Quando andiamo a fare la spesa, scegliamo gli alimenti non solo in base al loro gusto, ma anche in base alle loro proprietà organolettiche e ai benefici che il loro consumo può apportare alla nostra salute. È sempre più alta, infatti, la consapevolezza dell’importanza che il cosiddetto “mangiare sano” ha per mantenersi in buona salute. Ciò di cui, forse, si ha ancora poca contezza è perché alcuni alimenti siano più salutari di altri.
Negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha ampliato le nostre conoscenze su questo tema, mettendo in luce che contribuiscono alla qualità di un prodotto alimentare non solo le sue caratteristiche intrinseche, ma anche i microrganismi che vivono al suo interno o sulla sua superficie.
In particolare, ad essere indagato dagli studiosi è il cosiddetto “microbiota edibile”, cioè la comunità di batteri e altri microrganismi che, quando ingeriti tramite il consumo di verdura e frutta cruda, contribuiscono alla ricchezza e all’equilibrio del microbiota intestinale umano.
Conoscere quali batteri abitano sulla frutta e sulla verdura consumate crude è importante per i consumatori, che hanno così la possibilità di scegliere più consapevolmente cosa mangiare, e per i produttori, che possono investire nella produzione di alimenti con proprietà benefiche per la salute.
In uno studio attualmente pubblicato come pre-print nell’archivio BioRXiv, un gruppo di biologi delle università di Padova e Torino ha riportato i risultati di un esperimento grazie al quale è stato possibile studiare in modo approfondito il microbiota edibile che alberga sulle foglie di diverse varietà commerciali di lattuga. L’insalata, infatti, è tra i vegetali più comunemente consumati a crudo, ed è perciò interessante conoscerne più in dettaglio non solo le proprietà nutritive intrinseche ma anche quelle estrinseche, costituite dalla sua flora batterica.
Lo studio, realizzato mediante la coltivazione in campo di moltissimi esemplari e la successiva analisi della diversità batterica presente sulle foglie di insalata, ha restituito risultati molto interessanti.
Per la seconda fase dello studio, i ricercatori hanno deciso di replicare l’esperimento non più nelle condizioni controllate di un rigoroso esperimento scientifico, ma aumentando il livello di variabilità delle condizioni ambientali. Per farlo, hanno elaborato un progetto di citizen science, intitolato Citizen Salad, che vedrà protagonisti i comuni cittadini: sostenendo la ricerca, circa un centinaio di partecipanti potranno coltivare in casa due diverse varietà di lattuga, e questi esemplari casalinghi saranno il punto di partenza del nuovo sforzo di analisi del microbiota edibile.
C’è vita sulle foglie di lattuga
Arianna Capparotto, dottoranda al Dipartimento di Biologia dell’università di Padova e prima autrice dell’articolo scientifico, spiega da quale idea sia nato questo progetto: “Abbiamo iniziato a studiare le insalate tre anni fa, con l’inizio del mio dottorato. Avevamo a disposizione 131 genotipi di lattuga, e inizialmente ci siamo chiesti se, a partire da questo insieme di dati, fosse possibile individuare le varianti geniche responsabili dell’associazione di particolari specie batteriche con il micro-ecosistema fogliare di queste piante”.
Ma, come spesso accade quando si fa ricerca, con i primi risultati sono cambiate anche le domande da porsi e gli obiettivi da raggiungere. “Abbiamo notato – spiega la ricercatrice – che la componente genica non era l’unico fattore importante nel determinare le associazioni batteriche, ma c’era un’altra componente che aveva forse un ruolo ancora più centrale: la morfologia della pianta, e in particolare della foglia. Conducendo l’esperimento, infatti, abbiamo notato che proprio la forma delle foglie ha un ruolo chiave nel determinare quali batteri colonizzano la foglia stessa, e di conseguenza quali batteri introduciamo nel nostro corpo tramite l’alimentazione”.
Alla luce di questa nuova priorità, si è organizzato l’esperimento con l’obiettivo di individuare eventuali correlazioni tra le variazioni nella morfologia fogliare delle piante e una diversa composizione del microbiota edibile presente sulle foglie. Definire le modalità dell’esperimento in campo tenendo conto di tutti i fattori di variabilità ambientale è stato complesso, come ricorda Capparotto: “Abbiamo dovuto realizzare un esperimento su larga scala – avevamo 9 repliche per ognuno dei 131 genotipi a nostra disposizione, e dunque circa 1200 piante da coltivare – che tenesse adeguatamente in conto il “rumore di fondo” dato dalla grande variabilità ambientale, che può influire molto sulla composizione delle comunità batteriche. Il fatto che, nonostante queste difficoltà, siamo riusciti ad ottenere risultati statisticamente significativi ci dà una misura della validità del set-up del nostro esperimento, che si distingue per il suo carattere innovativo”.
I risultati ottenuti dal campionamento delle singole foglie di insalata e dall’analisi del microbiota che abitava su ognuna di queste sono molto interessanti: i ricercatori hanno riscontrato che, nonostante la rilevante esposizione delle piante a fattori ambientali, una parte significativa della diversità batterica (quasi il 15%) è risultata correlata con caratteristiche morfologiche intrinseche della pianta, come la struttura del cuore della pianta (la sua parte più interna), la forma e l’altezza del cespo, e le venature delle foglie.
Marco Giovannetti, ricercatore al Dipartimento di Scienze della vita e Biologia dei sistemi dell’università di Torino e coordinatore della ricerca, sottolinea la rilevanza di questo risultato: “Nei decenni recenti, abbiamo aumentato molto le nostre conoscenze riguardo alle interazioni fra piante e microrganismi a livello della radice, dove ci sono simbiosi che hanno permesso la conquista delle terre emerse da parte delle piante; conosciamo i dettagli molecolari di queste interazioni; c’è una selezione costante, un riconoscimento tra pianta e microrganismi di cui abbiamo una consapevolezza molto definita a livello molecolare. Invece, per quanto riguarda la foglia, si sa che nel definire quali microrganismi si trovano sulla foglia sono preponderanti le variabili ambientali: la temperatura, l’umidità, la vicinanza ad altre foglie, i batteri presenti nell’aria e nel suolo. Con questo lavoro riusciamo a dimostrare che, in realtà, una parte di quei batteri, che arriva fino al 15%, è regolata da componenti che noi possiamo manipolare abbastanza semplicemente: ad esempio, conoscendo qual è la morfologia fogliare possiamo incrementare o diminuire la diversità batterica”.
Microbiodiversità sul balcone di casa
Ma, nella scienza, a sanzionare il successo di un esperimento e il valore dei suoi risultati è la replicabilità e la conferma indipendente: è per questo che i ricercatori si sono posti l’obiettivo di ampliare la quantità di dati da analizzare. Per farlo, hanno avviato Citizen Salad, un progetto di citizen science che mira a trovare un sostegno – economico, ma anche scientifico – nei cittadini: questi, in cambio di una donazione, possono diventare coltivatori di due varietà di insalata che, una volta cresciute, andranno ad alimentare il dataset sul microbiota fogliare di questa verdura.
“Il nostro obiettivo – approfondisce Giovannetti – è valutare l'ipotesi emersa dalla ricerca: che varietà diverse ospitano batteri diversi, in relazione alle loro variazioni morfologiche. Ma per valutare questa ipotesi abbiamo bisogno di metterla alla prova in un setup più ampio e diffuso, con l’obiettivo di capire se, anche con la maggiore variabilità data dalla varietà di condizioni di crescita delle singole piante, si osservi lo stesso cambiamento nella composizione della comunità microbica che abbiamo registrato nel primo esperimento. Inoltre, non ci limiteremo a sequenziare soltanto il microbiota presente sulla superficie fogliare, ma analizzeremo anche quello presente nei suoli di crescita della pianta, per testare anche l’ipotesi – molto condivisa nella comunità scientifica – secondo cui gran parte dei microrganismi che si trovano sulla foglia provengono dal suolo”.
Ma il progetto di citizen science non mira unicamente ad ampliare e rafforzare l’esperimento scientifico: tra gli obiettivi dichiarati del progetto vi è anche la sensibilizzazione del pubblico verso due argomenti – due mondi – molto trascurati e poco conosciuti: quello dei microrganismi e quello delle piante. “La nostra società – afferma Giovannetti – è affetta da una sorta di plant blindness, una cecità nei confronti del mondo vegetale, della sua complessità e della sua importanza per il nostro benessere e la nostra salute. Vogliamo indirizzare l’attenzione del pubblico verso il mondo degli organismi microscopici, sottolineandone il ruolo benefico, provando a dipingerli non solo come rischio, ma anche come potenziale risorsa per la nostra salute; al tempo stesso, vogliamo provare ad abbattere il muro della plant blindness, mettendo in luce la complessità e la bellezza del mondo vegetale”.
Questo studio ha anche una ricaduta pratica: conoscere quali microrganismi arricchiscono i cibi che mangiamo può essere utile sia per i produttori, che possono pianificare di conseguenza i prodotti che vogliono portare sul mercato, sia per i consumatori. Come sottolinea Arianna Capparotto, “Uno degli obiettivi a cui miriamo è diffondere la comprensione di quel che mangiamo non solo a livello di nutrienti, ma anche in termini di microrganismi. Speriamo che in futuro le persone, quando dovranno scegliere la loro varietà di lattuga al banco del supermercato, non basino la loro scelta solo sul gusto, ma anche sulla consapevolezza dei microrganismi che popolano quell’alimento e sul loro valore per la nostra salute”.