CULTURA

Storie di santi e allegorie pagane

Uno spazio rinascimentale, nell’architettura e nell’apparato iconografico, sul cui suolo sono infissi ventisei prismi in bronzo che recano sulla loro sommità il calco scuro e lucido di una maschera. La luce colpisce quei volti deformi fermandosi sulla loro superficie, e generando un’ombra di metallo, nera e impenetrabile, che arriva al suolo e da lì sostiene gli enigmatici moloch. I Prismi costituiscono un’opera unitaria di Giuseppe Gallo, artista protagonista della Nuova Scuola Romana, in questi giorni in mostra nel cinquecentesco oratorio di San Rocco a Padova. La giustapposizione d’opere d’arte contemporanee e rinascimentali produce racconti in tempi diversi e con esiti paralleli: pittura cinquecentesca e scultura del XXI secolo mescolano la storia d’un santo con immagini d’allegorie pagane, maschere raccolte dall’artista calabrese negli anni e attraverso i cinque continenti. L’effetto è quello del perfetto anti-white cube, l’antitesi della sala espositiva antisettica, dalle pareti assolutamente bianche, dell’azzeramento delle connessioni percettive o funzionali fra contenitore e contenuto, opera e fruitore,  teorizzate negli anni settanta da Brian O’Doherty e che continuano ad avere un largo impatto nella progettazione museografica. Ciò che accade a San Rocco si pone sul versante opposto: le sculture bronzee riempiono l’area dell’oratorio, cinte in un abbraccio dal nastro degli affreschi cinquecenteschi di Gualtiero Padovano, Domenico Campagnola, Stefano dell’Arzere;  lo spazio diventa opera, il contesto è anche contenuto.

Ad una prima occhiata, fermi sulla soglia dell’oratorio, la posizione dei totem sembra casuale. Accostandosi alla scultura più vicina, maschera di Pulcinella su di un alto basamento, si avverte l’ordine quasi nascosto di un percorso espositivo e conoscitivo tracciato dall’artista e dagli allestitori: una spirale che accompagna a guardare in volto le figure di un maiale africano, un frontone romano seicentesco, una divinità indù, una maschera della commedia greca, e via via le altre immagini che richiamano il Messico, il Brasile, l’Asia, la Germania, l’Oceania. Un gioco che diverte e ancor più incuriosisce quando se ne chiede il motivo all’autore, il perché abbia scelto proprio una figura a spirale: “Così mi è sembrato bello. Non c’è un ragionamento scientifico. Questo spazio ha richiamato questa disposizione. Al Macro di Roma, dove i Prismi erano stati esposti per la prima volta, nel 2007, la loro posizione nello spazio era del tutto casuale. Alla Kunsthalle di Mannheim formavano un cerchio, al CIAC di Foligno una linea. Qui m’è piaciuta la spirale, che poi mi ricorda la bellezza della sezione aurea e della natura che la porta in sé”. Bellezza inconsapevole, estetica che buca ogni ragionamento, l’atto artistico spontaneo che si crogiola nella propria matericità. Li si guarda in volto, i totem, li si tocca; i loro basamenti richiedono alle mani d’essere percorsi lungo le loro profonde scanalature, in un gioco sinuoso di concavità e convessità. Li si manipola e li si osserva, poi si alza la testa e San Rocco è lì, in udienza dal Papa.

Chiara Mezzalira

Giuseppe Gallo, Prismi Padova, Oratorio di San Rocco – dal 19 maggio al 30 giugno 2013

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