UNIVERSITÀ E SCUOLA

Tema di italiano: “Signora mia non ci sono più le mezze stagioni”

Giugno è il mese dei grandi riti collettivi italiani: la parata militare del 2, con grande sfoggio di mostrine, sciabole e piume di bersaglieri, l’esame di maturità con il suo contorno di interviste a studenti ansiosi e di commenti di intellettuali che si prestano a scrivere sulle “tracce” scelte dal Ministero. Ogni quattro anni, poi, si sovrappongono a queste cerimonie i Mondiali di calcio, un altro psicodramma nazionale che porta con sé le infinite polemiche sulla squadra, l’allenatore, le condizioni del campo e del clima, gli arbitri. Questi tre riti collettivi, e in particolare la maturità, rivelano la povertà e la piattezza del linguaggio della televisione e dei giornali, infarcito di cliché e privo di contenuti. 

Un ministro dell’Istruzione che volesse fare qualcosa di diverso dal presentare come “riforma” l’ennesimo taglio ai finanziamenti per la scuola e l’università potrebbe, nel 2015, assegnare un unico tema: “Commentate criticamente i seguenti articoli sull’esame di maturità, usciti sui maggiori quotidiani nazionali nel 2014”. Ci sarebbe materiale per volumi e volumi, analizzando titoli come “La notte prima degli esami”, “impazzano le ipotesi sui temi”, “il primo vero esame della vita”, “le ragazze sono più mature dei loro coetanei”. Manca solo “Signora mia, non ci sono più le mezze stagioni”. Oppure si potrebbe far discutere i diciottenni su “Credo che questa prova darà a tutti la possibilità di esprimersi al meglio", autentica dichiarazione ai microfoni del Tg1 del ministro Stefania Giannini, che ha proseguito con un fondamentale consiglio: "Leggere [le tracce] molto attentamente subito”.

Quest’anno il cosiddetto tema di attualità invitava a riflettere sulla proposta dell'architetto Renzo Piano di un "rammendo delle periferie". Peccato che la proposta di Piano abbia un titolo immaginifico ma sia ancora in fase di elaborazione e neppure un futuro studente di architettura potrebbe dire esattamente in cosa consista: quali interventi? Quali periferie? Nell’articolo dove lanciava il tema, il senatore a vita scriveva: “Se si devono costruire nuovi ospedali, meglio farli in periferia, e così per le sale da concerto, i teatri, i musei o le università. Andiamo a fecondare con funzioni catalizzanti questo grande deserto affettivo. Costruire dei luoghi per la gente, dei punti d`incontro, dove si condividono i valori, dove si celebra un rito che si chiama urbanità”. Al Miur, naturalmente, nessuno si è chiesto quanti siano i ragazzi capaci di interpretare una frase come “fecondare con funzioni catalizzanti questo grande deserto affettivo”.

A costo di ricadere nella più stantia delle polemiche (temi “facili” e temi “difficili”) si potrebbe anche riflettere sul tema storico "L'Europa del 1914 e l'Europa del 2014: quali le differenze?". Visto come sono trattate storia e geografia nei licei italiani, è probabile che le nozioni base sugli ultimi 100 anni gli studenti le abbiano apprese da trasmissioni come La storia siamo noi piuttosto che dall’ottimo manuale Detti-Gozzini. Risultato probabile, due fogli protocollo riempiti di banalità: “Nel 1914 c’erano imperi (austro-ungarico e ottomano) che oggi non ci sono più”. “In quasi tutti gli Stati c’erano re o imperatori, oggi ci sono per lo più repubbliche”. “Un secolo fa c’erano due alleanze militari, la Triplice Alleanza e la Triplice Intesa, oggi c’è soltanto la Nato”.

Anche lo studente con una biblioteca casalinga ben fornita difficilmente sarà stato in grado di fare una sintesi coerente di quello che Hobsbawm aveva battezzato il “secolo breve”, con due guerre mondiali, decine di rivoluzioni o di guerre di liberazione nazionale.

Il tema d’italiano è una prova ibrida (come le “tesine” all’università), cioè un elaborato in cui il docente non ha punti di riferimento certi per decidere se deve valutare i contenuti in relazione al programma o se deve premiare l’eleganza dello stile e penalizzare gli errori di ortografia, grammatica e sintassi. Le decisioni sono quindi soggettive e arbitrarie: il prof. Rossi impugnerà la matita rossa e blu trovando “gli” usato al plurale al posto di “loro”, mentre il prof. Bianchi ignorerà l’italiano zoppicante e le abbreviazioni stile sms come “xche” al posto di “perché”. 

Lo scopo di tutti gli esami, dalle elementari all’università, è accertare delle conoscenze e delle capacità, però il formato dell’esame può essere ben concepito oppure no. Il tema di italiano è chiaramente un residuo di epoche passate, mal riverniciato per dare agli studenti e alle famiglie l’impressione di una prova moderna o addirittura trendy, come la traccia scientifica di quest’anno su “Tecnologia pervasiva” (nota per gli esperti del Miur: gli studenti non considerano affatto “pervasivo” il loro telefonino).

Gli strumenti per accertare le conoscenze degli studenti in storia e geografia sono altri, per quanto riguarda la loro capacità di interpretare un testo, di capirlo, di riassumerlo, occorrono strumenti diversi, usati con regolarità durante i cinque anni delle superiori. Si potrebbe dedicare l’ultimo anno esclusivamente alla lettura-interpretazione-commento di articoli di giornale che, essendo quasi sempre assai mal fatti, offrirebbero a professori dinamici e a studenti motivati occasioni di approfondimento e di miglioramento delle capacità linguistiche molto interessanti. Le verifiche, per avere un senso, devono procedere regolarmente ed essere frequenti: scaricare tutto sullo psicodramma della maturità, e in particolare del tema di italiano, è un’assurdità di cui ci si dovrebbe liberare al più presto. 

Fabrizio Tonello

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