UNIVERSITÀ E SCUOLA

Spagna: i dolori del ministro Wert

In questi giorni forse José Ignacio Wert rimpiange di aver accettato nel 2011 la nomina a ministro dell’Educazione, della cultura e dello sport. Fin dall’inizio del suo incarico infatti, in seguito alla vittoria alle elezioni del Partido popular, non sono mai cessate le polemiche intorno alle decisioni di questo sociologo, abbastanza digiuno di politica ma con alle spalle un curriculum lavorativo di prestigio, che spazia dall’insegnamento universitario al management.

Negli ultimi tempi tuttavia la popolarità del ministro madrileno sembra essere ulteriormente precipitata, portandolo ad essere nei sondaggi, secondo il quotidiano di area liberal El Pais, il componente meno apprezzato in un esecutivo che già non brilla per la popolarità. Lo scorso 17 maggio è stata infatti approvata dal Consiglio dei ministri la proposta per una “Legge organica per il miglioramento della qualità educativa” (Ley Orgánica para la Mejora de la Calidad Educativa, detta anche Lomce o Ley Wert). Un progetto giudicato strategico dalla maggioranza per l’ammodernamento del sistema educativo secondario, in un Paese dove ancora oggi l’abbandono scolastico risulta molto alto (nel 2012 circa un quarto dei giovani tra i 18 e i 24 anni non aveva un titolo superiore o di formazione professionale). Dopo oltre un anno di discussioni però la proposta è ancora fortemente criticata sia dall’opposizione che dalle maggiori associazioni di docenti e di studenti.

Le proteste riguardano diversi ambiti: dalla rimodulazione dei corsi di studio fino alla compressione delle autonomie locali, vista come un tentativo occulto di “spagnolizzare” realtà autonome come la Catalogna e il Paese Basco. La critica principale però, come già successe in Italia all’epoca di Mariastella Gelmini, è quella di impostare una riforma organica sulla base delle necessità dettate dalla crisi economica: oggi infatti il bilancio per l’insegnamento è già ridotto di circa 6,7 miliardi di euro rispetto al 2010. Tutto questo, assieme a un atteggiamento da parte del ministro giudicato arrogante, ha portato per la prima volta nella storia spagnola a due scioperi generali che hanno coinvolto tutte le tappe del sistema educativo (il primo l’anno scorso e l’ultimo il 9 maggio 2013), con migliaia di persone in piazza.

Anche in ambito universitario il rifiuto a discutere i tagli con la conferenza dei rettori spagnola (Crue) ha portato allo scontro frontale. Ma non è finita perché in questi giorni il ministro è di nuovo nell’occhio del ciclone con il dibattito per la riforma delle borse di studio, sia universitarie che a livello di scuole superiori. Per ottenere infatti le nuove sovvenzioni (beca), agli studenti superiori e universitari non dovrebbe più bastare la media del 5 (la sufficienza secondo il sistema spagnolo, dove la valutazione è espressa in decimi sia alle superiori che all’università), ma dovrebbe essere necessario un 6,5. Un voto medio-alto, grosso modo corrispondente a una valutazione dal 24 al 27 nelle università italiane. Un secondo aspetto importante è che l’importo dei nuovi benefici dovrebbe diminuire, e soprattutto variare individualmente a seconda del reddito, dei voti del richiedente, della media degli altri studenti e delle risorse pubbliche messe a disposizione. Un vero rompicapo, a fronte di un sistema che negli anni passati arrivava a garantire fino a 7.000 euro agli studenti che studiavano al di fuori della propria Comunidad (come vengono chiamate le regioni in Spagna).

Il progetto, la cui attuazione parziale è già partita quest’anno, è stata subito oggetto di critiche feroci pressoché da tutte le parti, compresi alcuni importanti spezzoni del Partido popular. In particolare viene da più parti sostenuta l’incostituzionalità del nuovo quadro, che secondo alcuni porterebbe a un dimezzamento del numero delle borse erogate, con un effetto escludente e dissuasorio rispetto agli studi che, ha lamentato la Crue, arriverebbe a minacciare lo stesso principio costituzionale di uguaglianza. Dall’altra parte alle critiche il ministro risponde che, soprattutto per quanto riguarda lo studio universitario, l’obiettivo primario è quello di “conseguire un maggior rendimento da parte degli studenti, considerato lo sforzo ingente compiuto dalla società” per sovvenzionare l’istruzione superiore e universitaria (prima dell’aumento delle tasse dello scorso anno dallo stato i finanziamenti statali coprivano circa l’80% dei bilanci degli atenei).

Negli ultimi mesi il livello dello scontro è cresciuto, tanto che lo scorso 4 giugno, in occasione di una premiazione riservata ai migliori studenti universitari, una decina di loro ha ostentatamente rifiutato di stringere la mano al ministro. Un episodio che forse ha portato Wert a riconsiderare la sua strategia di comunicazione, se non proprio le sue posizioni. Negli ultimi giorni infatti è parso più conciliante, chiedendo agli atenei di esprimere una controproposta sulla questione delle borse di studio, dimostrandosi meno rigido persino sul requisito della media del 6,5, prima indicato come irrinunciabile.

Daniele Mont D’Arpizio

© 2018 Università di Padova
Tutti i diritti riservati P.I. 00742430283 C.F. 80006480281
Registrazione presso il Tribunale di Padova n. 2097/2012 del 18 giugno 2012