SCIENZA E RICERCA

Marconi 150: oltre l’Atlantico. Il collegamento transoceanico

Nel 1901, Guglielmo Marconi decise di tentare un’impresa apparentemente impossibile: utilizzare le onde elettromagnetiche per trasmettere un messaggio oltre l’Oceano Atlantico. L’idea era quella di stabilire un collegamento tra una stazione in America e un’altra in Inghilterra, dove il giovane imprenditore si trovava già da alcuni anni. A Londra aveva avviato la sua compagnia di telecomunicazioni a distanza e conduceva esperimenti per il Ministero delle poste e per la Marina. Lo scopo era quello di approfondire gli sviluppi di queste tecnologie per il salvataggio in mare.

Il lavoro di Marconi con le onde elettromagnetiche era cominciato diversi anni prima, quando da ragazzo aveva costruito un’antenna a monopolo con cui aveva inviato un segnale radio a un paio di chilometri di distanza dalla sua tenuta nel parco di Villa Griffone.

“Il superamento della collina dei Celestini aveva convinto Marconi che le onde elettromagnetiche potessero superare ogni ostacolo”, racconta Marco Santagiustina, professore al Dipartimento di ingegneria dell'informazione all’università di Padova. “L’ostacolo più grande, però, restava l’orizzonte. Man mano che aumenta la distanza a cui si invia il segnale, diminuisce l’effetto della diffrazione, ovvero il fenomeno fisico per cui un’onda, quando incontra un ostacolo, devia dalla sua traiettoria originaria per oltrepassarlo. Tra l’Inghilterra e il continente americano c’erano più di 3000 km occupati dall’Oceano Atlantico. A quella distanza la curvatura terrestre era troppa perché il segnale potesse giungere da una parte all’altra solo grazie all’effetto della diffrazione. Per questo, molti esperti del settore consideravano fallimentare il progetto di Marconi”. I pareri negativi non bastarono però a scalfire la determinazione del giovane imprenditore, che sarebbe stato premiato con una buona dose di fortuna.

Ma andiamo per ordine. Per stabilire un collegamento da una parte all’altra dell’oceano era necessario innanzitutto generare un segnale estremamente potente. “Marconi costruì a Poldhu, in Cornovaglia, la stazione che avrebbe trasmesso la comunicazione”, spiega Santagiustina. “Si trattava di un impianto notevole composto da una schiera di antenne verticali poste l’una accanto all’altra. Erano tutti monopoli messi a terra: pali molto alti (circa 50 m) lungo i quali correvano dei fili di rame. Marconi sapeva che l’altezza dell’antenna era un requisito fondamentale per riuscire a generare un segnale abbastanza potente. A tutte le antenne veniva iniettata della corrente da parte di un generatore alimentato da una turbina. Ogni antenna, quindi, riceveva la corrente ed emetteva un segnale. La vicinanza tra le antenne faceva sì che i vari segnali emessi si sommassero, producendo come effetto un aumento del campo elettromagnetico a grande distanza”.

Più problematica fu la costruzione della stazione che avrebbe dovuto ricevere il messaggio oltreoceano. “Il progetto iniziale prevedeva di realizzare l’impianto a Cape Cod, nel Massachusetts”, racconta Santagiustina. “Una tempesta, però, danneggiò la stazione di Poldhu, costringendo Marconi a ridurre l’efficienza delle antenne trasmittenti. Per questo motivo, temendo che il segnale non fosse abbastanza potente per arrivare fino a Cape Cod, dove la costruzione della ricevente era molto in ritardo, decise di posizionare una stazione ricevente "di fortuna" nel punto del nuovo continente più vicino possibile alla costa inglese”. La scelta ricadde sull’isola di Terranova, in Canada, su un colle battezzato profeticamente Signal Hill.

“Marconi investì tutto ciò che possedeva per realizzare questa trasmissione a grande distanza”, continua Santagiustina. “A Signal Hill provò inizialmente ad attaccare il filo dell’antenna ricevente ad alcuni palloni aerostatici, ma un forte vento li spazzò via, distruggendo tutto l’impianto. Decise perciò di utilizzare un aquilone al quale legò un filo di rame (l’antenna) lungo 120m. Il filo era collegato, a sua volta, a un coesore, un apparecchio ricevente dello stesso tipo che aveva utilizzato per i suoi primi esperimenti nel parco di Villa Griffone. Si trattava di un tubo di vetro che conteneva delle polveri metalliche e mercurio, che si compattavano al passaggio della corrente e consentivano di sentire, attraverso un paio di cuffie, gli impulsi corrispondenti ai punti del codice morse”.

Con questo apparato di fortuna il 12 dicembre del 1901 Marconi riuscì a ricevere dalla stazione di Signal Hill i tre punti dell’alfabeto morse che codificano la lettera “s”. “Fu un esperimento eroico a cui molti, inizialmente, non credettero”, racconta Santagiustina. Come anticipato, lo scetticismo era dovuto alla convinzione che la curvatura della terra fosse troppa perché le onde arrivassero dall’altro lato.

Oggi sappiamo che il motivo per cui il segnale riuscì a giungere a destinazione era dovuto all’effetto della ionosfera, di cui allora non si conosceva l’esistenza. “Gli strati più alti dell’atmosfera sono composti da gas ionizzati (dotati cioè di cariche elettriche), in grado di riflettere le onde oltre la curvatura terrestre”, spiega Santagiustina. “Ecco perché, rimbalzando più volte tra il cielo e il mare, il segnale inviato da Poldhu riuscì ad arrivare in Canada. Proprio come Cristoforo Colombo, anche Marconi raggiunse l’America grazie a una combinazione vincente di determinazione, intuito e fortuna”.

Fu grazie al successo dell’impresa transoceanica che in ambito scientifico si iniziò a teorizzare la presenza di uno strato ionizzato nell’atmosfera. “Ancora non se ne conoscevano i dettagli, ma era chiaro che dovesse esistere qualche fenomeno fisico in grado di propagare le onde elettromagnetiche”, spiega Santagiustina. “Marconi citò l’effetto degli elettroni presenti in atmosfera nella sua Nobel lecture nel 1909, quando gli venne conferito il prestigioso premio – insieme a Carl Ferdinand Braun – per il contributo agli sviluppi delle comunicazioni a distanza senza fili. In quell’occasione l’inventore raccontò di un altro fenomeno che aveva notato ma che non sapeva come spiegarsi: le trasmissioni funzionavano meglio di notte che di giorno, come se la luce solare provocasse un parziale assorbimento del segnale.

Oggi questo effetto è spiegato dalle teorie sulla propagazione ionosferica. Sappiamo infatti che di giorno le radiazioni solari aumentano il grado di ionizzazione degli strati più alti dell’atmosfera, aumentandone la conduttività. Perciò, alle frequenze a cui trasmetteva Marconi all’epoca, di giorno la ionosfera tendeva ad attenuare il segnale, mentre invece di notte lo rifletteva meglio verso la superficie terrestre”.

Allora non era chiaro in che misura e attraverso quali meccanismi l’effetto ionosferico influisse sulla qualità della trasmissione. Marconi avrebbe però trovato una soluzione al problema dell’assorbimento diurno del segnale riducendo la lunghezza d’onda delle sue trasmissioni. Sarebbe riuscito così a sfruttare l’effetto ionosferico a suo vantaggio.

 

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