SOCIETÀ

Messico: gli studenti contro il presidente

Continua la serie di manifestazioni che negli ultimi mesi hanno toccato tutto il Paese. I dimostranti, in prevalenza studenti, chiedono sempre con più insistenza le dimissioni del giovane e ambizioso presidente Enrique Peña Nieto, che inizia su questo difficile sfondo il proprio terzo anno alla guida del Messico. All’origine di questo movimento è stata, a settembre, l’uccisione per mano della polizia di Iguala, nello stato di Guerrero, di sei studenti e la sparizione di altri 43, il cui fato rimane tutt’ora sconosciuto. A quanto pare, prima di essere uccisi o di svanire nel nulla, questi sono stati detenuti, per aver protestato a un evento pubblico cui è intervenuta la moglie del sindaco, su ordine del sindaco stesso, la cui famiglia ha legami diretti con il crimine organizzato locale. La polizia li avrebbe poi passati a una violenta gang della zona che, secondo ogni probabilità, li ha uccisi. 

“La prima motivazione dei manifestanti è stata di reagire al trattamento di questi studenti da parte delle forze dell’ordine – dice Octavio Rodriguez Ferreira, professore di Giurisprudenza e Scienze politiche e coordinatore del Justice in Mexico Project presso University of San Diego – La risposta molto lenta al caso Iguala da parte del governo federale non ha fatto altro che intensificare la frustrazione della gente rispetto alla apparente collusione delle autorità anche nazionali”. Nonostante siano già state arrestate quasi 80 persone nell’indagine sulla sparizione dei 43 giovani, tra cui il sindaco di Iguala e la moglie, non vi è ancora alcuna certezza né sui precisi responsabili di quella che si presuppone sia stata una strage, né su dove possano essere finite le vittime, o più probabilmente i loro corpi (campioni di quelli che appaiono essere resti umani sono oggi sotto analisi in un laboratorio austriaco). Nel corso dell’indagine, poi, sono state già rinvenute più di dieci fosse comuni fin qui segrete, promemoria raccapricciante delle oltre 22 mila persone scomparse in Messico negli ultimi otto anni (secondo stime ufficiali; gli attivisti per i diritti umani sostengono che il numero sia molto più alto).

Tra l’altro, a sommarsi allo scandalo Iguala né è arrivato un altro di carattere finanziario: a inizio novembre, la First Lady messicana Angelica Rivera era infatti in procinto di acquistare, per una cifra imprecisata, una lussuosa villa costruita per lei e per la sua famiglia da un’azienda che di recente ha ricevuto importanti appalti pubblici (il contratto è stato in seguito rescisso). 

Ecco allora che il beneamato presidente Peña Nieto, a lungo celebrato anche a livello internazionale come il capofila di una nuova generazione di leader riformisti per i paesi in via di sviluppo, ha visto il proprio tasso di approvazione precipitare vertiginosamente e si trova ora a difendersi da accuse di corruzione, inefficienza e mancata trasparenza che non sono affatto nuove o originali per un governante messicano. Secondo un sondaggio pubblicato a novembre dalla società Buendía & Laredo, il 50% di elettori è critico del lavoro di Peña Nieto, un aumento del 13% dall’anno passato, e il 52% dichiara di pensare che il Paese stia andando nella direzione sbagliata, il dato peggiore degli ultimi sei anni.

“La sua campagna elettorale e la sua presidenza fin qui sono state tutte centrate sull’immagine di leader del XXI secolo – dice Rodriguez Ferreira – penso avesse un’agenda molto specifica e che abbia raggiunto molti degli obbiettivi che si era posto, ad esempio le riforme dei settori energetico, fiscale, delle telecomunicazioni e dell’Istruzione”. Al contempo, sostiene Rodriguez Ferreira, il presidente non ha mai avuto idee particolarmente chiare e solide per quanto riguarda il caotico sistema giudiziario e la criminalità. E anche le proposte che sta avanzando ora sotto pressione dei dimostranti, volte sostanzialmente a trasferire potere dalla polizia e dalle autorità locali e statali a quelle federali (ad esempio smantellando governi municipali o questure locali laddove sia evidente la loro corruzione), sono poco convincenti. “Come se il governo federale non avesse legami con il crimine organizzato e le agenzie federali fossero modelli di efficienza e onestà – dice Rodriguez Ferreira – inoltre le idee che ha espresso su questioni come i diritti umani e la trasparenza sono molto deboli”. 

Nonostante Peña Nieto sia improvvisamente in crisi nei sondaggi e la sua immagine vincente stia rapidamente deteriorando, non bisogna dimenticarsi che oltre a controllare la presidenza, il suo partito ha una netta maggioranza al Congresso oltre che gestire la maggior parte degli stati messicani. “Per il momento, il governo può contare ancora su grande potere e influenza – conclude Rodriguez Ferreira – Ma questo è senz’altro un buon momento perché la società civile messicana si riorganizzi e, unita, possa trasformare le manifestazioni in un’azione più organizzata contro il regime attuale”. 

Valentina Pasquali

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