SOCIETÀ

Nuovi modelli di vita sì, ma non a spese delle donne

“Quattro anni fa, alla prima conferenza sulla decrescita a Parigi, non sapevamo nemmeno come tradurre il termine decroissance, oggi quello della decrescita è un movimento in continua espansione, presente in tutto il mondo”. Con queste parole Joan Martinez Alier (Institute of Environmental Science and Tecnology di Barcellona) ha concluso la terza Conferenza internazionale su decrescita, sostenibilità ecologica ed equità sociale. Dal 19 al 23 settembre la conferenza ha ospitato 785 partecipanti provenienti da 47 paesi del mondo, 88 relatori, 128 tra volontari e organizzatori, oltre a migliaia di cittadini che in varie sedi hanno preso parte ai numerosi eventi paralleli gratuiti.

Cinque giorni di confronti e di idee, che hanno però registrato – come del resto è normale in ogni dibattito – anche alcune voci critiche. È il caso di Antonella Picchio, economista e docente emerito presso l’università di Modena e Reggio Emilia, che nel contributo che ospitiamo affronta il tema del rapporto tra il movimento della decrescita e femminismo.

“L’emancipazione dal modello della crescita ipertrofica non solo non può andare contro le donne, ma non può ignorare il loro apporto e soprattutto il loro sguardo sul mondo” scrive la Picchio. “Bisogna quindi passare dal considerare le donne come ‘bene comune’  e rifugio salvifico, al percepirle come soggetto dotato di capacità di lucidità  teorica e di trasformazione della realtà. Gli uomini della decrescita oggi non danno l’impressione di volersi porre la questione dei rapporti di genere come questione centrale per definire la qualità dei processi di produzione e riproduzione che determinano le condizioni di sostenibilità di un buona vita”.

“Oggi – continua la studiosa – la prima risorsa che il sistema sta sovrasfruttando è costituita proprio dal lavoro non pagato domestico e di cura delle donne. [...] I dati raccolti con dettagliate inchieste sull'uso del tempo dagli Istituti Nazionali di Statistica ci dicono che il lavoro non pagato di riproduzione sociale (domestico e di cura) supera in quantità il totale del lavoro pagato e che questa massa enorme di lavoro continua a pesare soprattutto sulle donne. Questo accade anche nei sistemi di welfare moderni e, pur se in forma diversa, anche nei paesi del Nord Europa: dappertutto si continua ad avere bisogno del lavoro invisibile delle donne per adattare le vite al sistema di produzione. Di questo non si può non tenere conto quando si vogliono proporre nuovi stili di vita, soprattutto se poi all’atto pratico questi vanno a pesare una volta di più sul tempo e le energie già esauste delle donne. Si possono decantare le virtù dell’orto o dello yogurt fatto in casa; si può proporre di limitare l’uso della lavatrice e di tornare tutti insieme al lavatoio, come si può proporre di attraversare gli oceani in veliero, ma si ha il dovere di essere realisti e non chiudere la nostra immaginazione nel romanticismo di un ritorno al passato”.

 

L'intervento di Antonella Picchio

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