SCIENZA E RICERCA

L'archeologia come strumento di pace per l'Iraq

Chissà che la cultura non riesca dove sono fallite le armi più efficienti al mondo. Sono passati 10 anni dalla seconda guerra del Golfo e l’Iraq tenta faticosamente di tornare a un barlume di normalità, pur nel complesso e tormentato scenario del Medio Oriente. È in questo contesto che le autorità della provincia del Thi Qar – dove sorgono Nassirya e le rovine dell’antica città di Ur – e SudgestAid, un consorzio italiano specializzato nella promozione di progetti di sviluppo locale sostenibile in scenari difficili, organizzano dal 28 settembre al 2 ottobre una conferenza Italia-Iraq sul tema delturismo archeologico, religioso e ambientale.

All’incontro parteciperanno diversi imprenditori italiani, con l’obiettivo di stabilire contatti anche economici nell’area del Golfo: “L’Iraq è un paese dalle enormi potenzialità, anche turistiche – spiega Massimo Vidale, l’archeologo orientalista dell’università di Padova che affianca Alessandro Bianchi, coordinatore per il Mibac delle attività culturali in Iraq  – Basti pensare alle rovine di Ur, secondo la Bibbia la città di Abramo, il patriarca delle tre grandi religioni monoteiste”. Proprio il turismo religioso potrebbe essere una delle risorse per rilanciare la zona, tanto che in anni recenti si è parlato anche di un interessamento della Chiesa, attraverso l’Opera romana pellegrinaggi. La zona è inoltre famosa anche per le sue bellezze naturali, come la regione del Dikar. Aiutare lo sviluppo dell’Iraq ha anche un significato strategico: “Il turismo è di gran lunga il primo settore economico mondiale: favorirlo significa consolidare le classi medie, quindi aiutare la pacificazione”.

Il 15 settembre 2011 l’esercito americano ha definitivamente passato tutti i poteri all’esecutivo guidato dallo sciita al-Maliki, mentre capo dello Stato è il curdo Talabani. Gli scontenti oggi sono rappresentati dalla minoranza sunnita, che prima della guerra faceva riferimento a Saddam Hussein e al suo clan. Il risultato è che gli attentanti continuano purtroppo a succedersi quasi quotidianamente. Come è possibile immaginare che la gente vada a visitare una terra in cui sono ancora così evidenti le ferite della guerra? “Una volta l’Iraq era la principale meta turistica del Medio Oriente – risponde Vidale – Oggi c’è solo il petrolio a trainare l’economia: questo però rende fragile il paese, perché lo fa dipendere in maniera eccessiva dall’andamento dei prezzi del greggio”. I proventi del turismo inoltre, a differenza di quelli derivanti dalla vendita degli idrocarburi, tendono a ricadere direttamente sulle piccole imprese familiari piuttosto che nelle mani dei politici e dei burocrati: il capitale è quindi meno esposto al pericolo di alimentare la corruzione, gli sprechi, e la corsa agli armamenti.

Del resto anche l’Italia costruì parte del suo miracolo economico proprio sul turismo, del quale tra gli anni Cinquanta e Sessanta la Penisola era la prima destinazione mondiale: “Oggi purtroppo non è più così – continua Massimo Vidale – e questo non significa solo un danno immediato. Se cinesi e indiani non vengono facilmente a visitare il nostro paese, questo significa anche una maggiore difficoltà a stabilire contatti economici in futuro”. Il ricercatore non è nuovo a progetti di questo tipo: alla fine dell’anno scorso ha infatti partecipato, assieme a Michele Cupitò, a una missione in Pakistan sulle tracce di Alessandro Magno, che comprendeva una serie di iniziative locali dirette alla valorizzazione culturale e al rilancio turistico del territorio. “Una volta gli archeologi stranieri impoverivano i paesi, depredandone le ricchezze, oggi invece tentiamo di arricchirli, insegnando come sfruttarle anche da un punto di vista economico – conclude – Anche per questo oggi le popolazioni sono contente di veder arrivare gli archeologi. Una missione spesso significa lavoro per la comunità e il ritorno alla normalità dopo la guerra”.

In Iraq lo studioso può vantare una nutrita esperienza: in passato ha infatti fatto parte di un team inviato dal governo italiano a collaborare al recupero del Museo di Baghdad dopo i bombardamenti. Anche per questo l’Italia ha oggi un’immagine positiva nel paese: “Ci siamo comportati in modo corretto ed efficiente durante la ricostruzione – conferma Vidale –  Oggi siamo visti di buon occhio, e spesso i nostri studiosi riescono ad ottenere autorizzazioni più facilmente dei colleghi americani e inglesi”.

Vidale parteciperà all’evento in programma dal 28 settembre anche per promuovere il finanziamento e il pieno recupero dell’importantissima area archeologica di Ur: “Dato purtroppo l’alto tasso di salinità del terreno c’è bisogno di una manutenzione continua, per evitare che tutto crolli”. L’urgenza in questo momento è rappresentata dal cosiddetto Edublalmah, un edifico costruito intorno al 2050 a.C. dai re della III dinastia di Ur davanti al famoso ziggurat di Nanna, il dio della luna, patrono della città. Successivamente la costruzione divenne un archivio, destinato a custodire le tavolette con i documenti della corte reale. La struttura attuale risale all’età Kassita (ca. 1700-1500 a.C.), e i suoi archi vengono oggi considerati popolarmente i più antichi al mondo tutt’ora in piedi. Intervenire per preservare questo patrimonio è necessario: “Anche per noi italiani è importante tornare a scavare all’estero, anche se il nostro territorio è già ricchissimo di testimonianze – conclude Vidale – Soprattutto in Asia le tracce di intere civiltà sono state cancellate da decenni di guerra e di abbandono. Eppure anche lì stanno le radici della nostra cultura. Il mondo era globalizzato già 5.000 anni fa”.

Daniele Mont D’Arpizio

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