SCIENZA E RICERCA

Marconi 150. La rivoluzione delle onde corte

Nei primi decenni del Novecento, la popolarità di Guglielmo Marconi era alle stelle. Vincitore del premio Nobel per la fisica nel 1909, il suo telegrafo senza fili aveva messo in contatto persone che si trovavano a migliaia di chilometri di distanza. L’utilizzo di questo apparecchio aveva rivoluzionato inoltre la storia dei salvataggi in mare. L’enorme successo non rappresentava comunque un buon motivo per adagiarsi sugli allori. Nonostante i numerosi impegni d’affari che lo tenevano occupato in tutto il mondo, il visionario imprenditore non aveva ancora finito di stupire il mondo. In questo quarto episodio della serie dedicata ai più importanti contributi di Marconi alla storia delle telecomunicazioni, approfondiamo il passaggio alle onde corte: un salto tecnologico che avrebbe consentito a Marconi di migliorare ulteriormente la qualità e l’efficienza delle sue trasmissioni.

Le onde radio possono essere classificate in base alla lunghezza d’onda. Più un’onda è lunga, più bassa sarà la sua frequenza, e viceversa. A seconda di questi due parametri (lunghezza d’onda e frequenza, che sono quindi legati da una relazione indirettamente proporzionale), onde lunghe e corte hanno caratteristiche diverse per quanto riguarda la distanza raggiunta e la dimensione delle antenne trasmittenti.

Fin dagli inizi della sua carriera, Marconi trasmetteva a lunghezze d’onda di qualche centinaio di metri e frequenze comprese tra i 300 kHz e i 3 MHz (oggi classificate come onde medie). Venivano utilizzate perciò antenne alte centinaia di metri, che necessitavano di enormi infrastrutture per essere mantenute in verticale. Gli impianti in questione erano quindi soggetti a crolli causati da eventi metereologici estremi e richiedevano un lavoro di gestione assai complesso e dispendioso.

Per questo motivo, negli anni Venti Marconi condusse degli esperimenti volti a diminuire la lunghezza d’onda delle sue trasmissioni. Come spiega Marco Santagiustina, professore al Dipartimento di ingegneria dell’informazione all’università di Padova, “la dimensione dell’antenna è direttamente proporzionale alla lunghezza d’onda. Le antenne a monopolo, in particolare, raggiungono il massimo dell’efficienza quando la loro estensione corrisponde a un quarto della lunghezza d’onda a cui trasmettono”. Abbassare la lunghezza d’onda avrebbe quindi permesso di ridurre significativamente la dimensione delle antenne, rendendole così più semplici da istallare e gestire.

Il passaggio alle onde corte (con lunghezza d’onda nell’ordine delle decine di metri e frequenze comprese tra i 3 e i 30 MHz) fu vantaggioso anche dal punto di vista della qualità delle trasmissioni, perché consentì di sfruttare al meglio l’effetto ionosferico”, continua Santagiustina. “La ionosfera è lo strato più alto dell’atmosfera. Contiene gas ionizzati (caricati elettricamente) in grado di far rimbalzare verso la superficie terrestre alcuni tipi di segnali elettromagnetici che, altrimenti, si perderebbero nello spazio”. L’effetto ionosferico era stato il principale motivo per cui, nel 1901, un segnale inviato dall’Inghilterra era rimbalzato più volte tra la ionosfera e il mare fino a raggiungere il Canada. L’esistenza di questo strato dell’atmosfera aveva perciò garantito a Marconi il successo della sua impresa più grandiosa: stabilire un collegamento radio tra il nuovo e il vecchio continente.

Tuttavia, l’effetto ionosferico causava un diverso assorbimento delle onde medie tra la notte e il giorno. “Con la luce solare la qualità della trasmissione diminuiva, a causa di una maggiore ionizzazione dei gas presenti in atmosfera, che causavano una forte attenuazione del segnale”, spiega Santagiustina”. “Di notte, al contrario, l’assorbimento del segnale era meno significativo: veniva sfruttato al meglio l’effetto di rifrazione della ionosfera e aumentava la distanza di trasmissione.

Oggi sappiamo che questo accadeva a causa di una proprietà della ionosfera chiamata frequenza di plasma, che varia in base alla luce solare. La frequenza di plasma è più alta durante il giorno, e più bassa di notte. Semplificando il discorso, possiamo dire che durante la notte le onde medie hanno una frequenza superiore a quella di plasma: vengono perciò rifratte dalla ionosfera e arrivano molto lontano. Di giorno, al contrario, si trovano ad avere una frequenza inferiore a quella di plasma (che, come abbiamo detto, si alza a causa dell’illuminazione solare). Quando ciò succede, le onde medie vengono in parte assorbite (e quindi indebolite) dalla ionosfera.

Marconi si accorse che le onde corte viaggiavano invece a una frequenza abbastanza alta da restare al di sopra di quella di plasma anche nelle ore diurne ed essere quindi sempre rifratte dalla ionosfera. Fu una scoperta importante: accorciando l’onda, la qualità delle comunicazioni non subiva più forti differenze tra la notte e il giorno. Finalmente si poteva disporre di una trasmissione efficiente in qualsiasi momento della giornata, ore diurne comprese”.

L’effetto ionosferico, che ha permesso per la prima volta di superare l’oceano, oggi non ha alcun impatto sulle telecomunicazioni che utilizziamo ogni giorno. “Le onde alle frequenze intorno ad 1 GHz non vengono né rifratte, né riflesse, né assorbite dalla ionosfera: viaggiano in linea retta e non superano l’orizzonte e gli ostacoli fisici (ad esempio, le montagne). Sono quindi utilizzate sulle distanze più brevi”, spiega Santagiustina. “Questo è il motivo per cui i nostri telefoni devono trovarsi al massimo a qualche chilometro di distanza da una stazione radio base per avere segnale. Ecco perché il paesaggio attorno a noi contiene tante antenne, soprattutto nelle aree densamente popolate, come quelle urbane. Al contrario, nelle zone periferiche di montagna o campagna, dove possono esserci anche una decina di chilometri di distanza tra una stazione radio base e un’altra, può capitare di trovarsi temporaneamente senza segnale prima di entrare nel raggio di copertura della stazione radio base più vicina.

Anche la radio e la televisione utilizzano frequenze abbastanza elevate (nell’ordine delle centinaia di MHz) da non subire l’effetto ionosferico. Con il digitale terrestre, il segnale televisivo viene trasmesso da stazioni collocate in posizioni elevate (come monti e colline) che coprono aree con un raggio di circa un centinaio di chilometri. La zona di Padova, Venezia e Treviso è illuminata, ad esempio, da una stazione sul Monte Venda, nella zona dei Colli Euganei”.

Le onde corte, comunque, non sono state del tutto abbandonate. “Esistono ancora alcune radio che trasmettono a frequenze abbastanza basse (ovvero a qualche decina di MHz) da sfruttare l’effetto della ionosfera”, racconta Santagiustina. “Anche i radioamatori utilizzano le onde corte per comunicare tra loro a grandi distanze. Esistono poi alcune bande riservate all’uso militare e governativo e agli enti di soccorso, da utilizzare in situazioni di emergenza (nel caso, ad esempio, di un blackout della rete internet), perché permettono di inviare un messaggio molto lontano senza bisogno di ripetitori che amplifichino il segnale.

Le onde lunghe trovano invece applicazione principalmente nell’ambito della navigazione marittima. Questo è il caso del sistema LORAN (Long Range Navigation), ancora oggi utilizzato per individuare la posizione delle navi”.

Insomma, nonostante gli sviluppi tecnologici dell’ultimo secolo e mezzo, i principi fisici su cui si basano oggi le telecomunicazioni senza fili che per primo Marconi ha saputo sfruttare restano gli stessi. Questo non vale solo per la trasmissione uno-a-uno”, ma anche per quella “uno-a-molti” su cui si basa il broadcasting, che caratterizza la radio che si ascolta tutti i giorni a casa, in macchina e non solo. Come vedremo nel prossimo e ultimo approfondimento dedicato ai 150 anni dalla nascita di Marconi, egli avrebbe partecipato in prima persona – stavolta solo in qualità di imprenditore, piuttosto che di inventore – anche al passaggio dalla radiotelegrafia alla radiofonia e alla nascita delle prime emittenti radiofoniche.

 

Speciale 150 anni dalla nascita di Guglielmo Marconi

 

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012