CULTURA
Riscoprire la Padova romana con le sue necropoli
La maggior parte delle nostre città ha un’origine molto antica, romana se non protostorica, ma le testimonianze del più remoto passato sono spesso invisibili, alterate dagli spogli compiuti in età medievale e moderna per il recupero di materia prima o semplicemente celate sotto secoli di stratificazioni urbane.
È così anche per Padova, l’antica Patavium, che da fiorente centro veneto, esistente già dalla fine del IX secolo a.C., diviene florida città romana, snodo cruciale per i traffici commerciali dell’alto Adriatico e polo manifatturiero di rilievo, noto alle fonti di età imperiale per l’elevato livello di benessere economico raggiunto dai suoi abitanti grazie in particolare all’allevamento ovino e all’artigianato tessile.
Tutta questa ricchezza è oggi a stento percepibile, a mala pena suggerita dai materiali del Museo Civico Archeologico e ben poco evocata dai resti monumentali ancora presenti nel centro storico, alcuni ridotti a ruderi come l’Anfiteatro, conservato solo in minima parte nei Giardini dell’Arena, o nascosti sotto l’asfalto come il ponte San Lorenzo, coperto negli anni Cinquanta col tombinamento delle riviere.
Ancora più sconosciuta è la realtà di tutti i giorni: come vivevano gli abitanti di Padova romana? Come si vestivano? Cosa utilizzavano nelle loro attività quotidiane, dal semplice bere e mangiare agli svaghi del tempo libero?
Come spesso avviene nei centri pluristratificati, la maggior parte delle risposte è oggi fornita dagli scavi d’emergenza che, subordinati alle opere di ammodernamento urbano, fanno riemergere dal suolo cittadino gli stralci del passato: domus di prestigio, abitazioni modeste, impianti termali nell’abitato; nel suburbio officine artigianali e soprattutto necropoli.
Sono forse proprio queste, le città dei morti, a restituirci il ritratto più vivido e più intimo delle società antiche: un compendio di usi, costumi e credenze suggellato dalla morte ma espressione del sentire e del vivere quotidiano. È da questa consapevolezza che ha preso avvio lo studio sulle necropoli di Padova romana, di recente portato a termine presso il Dipartimento dei Beni Culturali col sostegno della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto: la ricerca, basata sul riesame dei ritrovamenti passati e sull’analisi sistematica delle più recenti scoperte, restituisce oggi un nuovo volto alla città antica e ai suoi abitanti.
La mappatura dei ritrovamenti sepolcrali, con la creazione di una nuova carta archeologica, ha chiarito l’articolazione del suburbio: i sepolcreti erano disposti a raggiera attorno all’abitato, distribuiti lungo le strade extraurbane e alternati alle cave per l’estrazione di materiale edilizio e agli impianti artigianali dediti alla produzione di manufatti ceramici e metallici. Molto vasta era la necropoli che sorgeva a nord della città, oltre Ponte Molino, ripartita in più settori, gravitanti sulla strada per Vicenza o lungo gli assi rivolti alla fascia prealpina; una situazione analoga si ripeteva a sud, nella zona di Prato della Valle e Città Giardino, dove tombe e sepolcri monumentali si disponevano lungo i tracciati diretti ad Adria e Bologna. Altrettanto consistente era il sepolcreto orientale, impostato sulla via Annia volta ad Altino (identificabile nelle odierne via Belzoni e via Ognissanti), cui si affiancava un altro settore, dislocato poco più a sud, nell’area oggi occupata dal complesso ospedaliero; una forte instabilità idrogeologica rendeva invece difficile la frequentazione del suburbio occidentale, successivamente racchiuso dalle mura cinquecentesche.
Come si svolgevano i funerali nella Padova di età romana? Quali erano le pratiche standard e in quali occasioni venivano trasgredite? L’analisi di dettaglio condotta sulle singole sepolture ha permesso di far luce sui rituali di seppellimento e sulle tappe tipiche del cerimoniale, scandite da aspersioni di essenze profumate, libagioni e offerte alimentari in onore dei defunti. Dalla visione di insieme ne è scaturita un’immagine estremamente dinamica dove le tendenze di base, segnate dal progressivo distacco dalle tradizioni venete e dal graduale assorbimento del costume romano, si affiancano a numerose anomalie forse legate a mode straniere, giustificabili con la presenza di una società multietnica, tollerante e aperta agli apporti culturali esterni.
Anche lo studio dei materiali di corredo ha portato a risultati interessanti, permettendo una migliore comprensione della realtà economica cittadina: per le attività legate al rituale di sepoltura venivano utilizzati soprattutto manufatti prodotti in ambito locale o tutt’al più regionale (coppe, piatti, bicchieri ma soprattutto ossuari), segno di un ricorso preferenziale a un circuito commerciale di raggio piuttosto ristretto, in apparente contrasto con l’elevata ricchezza della città. La preminenza sul mercato delle manifatture locali non doveva tuttavia impedire l’esistenza di traffici commerciali con realtà italiche o provinciali poste a maggiore distanza, con l’importazione di oggetti di lusso accessibili solo alle fasce più benestanti della popolazione.
Il panorama del mondo patavino di epoca romana trova quindi in questo lavoro una nuova prospettiva, in attesa di futuri progetti di ricerca e valorizzazione che ne permettano una maggiore definizione.
Cecilia Rossi