SOCIETÀ

Stéphane Hessel, ponte fra generazioni

Ha anticipato di qualche settimana l'irrompere sulla scena dei giovani di Istanbul e Ankara la traduzione italiana di Non arrendetevi, l'ultimo libro di Stéphane Hessel, e cade a proposito. Perché, idealmente, la rivolta turca riporta i temi dell'impegno, della partecipazione e dell'opposizione a politiche decise sulla testa di chi le subirà al centro della scena politica, e perché il libro rappresenta per l'autore il tentativo di fare un bilancio sulle mobilitazioni che si erano ricollegate al suo Indignatevi!, sulla loro efficacia e i loro limiti. Un bilancio provvisorio, certamente, ma affascinante e di grande interesse per l'insieme di urgenza ed esperienza, valutazione politica immediata e prospettiva di lunga durata che il 95enne Hessel – che ha lavorato al libro nei suoi ultimi mesi di vita – ha saputo mettervi dentro.

Il libro si presenta, nella forma, come una riconsiderazione dei movimenti ispirati dal pamphlet del 2010 – degli Indignados spagnoli, anzitutto: Lluìs Urìa, l'interlocutore, è corrispondente di La Vanguardia a Parigi –, intransigente e concentrata sull'efficacia nell'ottenere i cambiamenti politici richiesti. Nella sostanza, però, l'obiettivo di Stéphane Hessel, il "partigiano della memoria" che a suo tempo fu tra gli estensori della Dichiarazione universale dei diritti umani è, in questo suo ultimo lavoro, assieme più ristretto e molto più ampio: porre quella che gli pare essere la domanda politica essenziale, oggi, quella sullo stato di salute delle nostre democrazie; e cercare assieme ai suoi lettori gli elementi per rispondervi.

Per farlo, Hessel ci porta a guardare indietro, come l'angelo di Klee di Walter Benjamin, e a scorgere nelle rovine e nella catastrofe del Novecento, che egli ha attraversato, il senso della nostra storia. A ricomporre gli elementi essenziali, evidentissimi ma coperti di incrostazioni, delle società democratiche nate dal conflitto. Ci ricorda cose che sappiamo bene, che ci appartengono, ma che passo dopo passo abbiamo finito per dimenticare, e – complice il nostro sguardo rivolto altrove – sono state messe fra parentesi. Mentre, invece, sono le basi comuni cui tornare.

Con le sue parole, nella loro "ovvietà" – così si schermiva, con i suoi interlocutori: "dico cose scontate.." siamo nel cuore del "secolo breve", al tetto di paglia danese di Brecht esule dalla Germania nazista, poco lontano dalla Norvegia dove l'altrettanto tedesco Brandt combatteva con la resistenza, in un viaggio della memoria che sfiora lo spagnolo-francese Jorge Semprùn a Buchenwald e la marsigliese di Bogart in Casablanca. Per riportarci, con Jean Moulin e il Conseil de la Resistance francese, alla questione essenziale: cosa significa rimettere in piedi una democrazia. Rifondarla. Di che cosa ha bisogno per funzionare e mantenere solide basi.

E si torna, in queste pagine, a Roosevelt – non a caso scelto come riferimento del gruppo con cui Hessel formulava, negli ultimi anni, le sue proposte politiche – e alla crisi degli anni Trenta, alle politiche di austerità di allora e alle loro conseguenze, che minarono le democrazie e aprirono la strada al nazismo e alla guerra. Per confrontarle, beninteso, con le politiche di austerità di oggi, e più in generale con le conseguenze di una società che la preminenza dell'economia finanziaria sulla politica rende sempre più escludenti e lontane dai cittadini.

Non arrendetevi, così come i precedenti Indignatevi! e Impegnatevi!, che in questo senso si possono forse leggere come un unico libro, attesta una profonda crisi delle democrazie attuali, guardate con la lente degli ideali e delle realizzazioni del dopoguerra, e si chiede: ci interessa, la forma democratica delle nostre società? Se sì, occorre una urgente opera di manutenzione, che le riporti "verso i princìpi loro".

Occorre ripensare l'economia, criticamente, e cambiarla: perché le democrazie non possono sopportare un livello di diseguaglianze come quello che la rivoluzione neo-liberale avviata negli anni Ottanta da Reagan secondo le idee di Friedman e Von Hayek ha determinato, e che hanno portato a società di tipo oligarchico – Hessel non ha problemi nel definirle così – nelle quali le decisioni vengono prese in circoli ristretti che accentrano il potere economico, politico, mediatico.

E, soprattutto, le democrazie non possono sopportare un principio sovraordinato, come attualmente di fatto è per l'economia rispetto alla sovranità popolare. Se un certo tipo di economia e di idee attorno alla società producono certi effetti, ci dice Hessel, allora è compito dei cittadini cambiarle. Semplicemente.

Qui, allora, l'appello al senso di giustizia – l'indignazione; alla capacità di mettersi in gioco e organizzarsi – l'impegno; e infine alla pazienza – non arrendersi – e alla disponibilità all'azione politica in senso pieno e proprio, come capacità di trasformazione. Responsabilità, e dunque efficacia. A costo di sporcarsi le mani, ed entrare in quelle istituzioni e anche in quei partiti senza i quali – provoca Hessel, ricordando ai suoi lettori un punto critico, e molto contestato – non si è in grado di produrre un cambiamento duraturo: "A livello politico, non si deve avere il dubbio se entrare o meno nei partiti". Bisogna farlo, sostiene, per cambiarli  e far avanzare le proprie idee. Per rimettere le nostre società su basi più eque, verso i cittadini e verso la natura, e per riprendere nelle nostre mani uno dei patrimoni culturali e politici più profondi e fecondi della storia, quello dell'idea di Europa. Trasformandone le istituzioni.

Un'idea non lontana a quella di Hannah Arendt, anche lei ebrea tedesca e di una sola generazione più vecchia di lui, cui il termine di azione fa riferimento, e che nel tesoro perduto delle rivoluzioni ricordava come sia necessario dare alla libertà comune istituzioni e leggi che ne mantengano ed estendano le condizioni – pena, in caso contrario, essere condannati a perderla rapidamente. Nelle parole di Hessel: "Bisogna ritrovare la politica, perché senza politica non ci può essere progresso… Io credo in un lavoro intelligente, a lungo termine, attraverso l'azione e la concertazione politica, e la partecipazione democratica. La democrazia deve essere il fine, ma anche il mezzo".

Michele Ravagnolo

Proteste di solidarietà ad Antalya contro gli scontri di piazza Taksim a Istanbul. Foto: Gianni Riccamboni

Il sindaco di Antalya, città sulla costa mediterranea della Turchia aveva vietato l'uso dell'acqua alla polizia per caricare gli idranti da usare poi contro i manifestanti. Foto: Gianni Riccamboni

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