UNIVERSITÀ E SCUOLA
Scuola, la fabbrica delle caste
Foto: Riccardo Venturi/contrasto
L’aumento della disuguaglianza economica negli Stati Uniti ha cause e conseguenze profonde e sta spingendo verso un precipizio questo Paese fondato sul simbolismo del “sogno americano”, secondo cui chiunque può farcela a patto che lavori sodo. Basti pensare che l’istruzione, che in teoria dovrebbe essere uno degli strumenti più potenti in mano a una società per livellare il gap tra chi nasce ricco e chi nasce povero, contribuisce qui a farlo lievitare.
Ad analizzare questo meccanismo perverso è stato, in alcune ricerche pubblicate di recente, Sabino Kornich, professore di Sociologia presso la Emory University di Atlanta, in Georgia. Il quale ha calcolato tra le altre cose che, dallo scoppio della Grande Recessione cominciata a fine 2007, il 10% di famiglie americane più ricche (ovvero con un reddito medio di oltre 250.000 dollari l’anno) ha incrementato il budget dedicato all’istruzione dei figli del 35%, mentre il rimanente 90% ha continuato a spendere la stessa cifra di prima. “Il gap tra i consumi dei ricchi e dei poveri è andato aumentando nel tempo, in particolare sull’istruzione e la cura dei bambini – dice Kornich – Al contrario che per le famiglie più abbienti, i soldi spesi dalle famiglie con redditi medi o bassi per istruire i figli sono rimasti quasi invariati negli ultimi 30 anni”.
Secondo il ricercatore, questa tendenza si spiega innanzitutto con il fatto che i guadagni del 10% che si trova al top della piramide socio-economica americana - finanzieri, medici, avvocati, lobbisti e simili - sono cresciuti in maniera vertiginosa negli ultimi 30 anni, mentre gli stipendi della working class sono stagnanti, se non addirittura in declino, ormai dai lontani anni Settanta. Tra l’altro, la recentissima ripresa dell’economia americana non ha fatto altro che acutizzare il problema, giacché delle migliorate condizioni economiche si sono avvantaggiati fin qui soprattutto i più facoltosi.
La recessione che ha travolto il Paese negli scorsi anni riducendo improvvisamente le opportunità a disposizione dei suoi cittadini ha fatto paura a tutti, anche ai ricchi. I quali, avendone i mezzi, hanno reagito investendo ancora più di prima nell’educazione dei propri figli per prepararli a un futuro di maggiore scarsità e, di conseguenza, di competizione ancora più intensa.
Non c’è dubbio che il modo in cui è strutturato il sistema americano dell’istruzione, fortemente decentralizzato e privatizzato, faciliti questo genere di evoluzione. Secondo dati del governo federale analizzati dall’Associated Press, le iscrizioni alle scuole elementari e secondarie private con un costo sui 30.000 dollari l’anno sono aumentate del 36% tra il 2007 e il 2011. Chi ha potuto, è corso ai ripari mandando i propri figli a studiare negli istituti più costosi ed elitari del paese. Lo stesso tipo di fenomeno investe anche le scuole pubbliche, le quali negli Stati Uniti sono generalmente finanziate da tasse locali sugli immobili, e quindi sono di qualità superiore nei quartieri in cui le case costano di più. Secondo dati della società di ricerca e consulenza immobiliare Trulia, i genitori americani abbienti sono disposti a pagare un sovrappiù del 32% sulla media nazionale per acquistare una villetta che si trovi in uno dei distretti scolastici migliori del Paese.
Esiste poi un effetto secondario: le famiglie ricche hanno più soldi da spendere anche per le attività extracurricolari dei figli, sportive e culturali, così come nelle lezioni di ripetizione per i più zucconi. Un trend ormai di lungo periodo: gli economisti Greg Duncan e Richard Murnane, rispettivamente dell'University of California, Irvine e di Harvard, hanno calcolato che tra il 1972 e il 2006 gli americani dai redditi più elevati hanno aumentato la propria spesa per le “attività di arricchimento” dei figli del 151%, contro il 57% dei genitori dai redditi bassi. Un aiuto sostanziale che rimpolpa i curriculum dei giovani privilegiati, indipendentemente dalle loro doti, e li mette in pole position, già dall’infanzia, per l’ammissione alle scuole e università più prestigiose e per l’accesso alle carriere più remunerative.
A New York, ad esempio, esiste una rete di scuole superiori pubbliche “specializzate”, che seguono standard accademici particolarmente rigorosi e preparano tutti gli iscritti per l’università. Giacché sono gratuite e di alta qualità, sono molto attraenti per i residenti della Grande Mela, e quindi estremamente selettive. Tutti coloro che desiderano accedervi devono sostenere un difficile esame di ammissione. Quest’anno vi hanno partecipato quasi 28.000 ragazzi, e di questi solo 5.000 lo hanno superato. Pur essendo pensate per offrire una formazione di alta qualità ai giovani newyorchesi di maggior talento indipendentemente dal loro status socio-economico, queste scuole finiscono spesso per avere un corpo studentesco non troppo dissimile da quello degli istituti privati, giacché i genitori che se lo possono permettere pagano ai propri figli, ancora durante le medie, costosi corsi privati che li preparano all’esame permettendo loro di aggiudicarsi la gran parte dei posti.
Va detto che alcune delle possibili soluzioni a questo problema sono ben note da tempo, anche se spesso manca la volontà politica per attuarle. “Sappiamo ad esempio che servizi di asilo nido e scuola materna garantiti a tutti abbassano i costi per i genitori e rendono fin da subito più eguale la qualità delle cure ricevute dai bambini – dice Kornich – Per quanto riguarda l’istruzione superiore, tasse d’iscrizione più basse possono contribuire a offrire pari opportunità ai ricchi e ai poveri, così come più borse di studio per i giovani meno abbienti”.
Come abbiamo visto, però, all’origine della questione sta l’accresciuta disuguaglianza economica in America, cui oggi l’istruzione non fa altro che contribuire. Ed è quindi dalla riduzione della disuguaglianza che bisogna partire, attaccando le radici del problema, se si vuole che il merito abbia di nuovo la possibilità di essere premiato, e non solo la fortuna di essere nati nella famiglia giusta.
Valentina Pasquali