CULTURA

Lincoln, ovvero l’importanza della lentezza

Ripensarci. Ascoltare i collaboratori. Non agire impulsivamente. Tutto questo era più facile quando non esistevano le email, i cellulari, le videoconferenze. Una lezione che emerge dagli archivi della guerra di Secessione americana, grazie ai quali sappiamo che, dopo la battaglia di Gettysburg nel luglio 1863, il presidente Lincoln scrisse una dura lettera al generale George Meade, chiedendogli perché non avesse approfittato dell’occasione fornita dalla piena del fiume Potomac, che bloccava la ritirata dell’esercito sudista, per distruggerlo definitivamente: “Di nuovo, caro generale, non credo vi rendiate conto dell’enormità della disgrazia costituita dalla fuga di Lee”. Erano tre pagine fitte che avrebbero certamente messo fine alla carriera di Meade, che aveva già offerto le sue dimissioni. La lettera non fu mai spedita: rimase in una busta tra le carte di Lincoln con l’annotazione “Never sent or signed”. L’Unione aveva bisogno di tutti i suoi generali e, in fondo, Meade aveva appena vinto la battaglia che rappresentò il punto di svolta della guerra.

Un altro episodio che riguarda Lincoln ci viene mostrato nel film di Spielberg in questi giorni nelle sale. È notte. Un salone da ufficio ottocentesco, con un uomo vecchio e stanco, avvolto in uno scialle decisamente poco presidenziale, insieme a due giovani reclute in divisa. Lincoln e i due telegrafisti aspettano notizie dal fronte. Ed è in questo momento che il regista fa dire al presidente americano: “Secondo voi possiamo scegliere quando nascere o ci adattiamo al tempo in cui siamo nati?”. È notte fonda, le sorti della guerra sono in bilico e Lincoln si interroga su questioni che ovviamente non hanno risposta.

Daniel Day-Lewis ha portato sullo schermo un Lincoln paziente al punto di apparire lunatico, un comandante in capo che i suoi collaboratori talvolta guardano come se fosse impazzito perché nel mezzo delle riunioni del governo racconta aneddoti di quando faceva l’avvocato, cita parabole di oscuro significato o lascia entrare il figlioletto che vuole giocare. In realtà Lincoln era tutto fuorché distaccato: ascoltava non solo i suoi ministri ma anche le persone che andavano a visitarlo, i postulanti, i soldati di ritorno dal fronte. Ascoltava e poi decideva, cosciente della solitudine che il ruolo impone a un presidente. E le sue decisioni, come nel caso del XIII emendamento che aboliva definitivamente la schiavitù, venivano mantenute anche tra lo scetticismo, e talvolta l’ostilità, dei politici del suo partito.

Nel film possiamo leggere un elogio della riflessione e del tornare sui propri passi, come dimostra un’altra scena nell’ufficio telegrafico, quando Lincoln deve rispondere a  una proposta di incontro dei delegati sudisti, pronti a chiedere un armistizio. Una questione scottante, perché se il Congresso venisse a sapere che c’è un’offerta in questo senso, con la possibilità concreta e immediata di interrompere la carneficina, potrebbe rifiutarsi di votare il XIII emendamento, rimandando la questione degli schiavi al dopoguerra: l’occasione di liberare milioni di afroamericani potrebbe svanire.

Lincoln detta un messaggio in cui dice alla delegazione di venire a Washington, poi si ferma e divaga per qualche minuto, infine si fa rileggere il testo e decide di correggerlo: l’incontro non avverrà nella capitale federale ma su un battello ancorato in prossimità della linea del fronte. L’incontro segreto si chiude con un nulla di fatto ma la voce si sparge (Washington, nel 1865 come nel 2013, era la città più pettegola del mondo) e l’indignazione dei deputati per essere stati tenuti all’oscuro minaccia il passaggio dell’emendamento. Le acque si calmano soltanto quando il presidente invia un messaggio di suo pugno: “Per quanto ne so, in città non c’è alcuna delegazione dei ribelli”. Una mezza verità che salva la situazione: la correzione dell’ultimo momento al messaggio ha evitato una catastrofe politica (Lincoln non avrebbe osato mentire al Congresso se i delegati fossero realmente stati in città).

Se fossero esistiti i telefoni satellitari, la Cnn e l’Huffington Post forse decisioni impulsive sarebbero diventate irreversibili, con conseguenze tragiche. La prudenza, la capacità di resistere alle avversità, di non reagire affrettatamente ma di mantenersi fermo nei principi erano doti di Lincoln profondamente radicate, ma certo la tecnologia del 1865 era meno insidiosa di quella di oggi.

Fabrizio Tonello

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