CULTURA

Falsi d’autore: cosa racconta di noi l’antichità contraffatta

Di fronte a un falso, l’istinto suggerisce distacco etico, diffidenza e indignazione; se però potesse anche essere l’occasione per riflettere sull’arte, la società, perfino su noi stessi? È questa la scommessa di Verità rubate. L’arte della contraffazione, mostra allestita fino al 31 maggio al Palazzo del Monte di Pietà di Padova su iniziativa del dipartimento dei Beni Culturali (dBC) dell’Università di Padova e con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.

Il percorso espositivo si muove su un crinale affascinante: quello tra vero e falso, desiderio di autenticità e seduzione dell’inganno. Attraverso diversi reperti il visitatore è invitato a interrogarsi non solo sull’oggetto in sé ma su ciò che rappresenta: il bisogno di possedere, la voglia di un legame con il passato, la fragilità della memoria storica.

L’idea nasce da un’occasione singolare: la donazione all’ateneo nel 2015 di una collezione privata composta da ceramiche greche e magno-greche, alcune delle quali contraffatte. Un fatto tutt’altro che inconsueto nella storia dell’Università di Padova, da cui però parte del progetto MemO, La memoria degli oggetti: un approccio multidisciplinare per lo studio, la digitalizzazione e la valorizzazione della ceramica greca e magno-greca in Veneto, coordinato da Monica Salvadori, docente di archeologia classica presso il dBC, e sostenuto dalla Fondazione Cariparo attraverso il bando “Progetti di Eccellenza”. Proprio Salvadori, assieme a Luca Zamparo e a Monica Baggio, è anche curatrice della mostra, caratterizzata da un percorso che fonde didattica, ricerca e divulgazione.

“Quando un oggetto si rivela inautentico – spiega Salvadori – ci obbliga a interrogarci su chi l’ha prodotto, perché, in quale contesto. Diventa uno specchio delle fragilità culturali della società che lo genera e lo colleziona”. Ed è proprio questa ambiguità ad alimentare il cuore della mostra: non una caccia al colpevole ma un invito a guardare più in profondità, interrogando le nostre convinzioni. Anche i falsi, come i manufatti autentici, hanno una storia da raccontare che parla soprattutto di noi. “Questi falsi ci dicono che l’antico, l’arte in generale, sono ancora molto desiderati – riflette l’altro curatore Luca Zamparo –. Esiste un forte senso di possesso, un bisogno di avere. Quando il desiderio incontra l’assenza di controlli o la scarsa conoscenza, si apre la strada alla contraffazione”.

Il falso sembra più vero del vero proprio perché corrisponde alla visione che in quel determinato momento si ha del periodo storico nel quale il falso vuole collocarsi Licia Vlad Borrelli

Non tutti i falsi vengono comunque per nuocere, soprattutto se diventano strumenti per affinare le nostre domande, per educarci alla visione della complessità e alla ricerca della verità. C’è però anche un pericolo sottile e duraturo: “Se un oggetto falso viene scambiato per autentico si genera confusione – sottolinea Zamparo –. Se si comincia a pensare che quello sia l’archetipo dell’antico, anche se non lo è, finiamo per perdere memoria e cultura. I falsi inquinano e alterano il nostro modo di immaginare il passato, lo semplificano e lo stereotipano”.

Se il passato è manipolato, anche il presente e il futuro vacillano: per questo gli studiosi pongono da tempo il massimo impegno nella lotta al mercato delle antichità contraffatta, spesso legato alle mafie al pari dei fenomeni degli scavi illegali e del contrabbando dei beni culturali. Diventa dunque fondamentale il minuzioso lavoro di analisi, scientifica e storico-artistica: un'indagine che non ha nulla da invidiare ai legal thriller. “Anche le analisi scientifiche possono essere ingannate – chiarisce infatti Monica Salvadori –. Ad esempio la termoluminescenza può dare risultati alterati se l’oggetto è stato sottoposto a particolari condizioni, come l’esposizione a lampade UV. Per questo motivo, la ‘prova regina’ resta sempre la documentazione: solo quando si sa dove è stato estratto un oggetto e si ha una documentazione di scavo si può dire con certezza da dove proviene”

Il lavoro si inserisce nel più ampio progetto promosso dal Dipartimento dei Beni Culturali del Cultural Legal Lab, che esplora la relazione tra cultura e legalità, archeologia e crimine, memoria e responsabilità. “Vogliamo dire ai visitatori: ‘Attenzione, vuoi acquistare un’opera? Segui canali leciti. Hai qualcosa di dubbio? Rivolgiti alla Soprintendenza. Hai incertezze? Parla con le forze dell’ordine’ – spiega Zamparo –. Comprare arte è lecito, ma bisogna farlo nel rispetto delle regole”. Solamente in Italia, negli ultimi dieci anni, secondo i dati forniti dal Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale, sono state denunciate oltre 2.500 persone per il reato di contraffazione delle opere d’arte, permettendo il sequestro di circa 70.000 oggetti imitanti beni archeologici, artistici, antiquariali o da collezione che, se immessi sul mercato, avrebbero comportato un controvalore stimato di oltre 5 miliardi di euro.

L’allestimento, curato da Andrea Isola, è pensato come un gioco di sguardi e intuizioni. Le opere della Collezione Intesa Sanpaolo e della Collezione Merlin, costituente uno dei nuclei principali del Museo di Scienze Archeologiche e d’Artedi Palazzo Liviano, dialogano con imitazioni moderne e contemporanee. Il pubblico è invitato a esercitare il dubbio, a “giocare” con l’autenticità, mettendo alla prova il proprio occhio. Particolare attenzione è riservata all’accessibilità e dell’inclusione, con libri e riproduzioni tattili, video esplicativi in LIS e attività didattiche curate dagli studenti dell’Ateneo, che fanno della mostra anche un’occasione di formazione attiva e partecipata.

Le falsificazioni vanno servite calde, così come escono dal forno, perché il falsificatore soggiace ai pregiudizi del gusto contemporaneo e niente di più del tempo può smascherare gli inganni Max Friedländer

Serve un’educazione allo sguardo critico, alla verifica delle fonti, anche davanti all’opera d’arte” sottolinea Salvadori. In un’epoca segnata dalla disinformazione e dalle fake news, anche l’archeologia può insomma offrire una bussola, un metodo per decifrare il mondo: “Per questo oggi si parla di archeologia del contemporaneo – conclude Zamparo –. Un approccio che ci permette di analizzare i fenomeni attuali partendo dai dati, dagli oggetti e dai fatti materiali per tentare di comprendere i processi culturali e sociali sottostanti”. Perché in fondo, come sosteneva fra gli altri Vere Gordon Childe, studiare le società antiche è fondamentale anzitutto per comprendere quella in cui viviamo.


Verità rubate. L’arte della contraffazione

A cura di a cura di Monica Baggio, Monica Salvadori e Luca Zamparo

Padova, Palazzo del Monte di Pietà
Via Monte di Pietà, n. 8

Fino al 31 maggio 2025  

Ingresso gratuito

www.culturallegallab.it

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