SOCIETÀ

Il coming out della società veneta

C'erano famiglie dotate di nonni e bimbi, coppie, drappelli di amiche in età; soprattutto, gruppi di giovani, moltissimi. Un pubblico adeguato al luogo: il Gran Teatro Geox, a Padova, è divenuto in pochi anni uno dei siti veneti principali dello spettacolo popolare per adolescenti, under 30, vecchi ragazzi. È un palco sul quale vanno in scena divi rock, comici televisivi, commistioni classico-pop ("Bach e swing"), ma anche eventi più selettivi. L'altra sera le famiglie padovane erano riunite per un musical: Priscilla, la regina del deserto. Il film australiano da cui è tratto (regia di Stephan Elliott, 1994) è una delle pellicole-culto dell'immaginario gay contemporaneo. Racconta, con ironia e gusto della provocazione, il viaggio di tre drag queen (attori maschi che si esibiscono in abiti femminili) attraverso il deserto australiano, per raggiungere un locale dove tenere il proprio show. Con toni che alternano sberleffi e amarezza, vengono toccati numerosi punti critici dell'universo gay: le discriminazioni, l'identità, la paternità. Ma su tutto dominano il divertimento, la sfrontatezza, la gioia dell'annegare dentro nebulose di paillettes, sfoggiare costumi troppo kitsch per non sbalordire, osare doppi sensi troppo grevi per non rappresentare la rivendicazione, indisponente, del diritto a un'identità (o a una non-identità). A tutto questo assistevano, entusiaste, le famiglie: lanci di giarrettiere, atletici danzatori coperti di piume e volant, body sfavillanti che inguainavano corpi resi irriconoscibili da make up elaboratissimi e carnevaleschi. Le quattro serate-trionfo di Priscilla al Geox rappresentano al meglio come, a quasi cinquant'anni da Signore e signori, il Veneto abbia stravolto i suoi modelli. Il capolavoro di Pietro Germi dipingeva con acutezza una società basata sull'orgoglio localistico, il culto del lavoro e del denaro, ma soprattutto l'ipocrisia dei costumi ufficiali, dettati dalle istituzioni di riferimento (il binomio Chiesa-politica) e allegramente disattesi nel privato. Il trionfo di Priscilla nel cuore della provincia padovana ritrae la definitiva liquidazione dei valori tradizionalmente imposti (o vietati) dalle autorità, dello spirito o del secolo, che governavano un tempo il territorio. Ormai le città del Veneto, e Padova in particolare, offrono un'immagine quanto più lontana si possa supporre dal piccolo mondo di Germi. Oggi uno spettacolo marcatamente eterodosso, portatore di una visione di famiglia, identità, condotta personale antitetiche a quelle tradizionali, riveste una funzione di intrattenimento popolare equiparabile a quella che, nel Veneto dei decenni passati, poteva svolgere il cinema parrocchiale o il circolo ufficiali, la sagra di paese o la discoteca di provincia. La città del Santo è diventata, anche, il regno di Priscilla: è nota per la varietà dei locali destinati a incontrare ogni orientamento sessuale, ma anche sede di una tribuna che dura tutta l'estate (il Pride Village) in cui possono esprimersi serenamente, e senza contestazioni, le varie correnti dell'universo gay e transgender, con un orientamento del tutto aperto a culture e pubblici etero. Austeri alberghi della zona termale, così come locali iper-tradizionali del centro, espongono il logo Gay Friendly (e uno storico ristorante, senza troppo pensarci, lo colloca giusto accanto al marchio Animal Friendly); il consorzio di promozione turistica definisce "capitale gay del Veneto" la città dei pellegrinaggi e del connubio tra spirito e opere. La locale vocazione al commercio ha trovato, nel popolo non-etero, un bacino d'utenza da curare con attenzione: la comunicazione turistica ufficiale dispone di uno specifico sito Internet per i viaggiatori gay, con convenzioni e suggerimenti ad hoc. Pure l'offerta politica della città si è adattata, con esponenti di primo piano che rappresentano temi e valori collegati a questi ambienti, e non solo: Padova è stata tra le prime città italiane a fornire segnali politici importanti, seppure poco più che simbolici, in tema di unioni di fatto. E quanto alla presenza di altre culture, religioni, usanze, siamo in una delle zone più eterogenee d'Europa. Cosa manca, dunque, ai capoluoghi veneti per somigliare, quanto a cosmopolitismo e diversity, più alle aree metropolitane di Zurigo o Strasburgo che a una città del Maghreb? Non la mentalità, né la disponibilità di spazi, né il retroterra politico (ormai perfino i gruppi di estrema destra evitano, in genere, di polemizzare con il mondo gay). Ciò che manca in Veneto è, piuttosto, ciò che è assente dappertutto: il riconoscimento giuridico, la possibilità per chi è (o si sente) lontano dal modello tradizionale di famiglia, quali che siano le sue scelte, di ottenere tutela dalla legislazione del proprio paese. È il terreno sul quale non si è ancora disposti a cedere, a riconoscere che la propria visione non è l'unica, ed è ormai, nei comportamenti di massa, minoritaria. Trasformare una libertà di fatto in un'uguaglianza di diritto è l'unico modo perché "friendly" non sia solo la formula di qualche negozio acchiappaturisti, ma l'ordinamento di una nazione che si illude di essere moderna.

Martino Periti

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