UNIVERSITÀ E SCUOLA

Russia: l’innovazione fa sognare da superpotenza

La notizia che gira in Europa in questi giorni è che Putin vuole chiudere le università poco efficienti, e si accendono inevitabili i dibattiti sui criteri di valutazione e selezione alla base dei tagli. Ma la notizia vera è quella che in occidente gira meno, ovvero il contesto in cui questa intenzione si inserisce.

Già nel giugno 2012 l’agenzia Novosti batteva la notizia che il Minobrnauki, il ministero dell’Istruzione e della scienza, avrebbe completato entro l’anno il monitoraggio dell’intera rete dell’istruzione superiore statale. Il ministro dell’Istruzione Dmitrij Livanov aveva annunciato l’intenzione di mettere ordine nella babele di nuove università della Federazione russa, che negli ultimi vent’anni aveva visto decuplicare il numero degli istituti di istruzione superiore, sia pubblici che privati, con conseguente calo della qualità: in altre parole, a una crescita disordinata era vitale rispondere con un drastico riordino. Il risultato dell’analisi del ministero è che ben il 25% delle università (136 su 541) sono state giudicate inefficienti, e la lista degli istituti bocciati farà discutere a lungo. A novembre lo stesso Livanov aveva poi precisato che il governo non aveva piani di chiusura immediata delle università inefficienti e che avrebbe considerato, nella sua decisione prevista per la primavera 2013, anche altre opzioni come la riorganizzazione, un cambio di amministrazione o altre trasformazioni strutturali. Se si tratti di un semplice chiarimento o di una prima marcia indietro lo si capirà nei prossimi mesi.

Istruzione e ricerca in difficoltà, quindi, vittime di tagli feroci anche in Russia? A scorrere i documenti ufficiali del ministero non sembrerebbe. È del novembre del 2012 infatti la pubblicazione del programma federale “Crescita dell’educazione” 2013-2020, che prevede nuovi investimenti per un totale di quasi 100 miliardi di euro (0,85% stimato del Pil), la gran parte dei quali (quasi l’86%) dedicati alla crescita della formazione professionale. Tra i risultati attesi dal programma vi sono il miglioramento dei risultati degli studenti nei test internazionali (Pirls, Timss, Pisa), e il maggior numero di università russe nei primi 500 posti delle classifiche internazionali, ma lo scopo ultimo è la crescita economica e sociale indotta dal miglioramento del sistema educativo e conseguentemente del capitale umano. Per arrivarci, si vuole quindi tendere in tempi stretti a una maggiore efficacia nell’utilizzo dei fondi, e a un aumento del budget di spesa relativo all'istruzione dal 4,9% al 6,3% del Pil, con contributi anche a famiglie e imprese.

Particolare attenzione anche alla formazione permanente, come risorsa fondamentale per l’efficienza del Paese. E poiché la formazione è considerata questione strategica e infrastrutturale, al Programma sono chiamati a partecipare tutti i ministeri più importanti (Salute, Lavoro e welfare, Agricoltura, Cultura, Economia, Giustizia, Affari esteri) e numerose agenzie nazionali, dai trasporti a quella della proprietà intellettuale.

Parallelamente, il ministero dell’Economia ha pianificato già dal 2011 un incremento dei fondi destinati alla ricerca, riversandovi 25 miliardi di euro in più all’anno per tutto il prossimo decennio, con lo scopo di portare gli investimenti in ricerca al 2,5% del Pil (nel 2009 erano al 1,25%), e migliorare la propria produzione scientifica, con un occhio di riguardo per le scoperte con utilità pratica. Meritocrazia spinta anche qui, almeno a parole, con premi per gli istituti virtuosi e serio rischio chiusura per i “cattivi”.

Nel frattempo il governo decide di inviare gli studenti migliori nelle più prestigiose università straniere, a spese dello Stato, chiedendo in cambio il loro ritorno in patria a studi conclusi e il loro impegno a lavorarvi per almeno tre anni. Nulla di nuovo sotto il sole: sembrano tornati i tempi di Pietro il Grande che mandava a studiare in Europa i suoi migliori uomini, per accelerare lo sforzo di modernizzazione del Paese; e a voler credere a quanto si legge nei programmi ufficiali, Putin III ne esce come il despota illuminato che allo scarso rispetto dei diritti umani e civili unisce decisionismo e visione strategica, elementi alla base dell’ambiguità con cui viene percepito dai suoi concittadini. 

Ecco così i russi, in nome del pragmatismo, inseguire il modello economico Ue nei rapporti con i Paesi vicini (il progetto Eurasia) per allargare anche il mercato del lavoro e non solo quello delle merci; lanciare il programma Russia 2020, in cui lo sviluppo del capitale umano è considerato un mezzo per raggiungere posizioni di leadership a livello mondiale; pianificare forti investimenti in formazione e ricerca. L’economia al centro, l’avevano pur detto: modernizzazione e innovazione come armi diverse per riconquistare un ruolo e tornare ad essere ancora superpotenza.

Cristina Gottardi

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