SOCIETÀ
Immigrazione e xenofobia all’ombra delle Olimpiadi
Mosca. Un momento di pausa per un lavoratore immigrato, in costume da "Lutnik" (eroe dei cartoni animati) per distribuire volantini pubblicitari vicino a una stazione della metropolitana. Foto: Reuters/Denis Sinyakov
I giornalisti affluiti a migliaia a Sochi per le Olimpiadi invernali hanno passato tutti i primi giorni di permanenza a ironizzare sulle strutture incomplete o mal funzionanti della città sul Mar Nero ma non si sono chiesti chi avesse realizzato a tempo di record gli impianti sportivi. La domanda è invece importante per capire dove va la Russia di Putin, che è sull’orlo di una crisi politica dovuta alle politiche di immigrazione, a loro volta frutto del declino demografico seguito allo scioglimento dell’Urss nel 1991.
Sono operai kirghisi, uzbeki, kazaki, ceceni quelli che lavorano nei cantieri, così come sono tagiki i tassisti abusivi, a Mosca come a Sochi. Il bacino di reclutamento sono le repubbliche asiatiche un tempo inserite nell’Unione Sovietica e, negli ultimi 23 anni, rimaste in preda di satrapi capaci di perfezionare il controllo sul potere ma non di avviare un qualsiasi sviluppo economico se non quello basato sullo sfruttamento del petrolio, come in Azerbaigian. Se a questo aggiungiamo le guerre civili come in Tagikistan o i conflitti su larga scala, come quelli tra armeni e azeri e tra russi e ceceni si comprende facilmente perché il relativo risollevarsi dell’economia russa negli ultimi anni abbia attirato, secondo uno studio dell’Onu, una massa di ben 11 milioni di immigrati, il numero più alto del mondo, con l’eccezione degli Stati Uniti.
In realtà, la popolazione immigrata è sicuramente superiore perché dalle statistiche sono esclusi i migranti temporanei e quelli illegali che contano sui clan di origine già installati in Russia (come la celebre mafia cecena) e sulla complicità di imprenditori e poliziotti corrotti per trovare lavoro. Secondo Ben Judah, dello European Council on Foreign Relations, “interi settori dell’economia sono dipendenti dal lavoro a basso costo di immigrati non registrati; una strategia deliberata per massimizzare i profitti evitando i salari più alti chiesti dai lavoratori russi”. Immigrati che vivono in condizioni spesso subumane, a decine in un appartamento o una cantina.
L’interesse dei costruttori a importare questi moderni schiavi si accentuerà nei prossimi anni perché nei prossimi anni si vedranno le conseguenze della mancanza di nascite negli anni Novanta. Oggi la popolazione russa è di 142 milioni di abitanti, nel 1992 era 149 milioni, ma per il 2030 le previsioni della Banca Mondiale sono di un nuovo calo, in particolare degli adulti in età di lavoro: se nel 2013 erano 100 milioni, fra 16 anni saranno soltanto 86 milioni. Un “buco” demografico che potrà essere colmato solo dagli immigrati dalle repubbliche asiatiche.
Una Russia multietnica? Al contrario, l’arrivo di questi nuovi potenziali cittadini sta già facendo della xenofobia un sentimento sempre più diffuso, che Putin avrà difficoltà a controllare, soprattutto a causa del fatto che i migranti sono di religione islamica mentre il suo regime in questi anni ha adottato una versione nazionalista e autoritaria del cristianesimo ortodosso, come si è visto nel caso delle Pussy Riot. Gli incidenti, i raid notturni di naziskin, gli scontri fra tifosi di calcio sono all’ordine del giorno almeno da quattro anni, quando un ultrà dello Spartak Mosca fu ucciso, apparentemente da un ceceno. Da allora sono nati vari gruppi di vigilantes e le violenze si sono moltiplicate: nell’ottobre scorso, a Mosca, c’è stato un vero e proprio pogrom contro i migranti nel quartiere di Biryulyovo mentre, secondo il centro di informazione Sova, in gennaio ci sono stati stati almeno 11 aggressioni, un omicidio e vari vandalismi ai danni di immigrati. I gruppi di estrema destra più attivi mantengono ambigui rapporti con la polizia.
È in questa atmosfera che è cresciuto il peso politico di Alexei Navalny, nel 2013 candidato a sindaco di Mosca, un oppositore di Putin erroneamente percepito in Europa come un campione della lotta alla corruzione, in realtà un nazionalista “grande-russo”, profondamente xenofobo. La sua critica a Putin è che permette l’immigrazione di massa e, con essa “l’islamizzazione” della Russia, oltre che l’infiltrazione delle mafie caucasiche. Il suo relativo successo nelle elezioni del settembre scorso (27%) ne ha fatto il leader dell’opposizione, ma si tratta di un leader che vuole tenere fuori della porta i migranti provenienti dal Caucaso e dall’Asia: l’84% dei russi apparentemente è d’accordo con lui. È solo questione di tempo prima che altri pogrom scoppino e che gli immigrati ne siano le vittime.
La questione delle nazionalità, mai risolta nell’Unione Sovietica (il libro del 1978 di Helène Carrère d’Encausse L’empire éclaté previde accuratamente la dissoluzione dell’impero avvenuta nel 1991) si ripropone oggi nella sola Federazione russa, rendendo più fragili e irrealistiche le ambizioni di Putin di consolidare una nuova “sfera d’influenza” in Asia e in Ucraina.
Fabrizio Tonello
Krasnaja Poljana (40 chilometri da Sochi), settembre 2013. Immigrati dormono in macchina. Foto: Reuters/Maxim Shemetov