SOCIETÀ

Provate a essere libere: un'anteprima dal libro di Luisella Costamagna

Pubblichiamo in anteprima le prime pagine del secondo capitolo, "La ragazza che non somigliava a nessuno"

«La famiglia in cui sono nata era una famiglia che non mi assomigliava per niente.» Così.

Cecilia non ha dubbi, ed è lapidaria. Come si può essere lapidari a ottantacinque anni: con la sicurezza e il disincanto e l’ironia di chi ha visto un mare di cose. Ma anche con l’irriverenza di chi, quel mare di cose, non l’ha mai davvero preso sul serio.

Aveva due fratelli e una sorella, Cecilia, e poi naturalmente papà e mamma. E da tutti e cinque, senza eccezioni, si sentiva diversa. Fino a provare, in certi casi, un sottile senso di fastidio.

La sua famiglia non le piaceva. Abitavano a Torino, anche se il papà veniva da Roma e la madre da qualche luogo tra la Lombardia e l’Emilia. Il padre era professore figlio di professore, e quand’era ragazzino la sua famiglia aveva girato un bel po’ di città, a seconda dei trasferimenti decisi dal ministero della Pubblica istruzione. Nel 1908, per dirne una, andarono ad abitare a Messina pochi mesi prima del grande terremoto. E quando la terra tremò furono salvati in extremis da un peschereccio russo che li tirò su tutti, al volo, da un pontile. Tutti: lui e i suoi nove fratelli.

Cecilia, che è nata nel 1927, ha visto la guerra. Fratello partigiano, padre che aiutava i partigiani. Sfollata in Val di Lanzo, nel ’44 si mette a fare la staffetta, cioè aiuta i partigiani portando loro cibo, coperte, vestiti, qualche messaggio. E un giorno la acchiappano i fascisti della Folgore e la portano con loro nell’albergo che hanno requisito. La tengono lì un po’, ma per fortuna non ha niente addosso e la lasciano andare.

«Spera di non farti beccare una seconda volta.»

In molte famiglie succede che genitori e figli non vadano d’accordo, per esempio, sulle idee politiche. Loro no, la pensavano allo stesso modo. Il giorno in cui viene catturata dalla Folgore, Cecilia è con suo padre (che al contrario di lei non viene rilasciato, e passerà due mesi nella terribile caserma di via Asti, a Torino). Condividono molte cose, e raramente litigano. Non è un banale problema di «contrasti »; possono anche andare d’accordo, ma sono proprio esseri umani differenti. Almeno questo è quello che percepisce Cecilia. Il suo non è un partito preso: viene naturale. Per dire, papà e mamma la vorrebbero insegnante. Lei non ci pensa nemmeno. Va all’università, ma non per seguire la strada che avrebbero voluto loro. Vero, le sarebbe piaciuto fare Lettere moderne, mentre il padre l’ha iscritta d’autorità a Lettere antiche. Ma non è grave: perché tanto non insegnerà, lo sa benissimo. Tutti lo sanno benissimo. Perché a lei piacciono altre cose.

Per esempio le piace leggere, e mettere in scena insieme ad altri studenti testi all’epoca sconosciuti, come La guerra di Troia non si farà di Jean Giraudoux, dove Elena (parte interpretata, ovviamente, da Cecilia) dice «amo strofinarmi gli uomini addosso come enormi pezzi di sapone».

Le piace molto recitare. Sempre di più. Frequenta l’università, diciottenne, quando Franco Antonicelli, celebre uomo di pensiero torinese, la chiama a fare delle letture presso l’Unione Culturale. Qui viene notata da un regista della Rai che, alla fine di una prova, la avvicina e le dice, con fare quasi da congiurato:

«Stiamo facendo degli esperimenti. Una cosa che ancora nessuno conosce».

«Una cosa?» dice Cecilia. «Di che genere?»

«Si chiama televisione. È un po’ come fare teatro, ma sei dentro uno schermo. Ti va di partecipare?»

«Sembra interessante. Perché no?»

Da un momento all’altro, quella che è nata come una passione diventa un lavoro. Cecilia continua con gli esperimenti televisivi, e intanto riesce a entrare in una compagnia teatrale. Non una compagnia qualunque: è la compagnia di Gino Cervi. Con loro va in tournée per l’Italia, e poi recita anche all’estero, Londra, Parigi, in anni in cui andare in giro per il mondo non era roba da tutti, né di tutti i giorni.

Negli anni, Cecilia lavorerà con attori i cui nomi oggi sono leggendari: Alberto Lupo, Cesco Baseggio, Lilla Brignone, Tino Buazzelli. Perfino i suoi genitori, pur storcendo un po’ il naso, vanno fieri di lei. Anche se quel posto di insegnante…

Ed è proprio in teatro, prima di diventare un’attrice sul serio, che incontra l’uomo della sua vita. Ha pochi anni più di lei, gli occhi verdi e la barbetta bionda, e cammina con il bastone, perché la guerra è appena finita e lui è appena sceso dalla montagna, dove combatteva in una brigata di Giustizia e Libertà.

Noi che costruiamo gli uomini,Proprietà Letteraria Riservata,© 2012 Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.,Luisella Costamagna - Noi che costruiamo gli uomini. Storie di donne che sono riuscite a credere in se stesse. Mondadori, 2012

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