CULTURA

L'Aristotele di al-Farabi rivive grazie a un'italiana

Le lezioni, gli esami e le lauree, i libri della biblioteca da tenere in ordine e catalogare. Nel tempo libero scrivere e studiare per rimanere aggiornati: tutto per una “passione” che molti, nella tua stessa famiglia o tra gli stessi colleghi, faticano a volte a capire. Anche se traduci testi che sono alla base della cultura scientifica, redatti in una lingua – l’arabo – che è una delle più diffuse e influenti al mondo.

Questa, come quella di migliaia di altri ricercatori, avrebbe potuto essere fino a poco tempo fa l’esperienza di Cecilia Martini Bonadeo, madre di tre figli e docente a contratto presso l’università di Padova. Perlomeno fino allo scorso 13 aprile, quando a Riyadh (Arabia Saudita) il viceministro degli affari esteri, principe Abdulaziz, ha comunicato ufficialmente che il suo nome era tra quelli dei vincitori della sesta edizione del Custodian of the Two Holy Mosques King Abdullah bin Abdulaziz International Award for Translation: uno dei premi più prestigiosi nell’ambito delle traduzioni e sicuramente il più ricco, con un assegno di 200.000 dollari per i primi piazzati di ciascuna delle categorie principali (narrativa, letteratura scientifica ed editoria, ciascuna sdoppiata in due sezioni, rispettivamente per le traduzioni dall’arabo e in arabo).

Il premio è stato attribuito alla ricercatrice italiana – unica donna occidentale e unica a non condividerlo con altri studiosi – per la prima traduzione in italiano dell’opera medievale L’Armonia delle opinioni dei due sapienti: il divino Platone e Aristotele, pubblicata nel 2008 dalla Pisa University Press. La motivazione si sofferma in particolare sul “linguaggio chiaro e lo stile di traduzione accurato” e sul “rigore e la coerenza nella struttura formale e nelle idee che mantengono inalterato il significato del testo originario”, elogiando anche “l’aggiunta di note critiche, di analisi, di commento e di spiegazione”.

L’opera tradotta è stata scritta prima dell’anno Mille da Abu Nasr Muhammad al-Farabi, considerato dai filosofi arabi secondo solo ad Aristotele: e proprio al rapporto peculiare tra la cultura araba medievale e quella classica greca ha dedicato i suoi studi Cecilia Martini Bonadeo. “Mi sono avvicinata all’arabo per una fortunata coincidenza – racconta la studiosa vicentina – Circa 20 anni fa infatti ho incontrato a Padova docenti e ricercatori come Giuseppe Serra, Cristina D’Ancona ed Enrico Berti, con il quale mi sono laureata in filosofia con una tesi sulle traduzioni arabe di Aristotele”. Successivamente studia arabo a Damasco e collabora con il grande arabista Gerhard Endress alla Rühr Universität di Bochum.

Dal 2004 Martini Bonadeo insegna a contratto presso l’ateneo padovano Storia della filosofia araba medievale e Lingua e letteratura araba per i corsi di laurea in Filosofia, Lettere e Lingue. “I corsi hanno una connotazione precisa: studiare il passaggio delle opere dal greco all’arabo durante il califfato abbaside. Non l’arabo contemporaneo quindi, e nemmeno la narrativa e la poesia, bensì soprattutto letteratura scientifica”. Una disciplina di confine: “Quando ho iniziato non c’erano manuali in italiano, bisognava girare il mondo e studiare l’arabo a proprie spese. Sfidando anche un po’ la sorte: per i nostri studi infatti non esiste un settore disciplinare specifico. Siamo considerati arabisti dagli storici e dai filosofi, medievisti dagli arabisti”.

Un lavoro delicato, a volte difficile, svolto sempre con passione: “Trovo che la traduzione abbia anche una dimensione etica, dato che serve a far comunicare le persone e le culture. Due popoli che non si capiscono entrano più facilmente in conflitto”. Tutta la storia dei rapporti tra l’Europa e il mondo arabo e musulmano è infatti particolarmente segnata da luoghi comuni e misunderstanding: “Proprio per questo è particolarmente importante studiare il periodo in cui il mondo arabo – proprio con il contributo determinante dell’attività di traduzione – ha dimostrato di saper fare tesoro delle altre culture, come quella greca e persiana, per ritrasmetterle poi al mondo occidentale”. Un’esperienza di grande apertura e di splendore culturale, Il cui esempio forse può essere recuperato dall’Islam di oggi. Perché tutto questo finì? “È la domanda che tutti ci fanno. Forse perché da un certo punto in poi il mondo islamico è stato governato da stirpi non arabe, come ad esempio i turchi, i quali hanno iniziato a utilizzare la religione al posto della cultura per legittimare e tenere uniti i loro imperi”.

Oggi Cecilia Martini è diventata nota in tutta Italia: di lei parlano anche media nazionali: come è nata però la partecipazione all’International Award for Translation? “Il bando di concorso mi fu segnalato alla facoltà di lettere e filosofia, dato che ero l’unica a occuparsi di arabo. Il bello è che il mio lavoro arrivò in ritardo per un problema di spedizione, ma l’organizzazione mi avvertì che lo avrebbero tenuto in considerazione per l’anno successivo”. Verso febbraio alla ricercatrice viene comunicato che il libro era passato alla selezione finale: “La short list però comprendeva 166 titoli, ed io ero già contenta di esserci. Poi invece...”.

Un traguardo importante per l’unica arabista di Padova, soprattutto se la prospettiva, come per tanti “giovani ricercatori” italiani, continua ad essere quella del precariato: “È vero che il mio ambito di ricerca è di nicchia: dal mio punto di vista però l’università dovrebbe mirare anche alla specializzazione di alto livello, altrimenti si riduce a una sorta di ‘super liceo’”. In questi anni la studiosa, come tanti giovani ricercatori,  ha continuato a fare il suo lavoro, riuscendo anche ad attrarre dei fondi per le sue ricerche: il suo progetto Modelli di razionalità nell’incontro tra la filosofia greca e la cultura arabo-islamica ha infatti ottenuto, grazie anche alla presentazione del professor Enrico Berti, un finanziamento di 100.000 euro da parte dell’Emiro di Sharjah (Emirati Arabi Uniti) Sheikh Sultan bin Muhammad al-Qasimi. Le nostre ricerche devono però essere per forza finanziate dall’estero? “Spero che un giorno anche in Italia si inizi ad apprezzare maggiormente certi ambiti di studio – conclude Cecilia Martini Bonadeo – Magari come in altri paesi, dove dipartimenti di orientalistica sono attivi presso tutte le maggiori università”.

Daniele Mont D’Arpizio

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