CULTURA

Professione: erede. Un libro scuote la Francia

Perché mettersi sotto a studiare quando si può sposare un'ereditiera e vivere da ultraricchi per sempre? Il consiglio di Vantrin a Rastignac in Papà Goriot – cercare la fortuna per via ereditaria più che per meriti di lavoro - è attuale oggi come nel 1834, anno in cui Balzac pubblicò il famoso romanzo. Parola di Thomas Piketty, studioso contemporaneo delle diseguaglianze e della loro storia, il cui ultimo libro - Le Capital au XXI° siecle, in uscita in Francia il 5 settembre per Seuil – ricorre a protagonisti di romanzi, film e fumetti per spiegare il succo della sfilza di numeri che presenta. Numeri mondiali della diseguaglianza, in gran parte provenienti da quell'enorme serbatoio di dati - raccolti, elaborati e messi a disposizione da Piketty insieme a Tony Atkinson, Emmanuel Saez e Facundo Alvaredo - che è il World Top Incomes Database (consigliamo un giretto on line, è facilmente consultabile e continuamente aggiornato, paese per paese). 

Questi numeri ci dicono che “gli eredi sono tornati”, per usare il titolo dato da Le Monde al dossier dedicato al libro di Piketty sul capitale nel nostro secolo. Son tornati, e stanno benissimo. Non solo perché è aumentata la distanza tra gli ultraricchi e il resto del mondo, dopo la parentesi egualitaria del “trentennio d'oro” che ha caratterizzato tutto il mondo occidentale, dagli Stati Uniti all'Europa, nel secondo dopoguerra. Questo fatto è ormai noto. Quel che di più interessante e di nuovo aggiungono gli studi di Piketty riguarda la trasmissione tra generazioni delle diseguaglianze: in altre parole, il ruolo dell'eredità – di qui il riferimento a Balzac. C'è assai poco da sorridere. Il peso dell'eredità e della rendita è sempre più forte, e porta Piketty a paragonare i nostri anni a quelli della Belle Epoque: il che è un problema non solo per l'equità sociale, ma anche per l'economia, dato che si traduce in un disincentivo all'innovazione, al lavoro, all'impresa; insomma, inceppa il meccanismo che dovrebbe portare la crescita. 

Che fare, allora? Questo libro non è un pamphlet, ma un testo scientifico scritto per far uscire la discussione dall'accademia e portarla nel dibattito politico, così come Piketty aveva fatto con il precedente Pour une révolution fiscale (2011). Per questo si conclude con delle proposte di politica economica, che ruotano tutte attorno a un nuovo e maggiore ruolo degli Stati, senza il cui intervento le forze dei mercati non potranno che cristallizzare la società delle rendite. Dunque si propongono interventi redistributivi generali nella riforma dello Stato sociale, e specifici nel fisco. Piketty non ha mai nascosto la sua preferenza per un aumento delle aliquote sui redditi più alti – ispirando anche in questo la campagna di Hollande. Ma quel che serve adesso, dice, di fronte alla internazionalizzazione delle grandi rendite, è un'imposta mondiale sui capitali, che riequilibri i pesi tra i patrimoni liberi di muoversi e migrare alla ricerca del fisco perfetto, e i lavoratori divisi e tartassati nelle loro patrie. Un Robin Hood globalizzato, insomma, pare l'eroe della proposta di Piketty per riformare il Capitale del XXI secolo. Chiamati a commentare il suo libro su Le Monde, da opposti fronti la attaccano l'economista marxista Francois Chesnais (che la ritiene troppo timida) e, da posizioni liberiste, lo storico dell'economia Jean Marc Daniel (che accusa Piketty di “violenza statalista”). Lo stesso Piketty la chiama una “utopia utile”: se non altro, per ora, a far discutere. Dati alla mano.

Roberta Carlini

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