UNIVERSITÀ E SCUOLA

Starbucks, laurearsi non è facile come bere un caffè

Avendo ormai in pugno il settore mondiale dell’espresso e del cappuccino, Starbucks ha deciso ora di avventurarsi anche in quello dell’università. La catena americana del caffè ha infatti annunciato a giugno di voler sostenere finanziariamente gli sforzi di quei dipendenti che decidono di proseguire i propri studi parallelamente al lavoro, rimborsandoli delle tasse d’iscrizione, o tuition, che, negli Stati Uniti, sono in crescita esponenziale. “Non c’è dubbio, la disuguaglianza all’interno del nostro Paese ha creato una situazione in cui tanti americani vengono lasciati indietro - ha dichiarato il proprietario di Starbucks Howard Schultz in un comunicato stampa di presentazione dell’iniziativa - La domanda che ci dobbiamo porre noi è se accettare questa realtà o se provare a cambiarla”.

Non è però tutto oro quel che luccica e, man mano che sono emersi i dettagli di questo programma, se ne sono palesati anche i tanti difetti. Tanto da far venire il dubbio che questa sia più un’astuta mossa di pubbliche relazioni da parte dell’azienda che un’idea che aiuterà davvero i suoi lavoratori. “Di certo ha delle limitazioni – dice Rachel Fishman, ricercatrice nel programma sull’educazione della New America Foundation a Washington D.C. – Non è la panacea che tutti credevano inizialmente”. 

Innanzitutto, Starbucks sosterrà solo i costi di quei dipendenti che sono già al terzo o quarto anno di studi. Inoltre, i contributi dell’azienda avranno la forma di un rimborso, che sarà effettuato solo dopo che i lavoratori-studenti al terzo anno avranno completato un determinato numero di crediti, oggi fissato a 21. Questo significa che i beneficiari dell’iniziativa dovranno, prima di ricevere qualunque benefit, sborsare di tasca propria i soldi per i primi due anni di università, e per i corsi del terzo anno necessari a raggiungere la soglia minima di crediti imposta da Starbucks prima che scatti il rimborso. “Il programma è utile solo a chi sta cercando di completare una laurea già iniziata – dice Fishman – È senz’altro una di quelle situazioni in cui è meglio leggere tutte le virgole prima di firmare il contratto”. Il sistema funziona, altrimenti, solo per chi ha un reddito, almeno nei primi due anni, sufficientemente basso da garantire le borse di studio distribuite dal governo federale, in particolare i cosiddetti Pell Grant. 

L’offerta presenta poi una seconda caratteristica piuttosto dubbia. È infatti strutturata attraverso una partnership esclusiva con l'Arizona State University, e chi vi partecipa è obbligato a frequentare i suoi corsi, ma neanche tutti, solo quelli online. Per parte sua, ASU offre ai dipendenti di Starbucks uno sconto notevole sui circa 15.000 dollari di tuition (nella forma di una borsa di studio) per i primi due anni di lezioni. “Proprio così, l’azienda che offre ai clienti 87.000 combinazioni possibili quando questi devono ordinare una bevanda calda, non offre alcuna scelta ai propri dipendenti quanto a dove e come studiare”, scrive Sara Goldrick-Rab, professore associato di Politiche dell’educazione e Sociologia all’Università del Wisconsin-Madison, sul blog TheEduOptmists

“Penso la debolezza maggiore dell’iniziativa di Starbucks sia proprio che non permette agli studenti di scegliere l’istituzione che preferiscono”, dice Fishman. Tra le altre cose, questo significa che i partecipanti sono costretti a frequentare l’università online, un sistema che gli esperti ritengono tutt'ora inferiore a quello tradizionale, in particolare per via della mancanza di interazione faccia-a-faccia con i docenti e con gli altri studenti. Inoltre, la collaborazione tra Starbucks e ASU rischia di costare di più, non di meno, ai dipendenti dell’azienda, giacché questi devono ora pagare i primi due anni presso questa più costosa università quadriennale (seppur con uno sconto) anziché risparmiare iscrivendosi a uno dei tanti community college locali, solo biennali, ma molto poco costosi, per poi fare in seguito il trasferimento verso un’istituzione più grossa.  

Va detto che rispetto ai tanti simili programmi offerti da altre corporation americane, quello di Starbucks ha due vantaggi in particolare: è aperto anche a chi è solo part-time e non obbliga i partecipanti a rimanere con l’azienda per un certo numero di anni, pena la restituzione dei contributi ricevuti. I neo-laureati possono andarsene anche immediatamente. In generale, dice Fishman, “penso sia una buona cosa che un datore di lavoro ci metta del proprio per aiutare i propri lavoratori ad accedere all’università”. 

L’iniziativa, però, mette anche in luce le lacune del sistema americano della formazione universitaria. “La sanità nel nostro Paese dipende dalla copertura assicurativa offerta dalle aziende, e non funziona certo molto bene: quindi, non penso che applicare lo stesso meccanismo all’istruzione sia la strategia migliore – conclude Fishman – Per affrontare davvero il problema, bisogna ripensare la partnership tra il governo federale e quelli statali, rafforzandola in modo che il prezzo dell’università non diventi proibitivo per gli studenti”. 

Valentina Pasquali

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