CULTURA
Sgomberate pure, ma i libri non si toccano
New York, 2011. Occupy Wall Street, The People’s Library. Foto: James Heil/Redux/contrasto
I libri non si mandano in discarica, neppure se sono parte di un’occupazione illegale. Le biblioteche pubbliche sono un’istituzione americana e quindi sono sacre: questo il senso della sentenza di un giudice di New York nella lunga serie di battaglie legali che vedono contrapposti il movimento Occupy Wall Street e l’amministrazione Bloomberg. Sebbene non si tratti di un riconoscimento delle ragioni della protesta, l’affermazione conseguita in tribunale ha comunque un suo valore simbolico. La sentenza emessa dalla corte federale distrettuale la scorsa settimana non è relativa casi di violenza e maltrattamenti subiti dagli aderenti alla protesta, ma riguarda un risarcimento dovuto al danneggiamento e alla distruzione di oltre 3.600 libri.
La storia inizia nel settembre 2011, nel cuore finanziario di Manhattan, in concomitanza con l’occupazione di Zuccotti Park e la nascita del movimento stesso. Il 17 settembre i manifestanti cominciano a occupare in pianta stabile il parco e in molti casi a viverci, creando una vera e propria comunità. Sin da subito gli occupanti si danno regole e inagurano vari servizi, tra cui appunto una ben fornita biblioteca subito battezzata come “The People’s Library”.
Nei pochi mesi intercorsi tra l’occupazione del parco e l’operazione di sgombero effettuata dalla polizia, la biblioteca aveva raccolto quasi 4.000 libri frutto di donazioni e della messa in comune dei volumi provenienti dalle abitazioni private degli occupanti. The People’s Library era stata creata nell’angolo nordorientale del parco e rappresentava il luogo più vivo del parco stesso. Era lì infatti che gli occupanti si riunivano e talvolta improvvisavano conferenze stampa. Inoltre non era raro vedere come molti giornalisti, curiosi o semplicemente cittadini newyorchesi si dessero appuntamento proprio nei pressi della biblioteca dove scoppiavano appassionate discussioni politiche. La biblioteca non conteneva soltanto volumi politici, sociologici o saggi di filosofia ma era assai variegata e non mancavano romanzi e bestseller di ogni genere, a ulteriore testimonianza sia dell’eterogeneità della formazione culturale e degli interessi degli occupanti che della forza penetrativa delle proposte editoriali commerciali.
Il 15 novembre 2011, su richiesta dei proprietari del terreno sul quale sorge il parco (la società Brookfield Properties) e adducendo ragioni igieniche, il sindaco Bloomberg inviò centinaia di agenti in tenuta antisommossa a liberare il parco. I manifestanti, che risposero con un atteggiamento di resistenza passiva, lamentarono un eccessivo uso della forza da parte della polizia (e questo è al centro di altre contese giudiziarie tutt’ora in corso). Gli agenti, oltre a sgomberare il parco dai suoi occupanti rimossero anche tutti gli oggetti presenti: tende, sedie, tavoli, striscioni e, appunto, libri. Si stima che al momento dello sgombero fossero circa 3.600 i volumi presenti nella People’s Library. Essi vennero caricati su dei camion assieme a tutti gli altri materiali e portati in un deposito in New Jersey. Di fatto i libri vennero trattati come rifiuti. E come tali vennero smaltiti.
I periti designati dalla corte hanno stabilito come appena un migliaio di questi libri siano “recuperabili”. Tutti gli altri sono andati distrutti o sono stati gravemente danneggiati nello sgombero e dal periodo di giacenza nel deposito (soprattutto dalla contaminazione con avanzi di cibo). Pertanto il giudice ha riconosciuto un risarcimento di 47.000 dollari a favore della Library Working Group, il gruppo di manifestanti che gestiva l’angolo dei libri. A questi vanno sommati altri 186.000 dollari di spese legali, dei quali 170.000 a carico del Comune di New York e 16.000 di competenza della Brookfield Properties. Il Comune di New York ha inoltre accettato di pagare 75.000 dollari come risarcimento per la distruzione di computer e altre attrezzature elettroniche e altri 8.500 dollari per il danneggiamento di “Energy bycicles” che erano utilizzate come generatori di corrente per fornire energia pulita alle attività del parco.
Tra gli aderenti al movimento la soddisfazione è palpabile e soprattutto la sentenza è vista come di buon auspicio per le altre e più importanti cause in corso che riguardano i presunti maltrattamenti subiti durante lo sgombero e la possibile incostituzionalità dello stesso, in quanto lesivo dei diritti a manifestare garantiti dal primo emendamento della Costituzione. Su quest’ultimo ambizioso punto però, sarà difficile che ai manifestanti venga data ragione o che il caso riesca a raggiungere la Corte Suprema. Vi è infatti una cospicua giurisprudenza sul fatto che le autorità non possano limitare il diritto di espressione dell’individuo ma possano regolamentare il dove e il come si protesta, specie se questo lede i diritti di altri individui e se sono garantiti spazi e orari dove esercitare il proprio diritto di protesta. Proprio per queste ragioni è improbabile che Occupy Wall Street riesca a vincere la causa che più ha a cuore: quella in cui sostiene l’illegittimità dello sgombero del 15 novembre 2011. Le public libraries, però, non si toccano.
Marco Morini