UNIVERSITÀ E SCUOLA

Parlano gli studenti: tasse, servizi, qualità dell’insegnamento sono i nodi da sciogliere

Che significa essere studenti oggi? Lo abbiamo chiesto a nove di loro,  rappresentanti degli studenti, dei dottorandi, matricole e neolaureati .  Le tasse e la riorganizzazione dell’Università, i problemi di funzionamento quotidiano delle strutture, sono stati i primi a emergere.

Marco Zabai di Giurisprudenza, che siede in Senato accademico , esordisce dicendo che: “lo scioglimento delle facoltà e il passaggio di tutte le competenze ai dipartimenti ha creato confusione su chi si dovrà occupare di cosa, creando molti disagi agli studenti. Nello stesso tempo, l’Italia si trova al terzo posto in Europa per ammontare delle tasse, dopo la Gran Bretagna e la Spagna. E adesso sono state rimosse anche le norme che fissavano il tetto massimo della contribuzione studentesca al 20% dei fondi che lo Stato trasferisce alle università. Per di più, la politica dei tagli ha conseguenze anche sui servizi e sul diritto allo studio: il blocco delle assunzioni imposto dalla Spending Review ha impedito l’apertura serale della mensa universitaria San Francesco: cancellati i dieci posti di lavoro che sarebbero serviti a garantire il servizio. Un altro caso: le borse di studio, i cui fondi sono stati fortemente decurtati dal governo, subiscono dei ritardi e arriveranno a Natale”.

Giuseppe Cicchetti, di Matera, matricola a Economia, è invece entusiasta. “Non ho proprio visto disorganizzazione, anzi. La Lucania – aggiunge sorridendo – ha sicuramente parametri diversi di efficienza ma forse le mie sensazioni sono legate alla selezione stringente che pratica il mio corso di laurea, cosa che non vale per tutti”. 

Vada come vada, “io me la cavo”, dice Giulia Calore, studentessa di Comunicazione che conta su una borsa di studio e sulle proprie forze per frequentare l’università: “Con la maturità classica avrei potuto fare solo la commessa”, dice Giulia, “è la società che mi ha imposto di continuare il percorso di studi. Così ho fatto un anno a Ingegneria e poi mi sono iscritta a Comunicazione. Vengo da una famiglia monoreddito e posso continuare grazie ai soldi della borsa di studio, quasi insperati”. Si definisce, con una piccola provocazione, “un po’ menefreghista, come la maggior parte dei miei colleghi. Fino a un mese fa non sapevo neppure che l’università fosse divisa in dipartimenti… In fondo penso che chi può permettersi l’università non dovrebbe lamentarsi più di tanto”. 

Gioia Baggio, al secondo anno di Lettere, lamenta invece i problemi legati all’avvio dei corsi: “Le carenze d’informazione, i ritardi e i cambi di programma che ci sono stati nell’avvio delle lezioni, la mancanza di molti docenti per coprire i corsi previsti, fanno perdere tempo. E il tempo è un problema, specialmente ora che dipendiamo sempre di più dai soldi dei nostri genitori. Soldi che sono finiti. Per molti miei compagni di corso l’Università è diventata un lusso, che si paga a caro prezzo: 600 euro di tasse e 300 euro di libri ogni semestre, più il costo delle mense e dei trasporti: dov’è finito l’articolo 34 della Costituzione che garantisce il diritto allo studio?”

Allarme raccolto da Gianluca Pozza, Scienza dei materiali, rappresentante dei dottorandi, citando i dati recentemente pubblicati da Federconsumatori: “Nel 2011 le tasse universitarie in Italia sono aumentate del 7%: inevitabile dopo i tagli imposti dal governo”.

C’è, insomma,  il rischio che le difficoltà e l’aumento dei costi, diretti e indiretti, portino a una selezione non per merito ma per reddito, come i dati degli ultimi anni sembrano confermare, con la diminuzione delle iscrizioni benché il nostro Paese abbia una percentuale di laureati molto più bassa di quella dei paesi OCSE paragonabili all’Italia.

Un altro tema molto sentito è la qualità dell’insegnamento, legata anche al nodo della caduta di preparazione  nella scuola secondaria, avvertita da docenti e studenti, e della necessità per l’università di compensarla, pena un calo di qualità dei laureati. Maggiore selezione, o recupero delle carenze formative?

Il rischio è quello di guardare alla situazione in modo parziale,  afferma Chiara de Notaris, studentessa di Scienze naturali e rappresentante degli studenti. “Prima di tutto bisognerebbe chiedersi quale sia lo scopo del rapporto tra studente e docente, una semplice trasmissione del sapere in pacchetti o qualcosa di diverso? La premessa di un sistema universitario più severo, un autentico ‘percorso a ostacoli’, è infatti la parità delle condizioni di partenza, sia per quanto riguarda la qualità degli studi superiori, sia per il contributo dato dal singolo docente”. Come dire che dalle prestazioni degli atleti si misura la qualità dell’allenatore, che dovrebbe essere valutato più rigorosamente. Anche per Grazia Beda, iscritta a Lettere, c’è “poco interesse da parte dei docenti a trasmettere un di più rispetto a quanto è strettamente previsto dal loro lavoro”. Una sensazione che trova conferma nelle parole di Pietro Osti, neolaureato in Scienze Politiche che è stato in Erasmus all’estero e collabora a Radiobue.it: “È triste constatare che i professori che hanno davvero inciso sulla mia vita di studente siano al massimo due”. “In fondo – continua Gioia Baggio  – non chiediamo la Luna e neppure i professori con il miglior curriculum al mondo, ma persone interamente dedicate allo studio e appassionate dell’insegnamento.”

La richiesta sembra essere quella di professori in grado di incidere davvero nella maturazione dei loro studenti, che sappiano essere “maestri” nell’accezione antica del termine. Torna sottotraccia il nodo della specificità degli studi universitari rispetto alla formazione superiore: semplice prosecuzione, o momento a sé e qualitativamente differente?

Per Gianluca Conzon, che fa parte del Consiglio di amministrazione e studia Statistica, un giudizio "luci e ombre" sulla riforma dell’Università promossa dall’allora ministro Gelmini. Ma “l’università ti riduce a ‘pollo da batteria’: troppo appiattimento nei voti. Basta considerare che il voto medio della laurea specialistica in Italia è 108 (Almalaurea 2012. NdR) Per uscire da questa situazione – continua – deve pesare di più il merito. Ci vuole parità ai nastri di partenza, poi a fare la differenza dovrebbe essere la bravura”.  

Un equilibrio, quello tra parità di condizioni e merito, che sembra vacillare, secondo Gianluca Pozza, di fronte alla scelta di abbracciare l’ideologia del merito a tutti i costi: “In fondo l’obiettivo delle riforme recenti sembra essere il declino del sistema di istruzione pubblica. Siamo comunque la generazione più ‘formata’ della storia del Paese, un salto in avanti anche rispetto al territorio in cui viviamo. Ma nessuna politica è stata fatta per adeguare il tessuto sociale e produttivo alle persone che si stavano istruendo. Oggi ci raccontano che il sistema formativo deve essere destinato solo alla classe dirigente del Paese: è il rimedio più facile.” 

Con buona pace di Plutarco per il quale “i ragazzi non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere”. Anche di speranza.

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