SOCIETÀ

Svizzera, solo posti in piedi

“Una piccola Europa con un comune obiettivo: conoscere e imparare altri modi di fare le cose, di sentire idee che possono essere diverse o uguali alle nostre.” La retorica, in versione Erasmus, è di Sophie Kasser, studentessa di medicina dell’università di Losanna, testimonial svizzera alle celebrazioni per il raggiungimento dei 3 milioni di studenti impegnati nel programma di scambio, nel 2013. Passano pochi mesi e le stesse parole suonano meno di circostanza alla luce dell’attuale scontro tra Unione europea e Svizzera dopo la vittoria di misura (50,3%) dell’iniziativa popolare “contro l’immigrazione di massa”, che ha rimesso in discussione gli accordi bilaterali sulla libertà di circolazione tra Confederazione e Ue. E ha spinto il governo elvetico a comunicare il rinvio dell’estensione di tali accordi alla Croazia, da poco entrata nell’Unione. Del resto il referendum – avversato da governo, parlamento, sindacati e associazioni industriali – ha imposto nella Costituzione elvetica l’indicazione di tetti massimi e contingenti annuali per l’ingresso di tutti gli stranieri nel Paese. Anche se per l’attuazione ci sono tre anni di tempo, la modifica costituzionale esplicita fin d’ora la “preferenza per i cittadini svizzeri” nell’esercizio delle attività economiche.

Inaccettabile per l’Ue. E, dopo le mosse di Ginevra, arrivano anche le reazioni della Commissione europea. Prima con il congelamento delle trattative già in corso (in materia di elettricità e di accordo quadro istituzionale), poi con una nuova battuta d’arresto: “I negoziati per l'estensione dei trattati per la ricerca Horizon 2020 e l'istruzione Erasmus+ sono per ora rinviati finché non avremo la notificazione formale che la Svizzera non ha la volontà di firmare l'accordo di libera circolazione con la Croazia".

Una “cattiva notizia per il sistema svizzero di formazione e di ricerca”, commenta Dominique Arlettaz, rettore dell'università di Losanna e vice-presidente della Conferenza dei rettori (Crus). In un sistema di ricerca da sempre basato sul principio della libera circolazione, l’esclusione della Svizzera dal programma arriverebbe infatti a "squalificare" gli studenti elvetici, non più in grado di competere con quelli europei. Agli studenti, già sul piede di guerra con il movimento studentesco, lo stesso Arlettaz rivolge l’invito a candidarsi comunque entro la data limite del 20 febbraio. Con la speranza che il governo inizi i negoziati e gli studenti possano continuare, per il momento, a partire.

Lo stop potrebbe avere conseguenze dirette anche sul Cern di Ginevra, dove sono impegnati circa 8.000 scienziati e ricercatori di più di 100 paesi. Centro di eccellenza mondiale nel campo della fisica delle particelle – ma anche sede del laboratorio dove lo scienziato britannico Tim Berners-Lee ha dato i natali al Web – i suoi principali finanziatori sono Germania, Francia, Gran Bretagna e Italia. Gli stessi, eccezion fatta per il Regno Unito, su cui si è concentrata l’attenzione dei promotori del referendum svizzero, che vede nei ‘frontalieri’ –  titolari di un permesso di soggiorno che impone il ritorno a casa almeno una volta la settimana – la principale minaccia all’occupazione e alla qualità della vita dei cittadini elvetici. Innanzitutto sul piano numerico, perché i tre Paesi rappresentano da soli, con 680.000 immigrati, oltre il 36% di tutti gli stranieri presenti: in totale 1.870.000 (di cui solo il 15% viene da fuori Europa) a fronte di una popolazione nazionale di poco più di 8 milioni.

Manifesti del referendum contro l'immigrazione di massa. La campagna per il sì

Dopo il successo dell’iniziativa “contro l’edificazione dei minareti” del 2009 (vittoria dei sì e divieto di edificazione inserito in Costituzione) e quello della “revisione della legge sull’asilo” (che limita ora la possibilità di richiesta alle sole frontiere e ai soli aeroporti svizzeri), il principale partito conservatore e xenofobo, l’Unione democratica di centro (Udc) del miliardario Christoph Blocher ha continuato a evocare l’immagine del ‘Paese allo sbando’. Minacciato “dall’inforestierimento”, dalla criminalità e dalla sovrappopolazione.

Lo scarno armamentario ideologico ha però fatto presa soprattutto sugli ‘italiani’ del Ticino (dove i sì raggiungono il 68%), che manifestano così la loro preoccupazione per la concorrenza salariale dei lavoratori che vengono dall’estero accusati di accettare stipendi inferiori a quelli degli svizzeri.

In attesa che l’iniziativa popolare “sui salari minimi” – il prossimo 18 maggio si vota sulla proposta di almeno 4.000 franchi al mese di stipendio minimo – contribuisca a chiarire come la pensa il resto degli svizzeri, la disoccupazione è arrivata negli ultimi anni a intaccare direttamente il portafoglio degli svizzeri e le casse dello Stato. Passata dall’1% degli anni Novanta al 4,7% attuale, l’aumento dei senza lavoro ha provocato un deficit di 4 miliardi nelle casse del fondo assicurativo dei disoccupati e costretto il governo ad annunciare l’applicazione da gennaio di una trattenuta dell’1% sui redditi superiori a 315.000 franchi annui (250.000 euro),

Ciononostante le statistiche federali parlano di un ottimo stato di salute generale dell’economia svizzera: da un lato il potere d’acquisto del ceto medio è stato ‘eroso’ solo moderatamente in questi anni di crisi globale, dall’altro il salario medio degli svizzeri si attesta sui 5.000 franchi al mese. Soprattutto, il prodotto interno lordo del Paese cresce più di quello tedesco (+ 2,2% previsto nel 2014) e il rapporto tra debito pubblico e pil è inferiore al 50%. La contraddizione sta tutta qui, nella posizione di straordinaria forza della Svizzera – uno dei Paesi più floridi al mondo – apparentemente incapace di affrancarsi dalle paure dei deboli. E incredibilmente desideroso di non perdere l’ultimo treno per fuggire alla stretta degli accordi bilaterali con l’Ue senza aspettare il 31 maggio 2014, termine ultimo per invocare la clausola di salvaguardia che le avrebbe permesso di reintrodurre i contingentamenti nel caso di un afflusso massiccio di immigrati.

Gli elvetici, impegnati in un braccio di ferro con l’Unione, preparano intanto la prossima iniziativa popolare, “Stop alla sovrappopolazione – sì alla conservazione delle basi naturali della vita”. Ancora una volta il tema è l’immigrazione e la proposta drastica: la popolazione residente non dovrebbe infatti più crescere per l’ingresso degli stranieri oltre lo 0,2% annuo nell’arco di tre anni. ‘Uniti contro ogni nemico’, insomma, in ricordo dei tempi del patto di Grütli del 1291, il giuramento di eterna fedeltà tra i Cantoni.

Carlo Calore

Materiale propagandistico dell'Unione Democratica di Centro

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