SOCIETÀ

Tre buoni motivi per difendere la Costituzione

Ci sono buone ragioni per festeggiare il 2 giugno, anniversario della Repubblica nata nel 1946? In un momento in cui il discredito dei politici è allo zenith e in cui si parla insistentemente di cambiare la Costituzione perché "invecchiata", la risposta è "sì". La prima ragione è che la Costituzione ha garantito 65 anni di dialettica democratica a un Paese che non aveva mai avuto un assetto politico unitario nei 1.500 anni precedenti e che ha realizzato la sua unità nazionale secoli dopo la Gran Bretagna, la Francia, la Spagna. Non c'era nulla di scontato in tutto questo: dopo la seconda guerra mondiale, il separatismo siciliano era un pericolo reale e, nelle trattative di pace, la val d'Aosta ha rischiato di diventare francese mentre lo statuto di Trieste è rimasto incerto per anni. Oggi, al contrario, l'Italia è membro fondatore di un'Europa composta di 27 paesi che non mettono più in discussione le reciproche frontiere. La seconda ragione è che la Carta entrata in vigore nel 1948 ha dimostrato che l'Italia poteva darsi un assetto costituzionale in grado di reggere a forti tensioni esterne, come la guerra fredda, e interne, come la strategia della tensione e il terrorismo. Non dimentichiamo che le bombe di piazza Fontana, nel 1969, dovevano essere l'apertura di un processo che conduceva a un regime autoritario come in Grecia o in Spagna. La Costituzione del 1948 ha fatto dell'Italia una "democrazia robusta". Infine, da 20 anni si cerca di trasformare la Costituzione in senso presidenzialista, di farne - come ha detto nei giorni scorsi Gustavo Zagrebelski - uno strumento di potere delle oligarchie. Non a caso, nel 1994 venne di moda parlare di "Seconda Repubblica" quasi la prima fosse morta e sepolta. Al contrario, in questi due decenni la Carta ha resistito ai tentativi di riscriverla a colpi di maggioranze parlamentari servili: il referendum del 2006 ha respinto con una maggioranza del 61% il tentativo di stravolgerla. Questo pericolo non è però stato allontanato definitivamente: di nuovo si parla di "presidenzialismo" (la piu' inefficiente di tutte le forme di governo, come ben sanno i costituzionalisti) e, soprattutto, di affidare a una non ben definita "convenzione" il compito di riformare la Carta. Occorre ricordare a parlamento e governo che esiste un unico modo per farlo: quello previsto dall'articolo 138, qualsiasi altra procedura sarebbe illegale. I governi passano, le costituzioni restano e quella americana, in vigore dal 1787, è lì per ricordarcelo. Va dunque tutto bene, viviamo nel migliore dei mondi possibili? Al contrario: la crisi economica ha portato alla luce problemi politici di grande portata per la nostra democrazia. Solo ora ci accorgiamo che i trattati europei un po' frettolosamente sottoscritti a Maastricht e a Nizza hanno creato un assetto istituzionale nuovo, in cui è l'economia a imporre le sue leggi alla politica e in cui organizzazioni non democraticamente responsabili, come la Commissione UE e la Banca centrale europea, dettano ai governi ciò che devono fare: da Bruxelles è arrivata, nei giorni scorsi, perfino l'indicazione di costruire piu' asili nido. Il rapporto tra istituzioni sovranazionali e autogoverno forse va ridiscusso: non a caso la Gran Bretagna ha rifiutato e rifiuta di entrare nell'euro non perché sia particolarmente vantaggioso mantenere la sterlina ma perché l'adesione alla moneta unica metterebbe in discussione la sovranità del parlamento.

Infine, le istituzioni parlamentari che ci siamo dati con il referendum del 2 giugno 1946 non mettono al riparo dalla corruzione, dalla disuguaglianza, dall'indifferenza alla volontà dei cittadini. Alla nostra democrazia rappresentativa occorre una robusta dose di democrazia diretta per ringiovanire e soddisfare le legittime aspirazioni degli italiani.

Fabrizio Tonello

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