SOCIETÀ
Kennedy, un giudizio storico per il presidente più amato
Una foto del 1961 ritrae il presidente Kennedy di spalle all'interno dello studio ovale. Foto George Tames/The New York Times/contrasto
L’attenzione dell’opinione pubblica americana non l’ha mai abbandonato, anche quando si concentrava soprattutto sugli aspetti glamour della sua vita privata o su nuove ipotesi legate al suo omicidio. Ancora a 50 anni dall’assassinio di John Fitzgerald Kennedy resiste il mito della sua popolarità, la più alta durante lo svolgimento del mandato presidenziale, superiore di quasi 20 punti a presidenti più recenti e molto popolari come Reagan e Clinton. Le ragioni di questo perdurante innamoramento sono molteplici e hanno a che fare con la sua drammatica uscita di scena, con una efficace abilità comunicativa e di costruzione dell’immagine e con l’incarnare anche fisicamente un’epoca di speranze e di progresso per la quale tanti americani provano nostalgia. Alla popolarità di Kennedy hanno poi contribuito il “romanzo” familiare, Hollywood e anche tutte quelle speculazioni sulla sua fine che hanno mitizzato più o meno volontariamente la sua figura. E le sue decisioni? I suoi provvedimenti legislativi? La sua eredità storica e politica? Qui l’analisi della presidenza Kennedy si fa più controversa ed emerge una significativa, profonda divergenza tra il giudizio popolare e quello degli storici.
In ambito scientifico, infatti, la presidenza Kennedy ha sempre ricevuto giudizi contrastanti e mai viene menzionata tra le migliori amministrazioni della storia americana. Conosciamo la passione per i numeri degli americani, disposti a cercare di valutare statisticamente qualsiasi tipo di disciplina. Dallo sport allo spettacolo alla politica, la vita sociale americana sembra sempre destinata a essere inquadrata in graduatorie di merito. E a questa caratteristica non sfuggono gli ex presidenti. Secondo gli studiosi presidenziali, la valutazione complessiva di Kennedy è “discreta” e a oggi viene considerato tra la decima e la quindicesima posizione dei migliori presidenti di sempre. Ovviamente queste valutazioni risentono della distanza dagli eventi e dell’evoluzione del giudizio storico degli stessi. Certo è che, unanimemente, i migliori presidenti vengono considerati (in ordine sparso) Washington, Lincoln e Franklin D. Roosevelt. Kennedy risulterebbe dietro a Wilson, Truman e sorprendentemente anche Eisenhower, mentre l’opinione degli storici su presidenti recenti ,e ancora oggetto di dibattito politico contemporaneo come Reagan, risulta molto variabile.
A Kennedy viene rimproverata la decisione di incrementare l’impegno americano in Vietnam, la figuraccia dello sbarco anticastrista alla Baia dei Porci e il fallimento di alcune sue iniziative di “imperialismo civilizzatore” quali l’Alleanza per il Progresso con i paesi dell’America latina - che in seguito favorirà prese di potere dei militari e l’instaurazione di regimi autoritari in Guatemala, Ecuador e Argentina - e l’esperimento perdente dei villaggi strategici in Indocina, che in realtà rafforzerà poi il sostegno popolare dei contadini sudvietnamiti ai vietcong. Anche la gestione della crisi dei missili di Cuba, un tempo giudicata come il suo maggior successo, è oggi rivista in modo più critico: gli Usa si impegnarono anche a smantellare i propri missili in Turchia e soprattutto legittimarono la presenza di un regime comunista a poche decine di miglia dalle coste della Florida.
Vi è quindi una netta cesura tra il giudizio degli storici e l’opinione popolare, divergenza che ha la sua origine proprio nella popolarità della figura di Kennedy, così mediatizzata e popolarizzata, talvolta a sproposito. Sul tema si è esercitato anche il New York Times, in un articolo dove viene messo in luce come l’immagine di JFK sia cambiata anche nel modo in cui viene riportata nei libri scolastici, arrivando a ipotizzare come il Kennedy eroicizzato conosciuto sui banchi di scuola dagli studenti negli anni Sessanta sia molto diverso da quello che conoscono i loro nipoti nelle scuole americane di oggi. Anche nei testi scolastici il simbolo di libertà e speranza ha lasciato spazio a giudizi più critici e meditati. È quindi lecito attendersi, anche in virtù di questo orientamento dei testi scolastici, un progressivo decadimento della popolarità di JFK anche presso il grande pubblico.
Marco Morini