SOCIETÀ

La contessa troppo ambiziosa che portò il Tirolo in Austria

In tempo di vacanze, l’Alto Adige è divenuto, negli ultimi anni, meta gettonata dagli italiani che, dovendo spender poco, non arrischiano viaggi oltre confine. Eppure andare in Sudtirolo mantiene intatto il fascino della vacanza all’estero: lì i cartelli stradali sono – anche - in tedesco, gli autoctoni parlano -principalmente- tedesco (più esattamente dialetto tirolese), il cibo ha profumi stranieri di cipolla stufata nel burro, cumino, carni affumicate oltre ad esibire nomi esotici (Knödel, Schlutzkrapfen, Herrengröstl ecc.) che oggi anche il turista proveniente dal resto dell'Italia ha imparato a decifrare (canederli, mezzelune agli spinaci, spadellata di carne). La sensazione è quella di trovarsi in una propaggine dell’Austria più che agli estremi confini d’Italia: un’impressione che non è così infondata se si pensa che per quasi seicento anni (dal 1363 al 1919) l'identità storica locale è stata determinata dal legame con l'Austria.

Sebbene, infatti, nel 1525 i contadini anche qui – sotto la guida del sudtirolese Michael Gaismayr, autore della celebre "costituzione" egualitaria – abbiano condotto la loro guerra contro la nobiltà e gli Asburgo (e contro la chiesa), l'eroe del Tirolo, la figura patriottica per eccellenza, le cui gesta sono tutt'ora celebrate e raccontate a ogni bambino è Andreas Hofer (1767-1810), comandante degli Schützen, le milizie locali insorte nel 1809 contro Napoleone e i suoi alleati bavaresi "per Dio, l'imperatore e la patria", vera icona della fedeltà all'Austria.

Se queste sono vicende storiche note, pochi però sanno come avvenne il passaggio del Tirolo alla casata degli Asburgo nel 1363, ed è questo il tema di una recente mostra a Castel Roncolo (Bolzano) intitolata “La cessione coatta”.

Responsabile fu, guarda caso, una donna: Margareta Maultasch, forse la figura femminile più nota di tutta la storia del Tirolo, il cui soprannome - letteralmente “bocca a borsa” o “bocca larga”- allude secondo alcuni alla sua bruttezza, (celebre il disegno “a sanguigna” attribuito a Leonardo da Vinci che la ritrae bruttissima), smentita però da altre fonti. E indubbiamente non giovò alla sua fortuna presso i cronisti del tempo l'avere – lei donna – ripudiato ed esiliato dalle sue terre il primo marito per liberarsi da un'alleanza scomoda, affrontato una scomunica per il nuovo matrimonio contratto prima che il precedente fosse annullato e visto la morte del secondo marito e del figlio, ai quali sopravvisse mantenendo in sua mano il potere sulla contea.

Discendente dei conti di Carinzia-Tirolo, senza fratelli maschi che potessero portare avanti la casata, venne data in sposa a soli dodici anni, nel 1335, a Giovanni Enrico di Lussemburgo, più giovane di lei di quattro anni. Già nel 1340 però Margareta organizzò una rivolta contro i Lussemburgo, probabilmente d’accordo con l’imperatore Ludovico il Bavaro, oltre che con la nobiltà locale, che fu rapidamente sedata da Carlo di Lussemburgo, cognato della contessa e futuro imperatore: i nomi dei cospiratori vennero estorti con la tortura e Margareta fu segregata agli arresti domiciliari.

Passato un solo anno, la contessa ripudiò il marito facendogli trovare sbarrato, al ritorno da una battuta di caccia, il portone di Castel Tirolo, residenza ufficiale dei conti del Tirolo nei pressi di Merano, e si unì in matrimonio a Ludovico di Brandeburgo, figlio dell’imperatore Ludovico il Bavaro, della casata dei Wittelsbach. Fu proprio quest’ultimo, scomunicato molti anni prima, a celebrare il “divorzio civile”, perché il Papa, in conflitto con l'imperatore, rifiutava di farlo e il vescovo di Frisinga, sostenitore dell’imperatore e disponibile a svolgere l’incombenza, morì incidentalmente lungo la strada.

I filosofi Marsilio da Padova e Guglielmo d’Ockham, ospiti alla corte di Ludovico, discussero in un trattato la questione matrimoniale tirolese per difendere contro il papato l’operato dell’imperatore, che si arrogava, sancendo un divorzio, un diritto riservato alla chiesa, ma pare che Ludovico il Bavaro, nel discorso che accompagnò la procedura, non si sia attenuto ad alcuna delle tesi da loro proposte.

Ci vollero dodici anni perché giungesse da Avignone la tanto agognata indulgenza papale a sanare la scomunica, mettendo fine alle disgrazie che "per punizione divina" colpirono la contea, come l’epidemia di peste del 1348: sarebbe potuta finire così, e la “viziosa” Margareta non si sarebbe forse guadagnata la fama che ebbe nel corso dei secoli successivi.

Invece il proto-umanista fiorentino Filippo Villani, vissuto all’epoca dei fatti, ci fa sapere che le morti del marito Ludovico, nel 1361, e del figlio Mainardo due anni dopo, avvennero per sua mano. Narra infatti che la contessa abbia fatto avvelenare (cosa abbastanza diffusa all’epoca) il consorte dopo essere stata scoperta in flagrante tradimento con Konrad Von Fraunsberg e che poi, due anni dopo, abbia ella stessa offerto il bicchiere fatale al figlio, che la accusava insistentemente dell’omicidio del padre.

L'accusa non ha fondamento storico provato, ma è un dato accertato che, dopo la morte del consorte, Margareta si sia recata alla Dieta di Norimberga dall’imperatore Carlo IV, fratello di quel primo marito che aveva ripudiato, per invocarne il sostegno nella contesa che la vedeva in opposizione al figlio. Risulta sospetto, poi, il documento - con data antecedente alle due morti - in cui si impegna a cedere la contea agli Asburgo, e non ai Wittelsbach, dinastia del consorte, qualora lo sposo e il figlio fossero venuti a mancare, e ancor più sospetto è il fatto che sul documento (in mostra a Castel Roncolo) il sigillo sia fissato alla pergamena con il filo rosso e verde della cancelleria degli Asburgo.

Si tratta chiaramente di un falso retrodatato, coevo probabilmente del documento con cui la contessa, nel gennaio 1363, cedeva in forma fiduciaria il Tirolo a Rodolfo IV d’Austria, e nove mesi dopo rinunciava alla reggenza in vita ritirandosi a Vienna, dove morì sei anni dopo, in monastero, lontana dalle sue terre; l'unica cosa certa è che la lunga partita della contessa di Tirolo per mantenere i suoi possedimenti, stretti fra potenze molto maggiori, ebbe termine così.

Inspiegabile parve allora, e tuttora pare, la decisione di Margareta Maultasch di cedere i possedimenti alla casata Asburgo, tanto da giustificare quel "coatta" nel titolo della mostra; ma con quell'atto a lei di fatto si devono le radici austriache di una terra, che oggi è in parte Italia, ma che nella coscienza e nella storia parla tedesco. Non è questa, però, per fortuna, la ragione per cui è stata sempre dipinta con fattezze orribili, anche se la sua vita sarebbe di certo potuta diventare il libretto di un’opera wagneriana.

Valentina Berengo

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