SOCIETÀ
Piazza Taksim, Turchia: le tante anime della protesta
Foto: Valentina Bazzarin
Mogli, madri, sorelle.. o vandale?
Fra Gezi Park e piazza Taksim, le manifestazioni hanno visto moltissime ragazze e donne in primo piano. La Turchia, con più di 70 milioni di abitanti, è il sedicesimo paese per densità di popolazione al mondo. Le donne hanno in media poco meno di due figli a testa, ma il governo di Erdoğan spinge perché ce ne siano almeno tre per famiglia, e le politiche dei governi dell'AKP in questi anni hanno intensificato una visione tradizionale del loro ruolo.
Elif, una 34enne di Istanbul che vive in Italia da 10 anni, racconta: “in Turchia ormai ci vado solo in vacanza qualche settimana all'anno, ma le donne che conosco odiano Erdoğan con ogni loro cellula. Tutto quel che vedono, tutto quel che dice, ogni sua nuova proposta di legge viene ingigantita da questo sentimento di repulsione. Il loro giudizio non mi sembra obiettivo, ma d'altra parte io non vivo gli insulti quotidiani, non sento i commenti per strada. La Turchia è un paese maschilista. Le donne devono rimanere confinate dentro le mura di casa, devono essere rispettose, madri perfette e mogli perfette. Le nuove leggi, come quella sull'aborto, sono agghiaccianti. Non posso credere che una donna vittima di violenza sessuale non possa abortire. La Turchia ha garantito il diritto di abortire molto prima dell'Italia.”
Ci sono donne turche che si battono per riportare laicità nello stato e ce ne sono altre che si battono per poter portare il velo anche all’università o nei luoghi pubblici. L'ordinamento kemalista impediva di esibire segni di appartenenza religiosa. Una scelta in parte contraddittoria. Nelle carte d’identità turche infatti la religione viene esplicitata e il 98% dei cittadini si dichiara islamico. A Gezi Park nei giorni dell’occupazione alcune giovani coppie hanno scelto di celebrare il loro matrimonio e di farsi riprendere da fotografi e telecamere con gli abiti da cerimonia e una maschera anti-gas sul volto.
Un piano a piazza Taksim e gli intellettuali di #weareconcerned
Un gruppo di 100 intellettuali, tra i quali spicca il nome del Nobel per la letteratura Pamuk, il 29 giugno hanno sottoscritto un appello intitolato #weareconcerned e hanno acquistato uno spazio sulle principali testate giornalistiche per pubblicizzarlo. La risposta dei cittadini çapulcu di piazza Taksim nei social media non si è fatta attendere. L’appello è stato ridotto ad una vuota trovata pubblicitaria che nulla aggiungeva al movimento di protesta.
Anche l’eco internazionale di questa operazione è stato scarso, mentre l’originale protesta dello “standing man” è stata ripresa e diffusa in tutto il mondo, con una capacità di "bucare" gli schermi molto maggiore. I cittadini turchi e tanti turisti hanno riservato una calorosa accoglienza, dimostrando rispetto, entusiasmo e passione per la testimonianza musicale in due serate di Davide Martello, pianista tedesco di origini italiane, e di Gülsim Onay.
Gay pride e moschee
Il 30 maggio, mentre a Tahrir in Egitto, i cittadini scendevano in piazza per chiedere le dimissioni di Morsi, ad Istanbul ha sfilato per l’undicesima volta il gay pride. Il blocco LGBT era presente anche a Gezi Park e, nella strana combinazione dei quartieri in cui era stato suddiviso il parco, confinava con lo spazio riservato al gruppo dei musulmani capitalisti. Uno degli attivisti LGTB raccontava fremente qualche giorno prima della manifestazione: “I primi anni non c’ero, non partecipavo, ma negli ultimi 3 anni eravamo 50.000 persone. Devi vederla la città in quel momento. Qui è un’altra cosa. In un Paese musulmano… Quest’anno si aspettano più di 100.000 persone, dopo quello che è successo verranno sicuramente.”
Nel 2007 ad Istanbul, antica capitale dell’Impero Ottomano, sono state censite quasi 3.000 moschee. Recep Tayyip Erdoğan ha accusato i manifestanti di essere entrati in una moschea di Istanbul con bottiglie di alcolici in mano, ma è stato smentito dall'imam della moschea di Dolmabahce, che ha negato pubblicamente quanto dichiarato dal capo del governo: ''Non ho visto nessuno consumare alcol all'interno della moschea o avere in mano una bevanda alcolica''. L’imam ha dichiarato al quotidiano Yurt: ”Non posso dire una cosa che non ho visto, non posso dire una bugia, sono un uomo di Dio”.
Il giorno del Gay Pride e dopo questa smentita pubblica, per non perdere terreno sul fronte islamico conservatore, il primo ministro ha annunciato il prossimo avvio dei lavori per la costruzione di una nuova grande moschea su una collina di Istanbul, dichiarando che ”potrà essere vista da ogni angolo della città”. La moschea si svilupperà su una superficie di 15mila metri quadri su una collina di Camlica, nella parte asiatica della città. I lavori di costruzione inizieranno durante il Ramadan.
Diritti e riconoscimento delle minoranze curde e armene
Erdoğan ha un rapporto complicato con le minoranze, soprattutto con quelle curde e armene. Ma mentre sul fronte delle istanze degli abitanti della Turchia Orientale (o turchi di montagna come sono definiti eufemisticamente i curdi) dimostra una certa apertura, in cambio dei voti di cui ha bisogno per completare il pacchetto delle riforme costituzionali che gli permetterebbero di diventare Presidente della Repubblica con poteri sostanziali, e non solo di rappresentanza, sul fronte armeno la strategia del Primo Ministro punta a sfruttare il genocidio per screditare la figura di Atatürk. Nel 2009 sono stati firmati alcuni protocolli tra il governo armeno e quello curdo, ma senza riferimenti espliciti al massacro di milioni di armeni durante la prima guerra mondiale. A Gezi Park c’è un piccolo e antico cimitero armeno, che nel nuovo progetto edilizio potrebbe scomparire.
Atatürk ed Erdoğan: dittature, o democrazie, a confronto?
Elif: “La mia generazione, ma anche quella dei miei genitori e dei miei nonni, è stata profondamente segnata dalla figura di Atatürk. Al lunedì quando arrivavi a scuola dovevi recitare il testo di un suo discorso e il venerdì, quando finiva la scuola, si cantava l’inno nazionale. I guai nascono da questo. Fino a quando avevamo i milioni di lire turche la faccia di Atatürk era su tutte le banconote, era ovunque. Io una volta ho chiesto ingenuamente a mia mamma: che differenza c’è tra Atatürk e Allah?”
Fatih: “Non ho più paura di stare in piazza. Non ho detto niente di male. Ho scritto: “ci sono dei miei amici a cui i poliziotti hanno fatto male. Aiutateci.” Questo è il mio paese, e sta diventando come l’Iran. Questo è il mio paese, ma c’è un dittatore, Erdoğan. Protestare è un mio diritto, democratico, posso contestare quello che non mi piace. Sono una persona pacifica. Non ho fatto nulla di male. Non ho distrutto niente, non ho fatto male a nessuno. Sono stato in piazza e sono stato in strada solo per urlare. Questo è il problema.”
Valentina Bazzarin