UNIVERSITÀ E SCUOLA

Scuola: tutti dentro (se avete un buon avvocato)

È la spallata definitiva al sistema delle supplenze, nelle forme in cui lo abbiamo conosciuto nella scuola italiana fino a oggi. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che la normativa italiana sui contratti a tempo determinato, utilizzati per coprire posti vacanti e assenze del personale scolastico docente e Ata (ausiliare, tecnico e amministrativo), è contraria al diritto dell’Unione. La sentenza, atto finale di una lunghissima vertenza, è appena stata pubblicata ma già fioccano le interpretazioni sulle sue possibili conseguenze: quello che è certo è che dopo la pronuncia dei giudici di Lussemburgo l’intera impalcatura giuridica del regime delle supplenze in Italia dovrà essere ripensata. Ai giuristi, invece, spetterà dibattere sulle conseguenze pratiche che il verdetto (e le sue ricadute su ordinamento e giurisprudenza italiani) potrebbe produrre sulle centinaia di migliaia di precari, tra insegnanti e personale Ata, che da anni si vedono rinnovare supplenze annuali o brevi senza prospettive chiare sul loro futuro. Perché è proprio questo il cuore delle argomentazioni della Corte: la legge italiana che regola i contratti a termine nella scuola si presta ad abusi contro i quali non predispone né misure preventive né rimedi efficaci.

Nel merito, i giudici hanno dichiarato che la normativa italiana contrasta con la direttiva Ue 1999/70, che attua l’accordo quadro sui contratti a tempo determinato del 18 marzo 1999. L’accordo in questione (di cui la direttiva imponeva agli Stati l’applicazione entro il 10 luglio 2001, con eventuale proroga di un anno) detta norme sul lavoro a tempo determinato, tra le quali spiccano quelle relative a “Misure di prevenzione degli abusi”. È la clausola numero 5 dell’accordo, che richiede agli Stati membri di introdurre nella legislazione almeno una tra queste tre disposizioni: la previsione di “ragioni obiettive” che giustifichino il rinnovo dei contratti a termine; la specificazione della durata massima complessiva dei contratti a termine in successione; la precisazione del numero possibile di rinnovi.

La Corte, ribadendo che l’accordo quadro si applica a tutti i lavoratori (compresi dunque quelli del settore pubblico), rileva che la normativa nazionale (come già sottolineato dalla Corte Costituzionale italiana) non prevede per il comparto scuola né una durata massima totale dei contratti di supplenza che si susseguano nel tempo, né l’indicazione del tetto massimo di rinnovi. I giudici europei non escludono che l’istituto delle supplenze possa trovare “ragioni obiettive” per garantire la continuità del diritto all’istruzione nel rispetto di una necessaria flessibilità e in attesa della copertura stabile dei posti vacanti; tuttavia ritengono che questo non basti a rendere le leggi italiane conformi all’accordo quadro. Secondo la Corte, infatti, la disciplina vigente in Italia tende a utilizzare le supplenze anche per risolvere necessità permanenti di personale. Viene infatti ricordato che non esistono tempi certi per l’immissione in ruolo dei supplenti; e la trasformazione in contratti a tempo indeterminato dei rapporti di lavoro a termine di durata superiore a 36 mesi, prevista in via generale, non si applica ai contratti di conferimento delle supplenze. Non sono stabilite, infine, forme di risarcimento nel caso di abusi nel ricorso a contratti a termine per l’insegnamento. 

In sintesi, secondo la Corte non è ammissibile che la nostra normativa permetta la successione di contratti di supplenza nelle scuole senza indicare un percorso chiaro e prestabilito per le assunzioni in ruolo tramite concorso né prevedere la possibilità di un risarcimento nel caso di abusi (che, nell’attuale legislazione, sono ardui da definire e quindi da sanzionare); la legge italiana, inoltre, “non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti” per stabilire se il ricorso alle supplenze sia fondato, utile e necessario.

In attesa che la valanga inizi a produrre i suoi effetti, si possono già fare alcune considerazioni sulla strategia fin qui delineata dal governo sul precariato. Il ministro Giannini, avuta notizia della sentenza, ha subito dichiarato che il piano di assunzioni previsto nel dossier “La buona scuola” risponde alla pronuncia Ue ed anzi “va oltre”, permettendo di uscire dalla “logica emergenziale” e consentendo agli insegnanti “di avere certezza su tempi e modi di accesso alla professione”. È proprio così, al momento? Certo “La buona scuola” ha introdotto un programma di assunzioni straordinario, finanziato dalla legge di stabilità 2015, anche in previsione della sentenza europea. I 148.000 precari immessi in ruolo a settembre 2015 dovrebbero ridurre fortemente il numero dei supplenti storici. Si tratta infatti, in grandissima parte (circa 140.000) degli iscritti nelle graduatorie a esaurimento; i rimanenti sono i vincitori del concorso 2012, oltre ai laureati in Scienze della formazione primaria e gli ex SSIS rimasti fuori dalle graduatorie (queste ultime due categorie rientreranno nelle stabilizzazioni solo se i risparmi di bilancio lo consentiranno). Dal 2016, poi, le assunzioni dovrebbero avvenire solo per concorso: a cominciare da quei 40.000 che dovrebbero essere selezionati con un bando da pubblicare la prossima primavera. Ma tutti gli altri precari? Una volta eliminati gli elenchi a esaurimento, il problema più spinoso riguarderà le graduatorie di seconda fascia, quelle riservate agli abilitati per l’assegnazione delle supplenze. “La buona scuola” non prevede la stabilizzazione dei docenti di seconda fascia, i quali, per entrare in ruolo, dovranno vincere un concorso, a partire da quello che dovrebbe essere bandito l’anno prossimo. Per quanti non passeranno la prova, la prospettiva è di rimanere nella graduatoria di precari abilitati che, dopo le maxitornate di assunzioni, sarà l’unica fonte cui si attingerà, in modo molto limitato, per le future supplenze (che dovrebbero diradarsi drasticamente). Ma questa scelta si trova inevitabilmente a collidere con le argomentazioni della Corte di giustizia, che sottolinea come è inaccettabile che vi siano categorie di insegnanti che vedano rinnovati i contratti a termine per periodi lunghissimi e senza alcuna tutela né certezza sul futuro. Quanti sono gli insegnanti abilitati non compresi nelle graduatorie a esaurimento e che quindi non rientreranno nel piano di stabilizzazioni? L’unica indicazione ci viene proprio dal piano “La buona scuola”, che stima in circa 160.000 i supplenti in possesso di abilitazione potenzialmente candidabili al prossimo concorso. È chiaro che adesso una delle prime urgenze del governo sarà proprio quella di contare tutti gli abilitati che resteranno fuori dal piano di assunzioni, verificandone l’anzianità di servizio. Una delle possibili interpretazioni sugli effetti della sentenza che vengono avanzate in queste ore è che il tetto dei 36 mesi complessivi di contratti a termine, superato il quale scatterebbe l’assunzione definitiva, dovrebbe essere applicato anche ai supplenti con anzianità superiore ai tre anni. Se è così, il piano “La buona scuola” potrebbe trasformarsi, da maxisanatoria senza precedenti, a misura del tutto insufficiente per mettersi in regola con l’Europa.

Martino Periti

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