SOCIETÀ
Memoria e giustizia. L’intervento italiano nella guerra di Spagna alla sbarra
Proprio nei giorni in cui il Parlamento della Catalogna la proclama “soggetto politico e giuridico sovrano”, la decima sezione del Tribunale di Barcellona dispone la riapertura delle indagini giudiziarie per i bombardamenti sulla città da parte dell’Aviazione legionaria italiana nel corso della guerra di Spagna. Ventuno aviatori, volontari, che componevano la squadriglia “Baleari” sotto il comando del generale Vincenzo Velardi, sono accusati di essere tra i protagonisti dei bombardamenti che colpirono la popolazione civile di Barcellona e della Catalogna, dal 13 febbraio 1937 al 29 gennaio 1939, provocando la morte di 4.736 persone, oltre 7.000 feriti e la distruzione di 1.808 edifici.
Da una parte l’Italia, che come la Germania non dichiarò guerra alla Spagna – entrando da ‘pirata’ all’interno di una guerra civile che presto si trasformò in una prova generale del secondo conflitto mondiale – perde ogni scudo internazionale garantito dalle leggi di guerra; dall’altra gli atti di guerra contro i civili, riconosciuti come crimine già ai tempi delle Convenzioni dell’Aja di inizio Novecento, non sembrano oggi lasciare dubbi ai giudici spagnoli sulla loro natura di crimini contro l’umanità, in grado quindi di travolgere ogni prescrizione.
L’aggressività e la violenza dei bombardamenti su Barcellona emergono già nelle intenzioni del Duce e del suo ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano, che assegnano all’aviazione il compito di “terrorizzare le retrovie rosse e specie i centri urbani”. Anche per far salire gli italiani nella considerazione dei tedeschi, che “amano la guerra integrale e spietata”.
Spagna e Catalogna diventano così terreno di sperimentazione del bombardamento a tappeto, la tecnica di combattimento che caratterizzerà la seconda guerra mondiale: colpire in modo indiscriminato grandi aree del territorio nemico, soprattutto città, per distruggere il morale, generare il panico e vincere la resistenza della popolazione. È questo il contesto in cui nascono i violenti bombardamenti che dal 16 al 18 marzo 1938 fanno cadere su Barcellona 44 tonnellate di bombe, causando 670 morti e 1.200 feriti.
I bombardamenti aerei su Barcellona del 1938. Foto: Aeronautica italiana
La riapertura di questo processo, in cui la misura delle responsabilità individuali viene messa di fronte alla sofferenza delle vittime civili, trasformate in carne da macello, è stata sollecitata da una denuncia proveniente da un gruppo di attivisti italiani emigrati a Barcellona (raggruppati nell’associazione Altra Italia) e da due testimoni oculari e vittime dei bombardamenti, all’epoca solo bambini. Una decisione che arriva dopo un iniziale respingimento da parte dell’Audiencia Nacional e la provvisoria archiviazione da parte di un altro magistrato. Un segno delle difficoltà del percorso, che passano ora innanzitutto dalla identificazione delle persone indagate, come dalla verifica della loro esistenza in vita. Non impossibile peraltro, dato che due di loro - i generali Alberto Lauchard e Paolo Moci - sicuramente erano vivi nel 1998, come prova la loro partecipazione al documentario Obiettivo Barcellona. Ma è proprio questa fase processuale che misurerà la collaborazione e la disponibilità dell’Italia, non solo a una eventuale e ancora remota estradizione, ma soprattutto al riconoscimento delle proprie responsabilità. Se, per quanto riguarda la guerra di Spagna, la Germania nel 1997 ha infatti “chiesto scusa” per i bombardamenti di Guernica, le autorità italiane al contrario non hanno mai risposto alla mozione del Parlamento catalano che quattordici anni fa chiedeva all’Italia di ammettere la colpa dei prolungati bombardamenti su Barcellona. Se lo facesse ora, fuori tempo massimo e senza timori, dato che una sentenza della Corte internazionale dell’Aja del 3 febbraio 2012 ha di fatto sancito l’immunità per gli Stati nelle azioni di risarcimento davanti ai giudici di altre nazioni, suonerebbe moneta falsa, ma necessaria a segnare un punto di non ritorno e riconoscere le sofferenze causate in quella che fu la prima “guerra aerea ai civili” su larga scala, perlomeno in territorio europeo.
Il muro che potrebbe ostacolare la ricostruzione della verità giudiziale nel caso spagnolo è dato dalla legge di transizione, l’amnistia che nel 1977 segnò il ritorno alla democrazia della Spagna, e stabilisce l’impossibilità di avviare azioni penali contro spagnoli, repubblicani o franchisti, per reati legati alla guerra civile. Su quell’ostacolo si sono infrante anche le speranze di Baltasar Garzón, il giudice che per la prima volta aveva aperto in Spagna un’inchiesta sulla morte di 114.000 persone durante il regime di Franco e che è stato assolto, a febbraio 2012, dall’accusa di abuso di potere proprio per aver violato, con le sue indagini, la legge di amnistia. E sono in molti ad attribuire a questa azione giudiziaria l’inizio delle molte controversie che lo hanno infine portato all’interdizione dall’esercizio della professione di magistrato.
Troppo pesanti, forse, i tabù sulla strada per un vero “processo della memoria” che contribuisca ulteriormente alla conoscenza dei rapporti tra franchismo e fascismo; come ad accertare le responsabilità di una catena di comando complessa, cui certamente i franchisti e i corpi di spedizione italiano e tedesco contribuivano, mantenendo però anche propri obiettivi politici e militari.
Certo il tribunale potrebbe avere l’occasione, storica, di creare un precedente individuando le responsabilità di un atto, quello del bombardamento sulle popolazioni inermi, che non ha mai smesso di essere condannato. Ma solo a parole, perché continua a essere praticato, da chi le guerre le vince. E da chi crede di vincerle, come capita a Galeazzo Ciano quando il 28 agosto 1937 consegna al suo diario tutto il suo vitalismo futurista e tragico: “Questa impresa di Spagna trova la costante opposizione della Marina, che fa resistenza passiva. L’Aeronautica, benissimo. L’Esercito con regolarità. La Milizia con slancio. Ma in fondo il duce ed io soli ne siamo i responsabili: anzi, coloro che ne hanno il merito. Un giorno si riconoscerà che è grande”.
Carlo Calore
9 dicembre 1936: i madrileni si rifugiano nella metropolitana durante il bombardamento dei franchisti sulla città. Foto: AP