SCIENZA E RICERCA

Non siamo i Flintstones

Siamo scimmie assassine o scimmie solidali? Le preferenze sessuali, le scelte economiche, i gusti estetici, le mode e i successi letterari sono tutti adattamenti biologici? Ed è più darwiniano essere di destra o di sinistra? Strane domande. Alcuni pensano che il nostro cervello sia fermo all’età della pietra, come se la selezione naturale ci avesse plasmato nel Pleistocene e poi abbandonato al nostro destino. Sui mass media spopolano i riferimenti all’evoluzione biologica dei comportamenti umani, soprattutto politici e sessuali. Dire che l’evoluzione ci ha programmati fin dal Paleolitico per avere un determinato impulso innato è una tentazione irresistibile, che ci fa raccontare un sacco di storie fantasiose e zeppe di stereotipi. Ma è corretto richiamarsi a Darwin per difendere queste tesi?

Una teoria per dirsi “evoluzionistica” deve ipotizzare le cause remote di un certo comportamento, unendo prudentemente dati paleontologi, comparativi e molecolari. È un esercizio indiziario che richiede cautela e invece la «psicologia evoluzionistica pop» continua ad avere successo con la sua idea che la mente umana sia una “macchina di istinti” ossessionata soltanto da sesso, geni e competizione, un coltellino svizzero pieno di moduli specializzati da tirar fuori all’occorrenza. Eppure, i dati scientifici più recenti raccontano qualcosa di diverso, cioè che il nostro cervello è piuttosto un “bricoleur” che da sempre si adatta all’instabilità e all’imprevedibilità della storia naturale e culturale. Il nostro segreto non è l’iper-specializzazione cognitiva, ma la plasticità.

Ciò si spiega con il fatto che non è mai esistito quell’ambiente di “adattamento ancestrale” (cioè una savana africana pleistocenica dai contorni mitici) che secondo la psicologia evoluzionistica avrebbe plasmato le nostre predisposizioni in modo così duraturo da renderle ancora influenti oggi, in un mondo completamente nuovo. Al contrario, ciò che ci contraddistingue è l’essere stati capaci di andarcene, da quell’ambiente originario, per poi diffonderci e adattarci ai contesti più diversi. Non siamo scimmie intrappolate nei grattacieli, né menti preistoriche disadattate alla contemporaneità. Non siamo i Flintstones.

Ricerche apparse sulle maggiori riviste negli ultimi tre anni indicano che la nostra fisiologia presenta molti adattamenti recenti, alcuni dei quali frutto della coevoluzione fra i geni e la cultura, delle interazioni bidirezionali fra le popolazioni umane sparse per il pianeta e gli ambienti più diversi da noi plasmati. L’ecologia del comportamento umano ci dice che Homo sapiens è un “costruttore di nicchie”: trasforma l’ambiente attorno a sé e così modifica le pressioni selettive che poi retroagiscono su di lui.

Più in generale, dietro quelle strane domande si scorge un’immagine stereotipata della teoria evoluzionistica. L’evoluzione non è un banale problem solving e in natura non tutto necessariamente serve a qualcosa. Soprattutto, se oggi un tratto anatomico e comportamentale sembra rispondere a una certa funzione, non è detto che si sia evoluto “per” quella funzione negli ultimi milioni di anni. Potrebbe essere stato cooptato in seguito, oppure essere emerso a causa di processi non adattativi. In sintesi, la psicologia evoluzionistica attuale, con le sue “prove” basate su questionari e su letteratura di seconda mano, non rispetta gli standard di rigore metodologico che sono richiesti a qualsiasi disciplina evoluzionistica. Il suo intento, tuttavia, resta meritorio e anzi più urgente che mai: indagare le basi biologiche ed evolutive della psicologia umana. Bisogna allora rifondarla su presupposti nuovi, più aggiornati e più aderenti all’impianto attuale, pluralista, della teoria dell’evoluzione neodarwiniana. Serve una scienza integrata del comportamento umano, che includa anche le interazioni fra evoluzione biologica ed evoluzione culturale.

Curiosamente, i fautori delle “economie evoluzionistiche” e “politiche evoluzionistiche” di stampo liberista sono soliti attribuire a se stessi i crismi della scientificità: o sei con loro o sei contro la scienza; o sei con loro o sei contro Darwin. Questo uso ideologico della demarcazione fra scienza e non scienza denota, meglio di ogni altro indizio, la debolezza tendenziosa di questi approcci. Tirare per la giacchetta Darwin al fine di confermare i propri pregiudizi è un vizio che non tramonta, ma abbiamo un antidoto: tornare sempre alla scienza e navigare nel mare aperto delle sue scoperte.

Telmo Pievani

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