UNIVERSITÀ E SCUOLA

Test di ingresso: sì, a queste condizioni

Quali sono le condizioni che rendono legittimo e sensato l'impiego dei test di ingresso all'università? Vorrei ora dedicarmi all’analisi di questi aspetti, iniziando comunque con una considerazione che relativizza la portata di questi strumenti di valutazione. Se prendiamo in esame le modalità con cui le prestazioni dei candidati vengono registrate durante la prova,  possiamo infatti notare che esse implicitamente enfatizzano una concezione di intelligenza chiaramente posizionata in termini culturali.

Il lettore sicuramente ricorda che i partecipanti alla prova di ingresso hanno a disposizione un margine di tempo molto limitato per fornire le risposte al questionario: di solito meno di un minuto a domanda. In quel breve intervallo il candidato deve rappresentarsi mentalmente il problema posto, mettere a confronto gli scenari cognitivi rappresentati dalle tre o quattro alternative di risposta a disposizione ed effettuare una scelta a favore della risposa ritenuta “corretta”. Si tratta di una sequenza di operazioni di rappresentazione e di confronto che, per stare nei limiti di tempo imposti, deve essere realizzata con notevole velocità. Possiamo quindi concludere che le prove di ingresso enfatizzano il ruolo della velocità del processo di elaborazione con cui la mente si prende carico delle informazioni, e non, ad esempio, la profondità con cui lo stesso processo può realizzarsi. 

È fuori di dubbio allora che il tipo di prestazione capace di mettere in luce la velocità di elaborazione a scapito della profondità è coerente con la cultura occidentale e con gli stili di presa di decisione richiesti dai nostri modelli di produzione e di lavoro. Ed è, invece, distante da altri contesti culturali: immaginare che questa scelta possa andare bene per tutti gli abitanti del pianeta può essere interpretata come una forma di “imperialismo culturale”.

Sgombrato il campo dal pericolo di una generalizzazione indebita, vale la pena di analizzare in maniera più mirata le caratteristiche delle prove di ingresso destinate alla selezione dei candidati. Nel variegato campionario delle modalità con cui queste sono progettate, è facile individuare la presenza di due modelli fondamentali.

Il primo, che potremmo definire contenutistico, è quello scelto da corsi di studio come Ingegneria che fanno ricorso a strumenti grazie ai quali vengono sondate le conoscenze degli studenti appena maturati in settori disciplinari come la matematica, la fisica, la biologia, la chimica, ecc. L’altro modello, che potremmo definire delle abilità di base, si propone di sondare le capacità di ragionamento, di comprensione, di vocabolario, misurate con prove che prescindono da particolari contenuti e non rimandano a conoscenze scolastiche o disciplinari.

È fuor di dubbio che il primo modello è apparentemente di più semplice realizzazione: è sufficiente predisporre un numero plausibile di domande capaci di coprire le nozioni che si ritengono fondamentali in un particolare ambito disciplinare, tararne il potere discriminante e poi individuare la modalità di somministrazione più adeguata. Il gioco è fatto: siamo in grado di effettuare la selezione dei candidati sulla base di un criterio obiettivo e inconfutabile, e cioè la quantità di conoscenze da essi possedute e dimostrate alla prova, dando però corpo all’inquietante ipotesi che la preparazione realizzata frequentando l’istituto superiore e i risultati lì conseguiti non costituiscano un elemento di valutazione predittivo, in generale, delle prestazioni degli studenti che intendono iscriversi all’università. È per questo motivo che personalmente manifesto una preferenza per le forme di prova che privilegiano la rilevazione delle competenze di base.

In ogni caso, se un senso deve avere la prova di ammissione, è quello di essere il momento finale di un percorso che comincia nelle prime classi della scuola media superiore e non il giorno precedente alla somministrazione del test: l’orientamento alla scelta universitaria (o alla scelta di lavoro) è un lungo ed articolato processo per mezzo del quale lo studente deve maturare una serie di competenze e deve entrare in possesso di un complesso di informazioni che riguardano – da un lato – le sue motivazioni, i suoi interessi e le sue abilità e – dall’altro – il mondo delle professioni, il sistema economico locale e nazionale, le occasioni di formazione superiore.

Nello sviluppo di questo processo di avvicinamento alla prova di selezione, un ruolo cruciale può essere giocato dai servizi di orientamento. Ma quando questi servizi sono inesistenti dal punto di vista delle competenze che possono mettere in campo, e incapaci di fronteggiare le sirene “commerciali” provenienti da decine di agenzie che dichiarano di preparare gli studenti alle prove di ingresso, le cose prendono una brutta piega.

Opportunamente, il servizio di orientamento operante presso l’università di Padova ha da tempo individuato il carattere cruciale di una serie di attività destinate ad arricchire l’autoconsapevolezza di tanti studenti alle prese con la scelta universitaria. Valga per tutti il seminario denominato “Comprendere le domande dei test d'ingresso” proposto agli studenti degli istituti superiori per rispondere alle domande che essi rivolgono più frequentemente: come saperne di più sulle prove, come prepararsi, cosa misurano i questionari di ammissione, e così via. 

Questo, a mio avviso, è modo più sensato per affrontare la prova di ingresso evitando inutili allarmismi e costosi sconfinamenti nel territorio dei test “commerciali”, e valorizzando con ragionevole consapevolezza il proprio profilo di competenze. (2/fine)

Luciano Arcuri

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