SCIENZA E RICERCA

L’evoluzione potrebbe aver reso i cani più sensibili alle emozioni umane

Millenni di convivenza a stretto contatto tra umani e cani potrebbero aver reso questi ultimi particolarmente capaci di interpretare le nostre emozioni e più inclini a empatizzare con noi. Questo è quanto emerge da una ricerca condotta da un gruppo di etologi dell’università Loránd Eötvös (ELTE) di Budapest nell’ambito del Family dog project, un programma di ricerca dell’ateneo ungherese che dal 1994 ha l’obiettivo di approfondire gli aspetti cognitivi e comportamentali che caratterizzano il rapporto tra umani e cani.

L’abitudine di esprimere le emozioni con la voce accomuna moltissimi esseri viventi. Per questo motivo gli animali – noi compresi – riescono abbastanza facilmente a riconoscere gli stati d’animo manifestati da altri individui, compresi quelli di altre specie; ad esempio, quando udiamo i gemiti di pianto, i guaiti o gli ululati di un animale siamo in grado (fino a un certo punto) di riconoscerli e di decifrarne il significato. Questa capacità, come dicevamo, non è solo umana. Anche altri animali – in particolare quelli domesticisono in grado di comprendere il contenuto delle nostre vocalizzazioni e mostrare ciò che i ricercatori dell’ELTE definiscono “contagio emotivo”, ovvero un comportamento che riflette lo stato d’animo percepito in qualcun altro.

Il contagio emotivo tra umani e animali è al centro di numerosi studi di etologia che hanno rilevato la tendenza da parte di diverse specie domestiche – come cani, gatti e cavalli – a rivolgere particolare attenzione alle manifestazioni emotive umane. Da uno di questi lavori, condotto nel 2022, è emerso che i maiali sono più inclini al contagio emotivo rispetto ai cinghiali, suggerendo che la domesticazione abbia reso alcune specie più sensibili alle emozioni umane.

Non a caso, la specie più propensa al contagio emotivo con gli esseri umani è proprio il cane, come dimostrato da due ricercatori neozelandesi che nel 2014 hanno analizzato il comportamento e i parametri fisiologici di alcuni cani mentre ascoltavano il pianto dei bambini.

La domesticazione del cane da parte degli esseri umani ha giocato un ruolo centrale nella storia di entrambe le specie. L’evoluzione di Canis familiaris e la distinzione tra le diverse razze canine sono frutto di un processo di allevamento selettivo e accoppiamenti programmati iniziato almeno 15.000 anni fa. Attraverso questo tipo di pratiche gli esseri umani hanno selezionato i caratteri che trovavano desiderabili nei loro animali da compagnia (obbedienza, fedeltà, intelligenza, abilità della caccia, estetica, eccetera).

Come sappiamo, il cane non è l’unica specie animale ad aver subito un processo di domesticazione. Qualcosa di simile è avvenuto anche per i gatti, i cavalli e alcuni animali da fattoria, ma con criteri diversi. Nel caso degli animali da allevamento, come i maiali, il processo di domesticazione è stato storicamente finalizzato al consumo alimentare.

Gli etologi dell’ELTE si sono chiesti, perciò, se la capacità di riconoscere le emozioni umane sia frutto della domesticazione in sé oppure della finalità con cui essa è stata condotta; nel caso specifico dei cani, infatti, questa pratica millenaria aveva lo scopo di massimizzare la cooperazione con gli esseri umani.

I ricercatori hanno scelto come termine di paragone un altro animale domestico – il maialino nano – che pure ha familiarità con il comportamento umano. Anche la storia di questa specie, come si diceva all’inizio, è intrecciata con quella dei Sapiens, ma in modo diverso. La domesticazione dei maiali, infatti, non è avvenuta in base al criterio della predisposizione alla cooperazione.

Sono state analizzate le reazioni di cani e maialini nani a due tipi di versi umani: il pianto (singhiozzi, sospiri e gemiti di dolore) e l’humming (ovvero quel canticchiare a labbra serrate che facciamo quando siamo assorti in un compito che richiede attenzione, ad esempio). Il primo tipo di vocalizzazione, naturalmente, ha una connotazione emotiva forte, esprime sofferenza. Il canticchiare sommesso dell’humming, invece, è un suono “neutro”, privo di contenuto emotivo.

Prima di ripercorrere i risultati principali emersi dalla ricerca, vale la pena spendere qualche parola sulla metodologia utilizzata. Si è trattato, come specificano gli autori, di un caso di citizen science perché la fase sperimentale del lavoro si è svolta a distanza. I dati sono stati infatti raccolti dai proprietari degli animali domestici all’interno delle loro case. I volontari che hanno preso parte alla ricerca hanno seguito precise istruzioni dai ricercatori sullo svolgimento del test e hanno filmato i loro compagni a quattro zampe mentre ascoltavano dei file audio che riproducevano i suoni appena descritti (il pianto e il canto a labbra serrate).

Questa metodologia a distanza ha permesso agli autori di coinvolgere persone residenti in diverse aree del mondo e di raccogliere una quantità sufficiente di dati utili per concludere lo studio. D’altra parte, i ricercatori non hanno potuto misurare tutti i parametri che avrebbero potuto esaminare invece in ambiente di laboratorio come, ad esempio, lo stato emotivo degli animali da compagnia prima dell’inizio dell’esperimento.

Comunque, guardando i video, i ricercatori hanno potuto osservare i comportamenti mostrati dagli animali durante l’ascolto delle tracce audio. Sono stati considerati, in particolare, eventuali versi (abbai, guaiti o grugniti), postura, sbadigli, movimenti delle orecchie o di altre parti del corpo, ricerca del contatto con il padrone.

I ricercatori hanno notato un’effettiva differenza di comportamento tra le due specie considerate. Sia i cani che i maialini nani hanno mostrato di saper distinguere i due tipi di vocalizzazioni. Entrambe le specie tendevano infatti a cercare di toccare il loro umano di riferimento quando udivano i suoni che li agitavano di più: il pianto per i cani, il canticchiare per i maiali.

Eppure, solo i cani hanno dato l’impressione di sperimentare un certo livello di contagio emotivo. In linea con i risultati emersi da studi precedenti, questi animali tendevano ad allineare i loro stato emotivo a quello delle vocalizzazioni umane che udivano, mostrando segni di tristezza e irrequietezza quando ascoltavano il pianto. I maiali, invece, non mostravano reazioni particolari al pianto, ma apparivano stressati e agitati quando udivano le registrazioni degli umani che canticchiavano a bocca chiusa, probabilmente perché si trattava di un suono a cui non erano abituati.

I risultati suggeriscono quindi che la sensibilità alle emozioni umane sia più spiccata nei cani, avvalorando l’ipotesi di partenza degli autori, secondo cui la domesticazione in sé non basta a favorire il contagio emotivo in una specie; è necessaria, al contrario, una storia condivisa molto più stretta.

Gli etologi dell’ELTE intendono approfondire la questione indagando le reazioni degli animali in presenza di un essere umano a loro sconosciuto. Contano inoltre di svolgere ulteriori ricerche in cui analizzare non solo le reazioni degli animali osservabili dall’esterno, ma anche alcuni parametri fisiologici direttamente misurabili; lo scopo è quello di comprendere meglio gli stati interiori degli animali da compagnia e ottenere nuovi dati attraverso i quali ricostruire la lunga storia del rapporto tra cani e umani.

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