SCIENZA E RICERCA
Non solo baci e abbracci: tra amici si condivide anche il microbioma
In quanto esseri sociali, il contatto con i nostri simili rappresenta, per noi umani, uno dei bisogni più istintivi, nonché un importante strumento per conoscere il mondo e comunicare. Una cena in compagnia, un’uscita di gruppo o una relazione affettiva: le occasioni di incontro sono tra le più varie e ognuna porta con sé fondamentali benefici come benessere psicofisico, sviluppo personale e connessione sociale. I rapporti umani si distinguono per una reciproca condivisione in cui, oltre a sensazioni e pensieri, c’è anche dell’altro che si trasmette, inosservato, da persona a persona: il nostro microbioma.
Sono sempre più numerosi gli studi che hanno sottolineato la relazione che lega rapporti sociali e composizione del microbioma umano, ovvero la totalità del patrimonio genetico che il microbiota (l’insieme dei microrganismi del corpo, concentrato per lo più nell’intestino) è in grado di esprimere.
Legami sociali e condivisione del microbioma
In particolare, una ricerca pubblicata su Nature nel 2024 ha preso in esame i rapporti sociali tra gli abitanti di 18 villaggi in Honduras per analizzare questo legame. La scelta di questo luogo di ricerca era ottimale: un ambiente isolato, caratterizzato da strette interazioni fisiche tra le persone e un'esposizione minima a cibi processati e antibiotici, molto diffusi nei Paesi industrializzati, il cui impatto sul microbioma umano è noto. I risultati hanno ribadito come le interazioni sociali aumentino il tasso di condivisione dei microrganismi intestinali tra le persone, modificandone la composizione sia a livello individuale che di popolazione.
La ricerca, condotta su un campione di 1.787 adulti, ha sottolineato come il tempo passato insieme agli altri rappresenti uno dei principali fattori di veicolazione del nostro microbioma. Stretta vicinanza fisica e condivisione dei pasti, infatti, sono le principali vie di trasmissione, seppure non le uniche: anche il modo in cui ci salutiamo influisce su questa dinamica. Le persone che si salutano con un bacio sulla guancia, ad esempio, hanno la percentuale più alta di microbioma condiviso fra persone non conviventi.
Gli studiosi hanno dimostrato come questa trasmissione derivi non solo da rapporti familiari o domestici, ma anche da relazioni sporadiche tra individui non strettamente connessi. I soggetti che vivono nella stessa casa condividono quasi il 14% dei ceppi microbici all’interno dei loro intestini; questa percentuale si attesta a circa il 10% tra chi abitualmente passa del tempo insieme, e al 4% tra chi vive nello stesso villaggio ma non si incontra frequentemente. Più le persone interagiscono, quindi, più simile sarà l’insieme dei loro microrganismi intestinali.
Lo studio ha anche evidenziato come le persone che si trovano al centro delle reti sociali (gli individui più “popolari”) abbiano un’esposizione maggiore allo scambio interpersonale di microrganismi rispetto alle persone che vivono alla periferia della comunità. Tuttavia, i ricercatori hanno riscontrato vere e proprie catene di trasmissione del microbioma, che coinvolgono non soltanto persone che si frequentano direttamente, ma anche individui legati tra loro in modo indiretto: una condivisione di secondo livello, quindi, trasmessa di conoscente in conoscente.
Nel progettare la parte sperimentale della ricerca, gli studiosi hanno deciso di mettere alla prova la veridicità della correlazione individuata tra relazioni interpersonali e condivisione dei microbi intestinali provando a predire i rapporti sociali tra gli individui proprio a partire dalla percentuale di specie microbiche condivise tra questi. Coerentemente con gli altri risultati, è emerso che il tasso di condivisione del microbioma è predittore non solo dell’esistenza di rapporti sociali tra le persone considerate, ma anche del tipo di legame (ad esempio, familiare o amicale) che le unisce, al di là delle loro caratteristiche sociodemografiche come ricchezza, educazione o religione.
Il microbioma è trasmissibile?
Questo studio, ultimo di una serie di lavori che stanno contribuendo a ripensare il modo in cui concepiamo il nostro “ecosistema interno”, sposta in avanti le conoscenze in quest’ambito. Infatti, se il nostro microbioma è trasmesso non solo tra madre e figlio (la prima colonizzazione del corpo umano da parte dei microrganismi che vivono al suo interno avviene con il passaggio attraverso il canale del parto) e attraverso contatti interpersonali strettissimi e molto prolungati (come nel caso della coppia coniugale), questo significa che finora la sua trasmissibilità è stata fortemente sottovalutata.
I risultati di questa ricerca dimostrano che scambiamo microrganismi in quasi tutte le nostre interazioni quotidiane, non soltanto con i nostri familiari e i nostri conviventi, ma anche con altri membri della nostra cerchia sociale con cui abbiamo relazioni più rade. Avere consapevolezza di questo canale di trasmissione ha una rilevanza non solo teorica, ma anche immediatamente pratica, soprattutto in ambito medico.
Si sa, infatti, che il microbiota svolge un ruolo importante per diverse funzioni fisiologiche: è stato dimostrato che contribuisce alla funzionalità del sistema immunitario, ha legami con il funzionamento cerebrale, ed è ovviamente centrale per il funzionamento dell’apparato gastrointestinale. Ma il microbiota è centrale anche per comprendere alcune patologie: sono diverse le malattie non trasmissibili per le quali è stato riscontrato un legame con l’ecosistema microscopico che vive dentro di noi. Sempre più indizi, ad esempio, suggeriscono che l’obesità abbia una componente microbica, così come il diabete - per lo sviluppo del quale l’obesità è uno dei principali fattori di rischio. Se, dunque, una determinata composizione del nostro microbiota intestinale può aumentare o diminuire in modo significativo la probabilità di sviluppare determinate malattie (note, tra esperte ed esperti, come non trasmissibili), potrebbe non essere così assurdo che lo scambio interpersonale dei nostri microrganismi intestinali possa contribuire a trasmettere - anche se in modo indiretto - queste malattie.
È stato già osservato che, tra individui conviventi (ad esempio, una coppia), la composizione del microbiota intestinale tende ad essere sempre più simile: questo significa che, laddove uno dei due individui abbia un microbiota disbiotico - caratterizzato, cioè, da aspetti non funzionali - è più probabile che anche il microbiota dell’altro presenti caratteristiche simili, con le relative conseguenze sulla salute.
Insomma, il trasferimento di parte dei nostri microbi può avere un’influenza diretta sul nostro fenotipo, condizionandone l’espressione e le caratteristiche. E, se è vero che questa influenza non si esercita solo nelle nostre cerchie sociali più ristrette - la famiglia - ma anche in quelle più estese, allora ciò significa che siamo molto più interconnessi e interdipendenti con gli altri membri delle nostre reti sociali di quanto potessimo immaginare.
Come sottolineano gli stessi autori della ricerca, tuttavia, ci sono dei caveat da tenere a mente. Ad esempio, nel condurre questo tipo di studi, è particolarmente difficile riuscire a discriminare tra le diverse fonti di “contaminazione” del microbiota intestinale: “Pur tenendo sotto controllo fattori come la dieta, l'uso di farmaci e l'acqua, e pur disponendo di dati longitudinali per alcune analisi, non è possibile - con i soli dati osservazionali - distinguere completamente se la fonte sia l'ambiente condiviso o una vera e propria trasmissione. Tuttavia, la specificità genetica dei ceppi è coerente con la trasmissione [umano-umano], soprattutto alla luce del fatto che alcune delle specie trasmesse sono specifiche dell’ospite umano”.