SOCIETÀ

Laxiwa, la diga cinese gemella del Vajont

C’è un sorvegliato speciale nel mondo delle grandi dighe. Quando i ricercatori Dexuan Zhang e Gonghui Wang hanno presentato ai colleghi della comunità scientifica i risultati delle osservazioni sul bacino della diga di Laxiwa, in molti hanno sgranato gli occhi, e non solo per una presentazione a base di documenti siglati ‘top secret’. Sulla riserva idrica incombe infatti un corpo di frana alto 700 metri e lungo 1 chilometro, a soli 500 metri di distanza dall’imponente sbarramento. Una situazione che rimanda al Vajont per i segnali premonitori che vengono dalla montagna, come per il contesto in cui nasce e matura la decisione di costruire la diga. 

La centrale idroelettrica di Laxiwa si trova lungo il percorso del Fiume Giallo, nel cuore della provincia del Qinghai. Nel 1987Huang Yicheng, vice-ministro della Commissione nazionale per le riforme e lo sviluppo, dà l’annuncio della sua costruzione. “Sarà alta 250 metri, forse la diga più alta al mondo quando sarà completata”, la salutava entusiasta il China Daily, quotidiano del Partito comunista cinese. Già nel 1993 è pronto lo studio di fattibilità, seguito un anno dopo dall’approvazione del progetto preliminare dell’impianto. A fine anni Novanta la centrale di Laxiwa entra a far parte del gruppo delle opere strategiche da completare entro il 2010 e sulle quali il dipartimento per l’energia idroelettrica cinese mette sul piatto un investimento complessivo di 7,23 miliardi di dollari. Il cantiere apre nel 2001 e già a marzo del 2009 la China Power Investment Corporation inizia l’invaso del bacino. Passano solo due mesi e arrivano i primi segnali d’allarme: sul versante destro della montagna si evidenzia una frattura con rocce che precipitano frequentemente a valle. Iniziano le attività di monitoraggio e si scavano dei tunnel per identificare la superficie di scivolamento della frana: non si riesce però a penetrarla in profondità a causa dei movimenti della montagna. “Tutti i risultati”, scrivono i ricercatori che firmano lo studio, “indicavano che il pendio si stava deformando rapidamente e continuamente”. Man mano che l’acqua cresce nell’invaso le spaccature si fanno più evidenti sul fianco della montagna. Da uno spostamento giornaliero misurato in centimetri, in soli cinque mesi, tra l’agosto 2009 e il gennaio 2010, si passa a uno spostamento di parecchi metri, con un andamento che accompagna il variare del livello dell’acqua nel bacino. L’ipotesi degli studiosi è quella della riattivazione di un’antica frana.

Ma non finiscono qui le analogie con il Vajont. Perché l’idea della diga di Laxiwa nasce dalle necessità energetiche di un Paese che già a inizi anni Novanta vede un decollo economico stupefacente, con una crescita del 9% l’anno. Si pensa in grande e l’Ovest della Cina è la scelta giusta per i vertici del Partito per aumentare la produzione idroelettrica destinata alle industrie dell’Est: una zona poco popolata (nella provincia abitano oggi poco più di 5,5 milioni di abitanti, fra cui molti appartenenti a minoranze etniche), con alte montagne, acqua che scorre abbondante e vallate che si susseguono l’una all’altra. Laxiwa non resterà sola. Perché in questa regione sorge un gruppo di centrali che sfruttano il dislivello naturale di 850 metri del Fiume Giallo lungo un tratto di alcune centinaia di chilometri. Quando parte il decimo piano quinquennale – lo strumento di programmazione politico-economica del governo cinese – per il periodo 2000-2005, l’energia che viene dall’acqua diventa anche la bandiera dell’impegno statale per l’abbattimento delle emissioni inquinanti. E il progresso arriverà finalmente anche nella provincia del Qinghai dove ancora nel 1994 “quasi il 20% degli agricoltori e pastori viveva senza elettricità”, raccontano i reporter della stampa di Partito. Gli esperti, rassicura il China Daily del tempo, considerano minimi i possibili effetti dannosi. Anzi, prevedono un impatto migliorativo delle dighe sull’ecosistema del Fiume Giallo. Ma se i lavori di Laxiwa procedono a tempo di record, non c’è da dubitare del forte sostegno statale al progetto. La China power investment corporation, che la gestisce, è infatti un’azienda sotto il controllo della Commissione statale, nel cui board siede con il ruolo di vicepresidente e direttore esecutivo Li Xiaolin. Più famoso di lei è però il padre, Li Peng, ex primo ministro cinese ai tempi di Tien An Men e padre della faraonica (e discussa) impresa della Diga delle Tre Gole.

Lo studioso inglese David Petley che nei suoi articoli scientifici si occupa della vicenda delle Tre Gole, ricorda che già nel 2003, ai tempi del primo invaso di questo gigantesco bacino, si ebbe la frana di Qianjiangping, che causò la morte di 24 persone. “Per anni – sostiene – le frane continueranno a produrre i loro effetti all’interno del bacino idrico. Fortunatamente solo una di queste ha provocato fino ad oggi perdite umane ma una grande attenzione è necessaria di fronte alle precipitazioni piovose eccezionali nei prossimi cinque anni”. 

Ma quali sono le previsioni di rischio per la centrale di Laxiwa? Nel caso di un crollo della massa franosa, la diga e tutte le altre opere “verrebbero grandemente danneggiate e distrutte – ipotizzano Dexuan Zhang e Gonghui Wang che firmano il lavoro scientifico – e l’acqua che dovesse sorpassare lo sbarramento sarebbe un pericolo per la popolazione, mettendo a rischio anche la sicurezza di un altro impianto, quella di Lijiaxia, 73 chilometri più a valle”. La situazione “ha il potenziale per trasformarsi in una catastrofe simile a quella del Vajont”, concludono i ricercatori.  La diga intanto continua a funzionare. Impensabile rinunciare a uno dei centri nevralgici su cui si basa il progetto di trasferimento dell’energia elettrica dall’Ovest all’Est della Cina. Parte fondamentale di uno dei tre corridoi che trasporterà entro il 2020 più di 40 gigawatt all’anno verso il delta dello Yangtze, dove si trovano Zhejiang, Jiangsu e Shanghai. 

Del resto oggi il Sud-est asiatico è l’area del mondo in cui è stata programmata la realizzazione della maggior parte delle grandi dighe dei prossimi anni. Un’area, tuttavia, particolarmente a rischio per la frequenza di grandi eventi franosi in passato, per i particolari cambiamenti climatici cui è sottoposta, e per l’intensità dei terremoti che vi si registrano. 

La lezione del Vajont arriverà fino a qui?

Carlo Calore

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