SOCIETÀ

L’onestà non si impone per mandato

Gli eletti del popolo devono essere liberi di tutto, anche di tradire la fiducia degli elettori? Se ne parla proprio in questi giorni, prendendo spunto da un duro post pubblicato sul blog di Beppe Grillo. “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”: questo recita l’articolo 67 della Costituzione. Dove arriva però la libertà dei parlamentari? Fino a fare carta straccia degli impegni presi in campagna elettorale, o addirittura a “cambiare casacca” per convenienza personale? Il dibattito non è solo italiano ma interessa in qualche misura le democrazie parlamentari in genere, tutte alle prese con l’odierna crisi della rappresentanza: anche il quotidiano spagnolo El Pais il 28 febbraio ad esempio ha dedicato all’argomento un servizio molto ampio. Tra i casi riportati quello di Antoni Pastor, un deputato delle Baleari espulso dal Partido Popular per aver votato contro una legge che a suo avviso andava contro i diritti delle minoranze linguistiche. La questione insomma è complessa: proprio per questo ci siamo rivolti a Lorenza Carlassare, docente di diritto costituzionale all’università di Padova.

Professoressa Carlassare, si parla in questi giorni del vincolo di mandato per i parlamentari: lei cosa ne pensa?

La norma costituzionale è espressione dell’ideologia liberale e serve a svincolare gli eletti dalle influenze e imposizioni esterne, assicurandone libertà di coscienza. Il vincolo di mandato, diceva Vezio Crisafulli, comporta “esclusione nella sfera costituzionale, di qualsiasi effetto giuridico automatico dei particolari obblighi assunti dai candidati verso i rispettivi partiti” e di ogni interesse estraneo, ad esempio impegni assunti con gruppi di potere o economici. Tutti i sotterfugi escogitati per vanificare questa norma – come ad esempio la firma di patti, dimissioni in bianco o cose del genere – sono ovviamente assolutamente non validi. I rappresentanti del popolo non devono ridursi a burattini di cui tira i fili qualcuno, che magari non siede in Parlamento.

I parlamentari quindi devono poter essere liberi di fare quello che vogliono?

Il divieto di mandato imperativo non significa che i parlamentari non debbano essere in collegamento con gli elettori e rappresentarli, come è invece loro preciso dovere: Livio Paladin diceva che la rappresentanza non può esistere senza responsabilità politica, in primo luogo verso i cittadini. Lo stesso articolo 67 esordisce proprio dicendo che ogni parlamentare rappresenta la nazione, mentre l’articolo 1 stabilisce che la sovranità “appartiene” al popolo – e continua ad appartenergli –, non dice che “emana” da esso per poi trasferirsi agli eletti. I parlamentari dovrebbero essere sempre attenti all’opinione pubblica e conformarsi a essa anche nei suoi eventuali mutamenti: perciò si parla di “continuità democratica”. Essenziale dovrebbe essere la funzione dei partiti, che oggi però non rappresentano più un collegamento effettivo, una “cinghia di trasmissione” tra popolo e istituzioni: sia per il mutamento che hanno subito, sia a causa dell’attuale legge elettorale che non lascia ai cittadini alcuna scelta in ordine alle persone che verranno elette.

Quali sono gli strumenti per assicurare un controllo effettivo da parte dei cittadini sui loro rappresentanti?

Un profilo su cui si può lavorare è quello dell’eleggibilità: l’articolo 54 stabilisce che le funzioni pubbliche devono essere adempiute “con disciplina ed onore”. Si dovrebbe consentire il controllo dei cittadini sulla formazione delle liste, attraverso strumenti di partecipazione attiva, almeno per lasciare fuori dal Parlamento i cittadini indegni, che dovrebbero poi essere dichiarati ineleggibili o decaduti. Purtroppo oggi la verifica delle elezioni è affidata alle Camere stesse, con il rischio di abusi: così anche una nuova legge sull’ineleggibilità, per quanto buona, potrebbe finire per rimanere lettera morta. Una riforma indispensabile sarebbe sicuramente quella di affidare il controllo delle elezioni a un organo indipendente, la Corte Costituzionale, come avviene in altri paesi (ad esempio, in Francia). In alcuni sistemi esiste anche la possibilità di revoca del mandato, ma sembra difficile introdurla in Italia: negli Stati Uniti c’è il Recall, che in California nel 2003 ha permesso di deporre il governatore Gray Davis, eleggendo Arnold Schwarzenegger come successore (su questo punto si veda però l’intervista al politologo Antonio Floridia, fortemente critico verso questo istituto ndr). In una forma o nell’altra, comunque, la responsabilizzazione dei rappresentanti è indispensabile, altrimenti non c’è democrazia: la responsabilità deve essere verso gli elettori, non passare attraverso l’obbedienza ai diktat di partito, almeno fino a che i partiti non siano democraticamente organizzati, come impone l’articolo 49 della Costituzione.

Come fare allora a limitare il trasformismo e il mercanteggiamento dei voti?

La risposta sta in un severo controllo sulle candidature, qui è in gioco la moralità di ciascuno, che nessuna norma può assicurare: l’etica repubblicana sembra oggi scomparsa, in molti cittadini prima ancora che nei loro “rappresentanti”.

Concretamente cosa possono fare i partiti e i movimenti politici?

Innanzitutto dotarsi di meccanismi democratici al loro interno, lasciando da parte strutture verticistiche e personalistiche. Sono positive le primarie, come tutti gli strumenti che favoriscono la partecipazione, soprattutto per quanto riguarda la composizione delle liste elettorali. L’articolo 67 però, espressione del pensiero liberale, deve rimanere: non si può consentire al partito di disporre dell’eletto fin che è in carica; poi potrà sanzionarlo non ricandidandolo. I rimedi al dissenso verso le linee del partito comunque ci sono. Poiché deputati e senatori sono iscritti ai diversi gruppi parlamentari – che sono la proiezione dei partiti sul piano parlamentare – chi non rispetta la disciplina di gruppo può essere espulso dal gruppo, ma non privato della carica. Il parlamentare continua a esercitare la sua funzione, ma dovrà iscriversi ad un altro gruppo. Ogni eletto “rappresenta la nazione”, non solo il suo partito; il “libero mandato” ne garantisce la libertà di coscienza nella decisione. Se poi una coscienza non ce l’ha (come purtroppo pare diffuso) ci troviamo di fronte ad un problema che non può essere risolto né dalla Costituzione né da alcuna legge.

Daniele Mont D’Arpizio

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