell’utilità o meno dei copritazza nei wc pubblici. Il sito fa largo uso di grafici e tabelle e sfrutta, ovviamente, la massima orizzontalità del web, avendo profili Twitter, Facebook e Instagram. Grazie alle risorse di Espn dai prossimi mesi verrà anche prodotto un podcast quotidiano e saranno realizzati documentari d’inchiesta per la televisione.

Nel suo “manifesto” Nate Silver è stato esplicito: non stima il giornalismo convenzionale basato su editoriali e firme di prestigio. Sostiene che in molti casi la presunta obiettività sia in realtà sterile neutralità e deduzioni soggettive non aiutino la reale comprensione dei fenomeni. Di qui l’approccio rigorosamente scientifico di FiveThirtyEight, basato su analisi quantitative dei dati, per superare il tradizionale giornalismo d’opinione, giudicato come costantemente inquinato da faziosità, analisi aneddotiche e circoli viziosi di polemiche create ad arte. Le reazioni non si sono fatte attendere: su tutte quella del premio Nobel Paul Krugman, editorialista del New York Times, che si è sicuramente sentito bersaglio delle critiche di Silver. Secondo Krugman, oltre a peccare di superbia e a ignorare l’importanza della letteratura scientifica preesistente, l’errore dei cultori del data journalism è quello di dare per scontato che un certo corpus di dati dia per forza una spiegazione a fenomeni complessi.

Il rilancio di FiveThirtyEight non è importante solo per questo nuovo approccio all’informazione ma anche come novità editoriale in sé. L’investimento di Espn è cospicuo: al momento il sito non ospita pubblicità, ed è fruibile interamente gratis. È probabile che nelle prossime settimane appaiano i primi banner (il vecchio blog li aveva) e che vengano introdotte forme di abbonamento. Tuttavia, la proprietà punta molto sull’integrazione con la piattaforma televisiva e con la realizzazione e la vendita dei già citati documentari.

La nuova impresa di Silver si inserisce in un contesto mediatico dove l’informazione online sembra attrarre sempre più note firme giornalistiche e nuove testate web vanno a contendere mercato alle propaggini online dei giornali di qualità e delle news televisive. Pochi mesi prima di FiveThirtyEight è stato lanciato The Intercept, sito di news guidato da Glenn Greenwald, già reporter del Guardian e autore dei vari scoop sulla Nsa fatti utilizzando i documenti trafugati da Edward Snowden. The Intercept è controllato da First Look Media, società fondata dall’imprenditore dell’hi-tech Pierre Omidyar, e gode di un investimento iniziale di 250 milioni di dollari. E anche Ezra Klein, popolare editorialista del Washington Post, ha lasciato il quotidiano per fondare un proprio sito di news controllato da Vox Media.

Come per Silver, anche per questi il modello di business è più una scommessa che una certezza. Negli ultimi anni, infatti, a fronte di un continuo calo degli investimenti pubblicitari sulla carta stampata, è corrisposto soltanto un modesto incremento della pubblicità digitale. Secondo i dati della Newspapers Association of America, nel 2012 su 38,6 miliardi di dollari di entrate complessive dei giornali americani, 18,9 venivano dalla pubblicità stampata, 3,4 da quella digitale, 2,9 da altre forme di pubblicità e 10,4 dalla vendita delle copie. Nel 2011 le cifre erano state: entrate complessive 39,6 miliardi, di cui 20,7 dalla pubblicità cartacea, 3,2 dalla digitale e 10 dalle vendite.

Sebbene tutti i grandi giornali online stiano incrementando il proprio numero di abbonati, queste cifre, unite agli scarsi numeri della pubblicità digitale, non consentono però ancora un ritorno economico. Ed ecco quindi i casi di moderno mecenatismo, come il già citato Odymar, o l’accresciuta tendenza a limitare la gratuità degli articoli accessibili online: i grandi giornali americani hanno infatti ormai intrapreso la strada del modello “a pagamento”. Come, per esempio, il New York Times, dove uno stesso Ip può accedere gratuitamente a soli 10 articoli online al mese. Un passaggio verso la consuetudine al pagamento dei contenuti di Rete che sconta tuttavia resistenze ancora forti.

Marco Morini

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