SOCIETÀ
Ambiente in Costituzione: come stanno cambiando le politiche pubbliche?

L’11 febbraio 2022 veniva promulgata da Camera e Senato una legge costituzionale di riforma che prevedeva l’ingresso di due concetti nuovi nel testo della nostra Costituzione: quelli di ambiente e di generazioni future.
Quella apportata dalla legge costituzionale n.1/2022 è una modifica di portata epocale per diversi motivi. Innanzitutto, l’emendamento ha modificato uno dei primi dodici articoli (il nono) della Costituzione, che enunciano i principi fondamentali su cui si fonda la Repubblica, inserendo un principio nuovo: quello della tutela dell’ambiente e degli animali, specificando che la loro protezione è “anche nell’interesse delle future generazioni”. Alla luce di questo nuovo principio fondativo va letta anche l’altra modifica, che riguarda l’articolo 41, incentrato sulla regolamentazione dell’iniziativa economica privata. Quest’ultima, a partire dal 2022, rimane “libera” ma, oltre a bilanciarsi con “sicurezza, libertà e dignità umana”, deve prevedere anche la tutela dell’ambiente e della salute.
Oggi, dunque, lo Stato protegge anche l’ambiente naturale e gli animali, e tiene in considerazione l’interesse delle future generazioni. Si tratta di un cambiamento epocale, come dicevamo: ma quali sono le sue ripercussioni pratiche sulla vita di noi cittadini? In che modo questo nuovo dettato costituzionale comparirà – se questo accadrà – nella quotidianità di individui e imprese? A questi quesiti hanno provato a rispondere ASviS (l’Associazione Italiana per lo Sviluppo Sostenibile), fondata da Enrico Giovannini, ex ministro dei Trasporti nonché tra i più strenui promotori di questa riforma costituzionale, e il think tank ECCO Climate. In occasione del terzo compleanno della riforma costituzionale, le due associazioni hanno pubblicato un documento che raccoglie le voci di esperti e rappresentanti delle istituzioni, e che si concentra sulla traduzione in politica della nuova attenzione della Costituzione verso l’ambiente e la sostenibilità socio-ambientale. Il documento, intitolato “Il clima in Costituzione. Implicazioni per le politiche pubbliche” è stato simbolicamente consegnato a Maria Elisabetta Alberti Casellati, ministra per le Riforme istituzionali nel governo Meloni.
I primi passi della Corte Costituzionale
Ad oggi – si rileva nel “Quaderno” di ASviS e ECCO – la riforma costituzionale non ha ancora dato vita a politiche pubbliche improntate ai nuovi principi. Ma qualcosa è cambiato: il primo organismo istituzionale ad agire alla luce dei “nuovi” articoli 9 e 41 è stata la Corte costituzionale, che nel giugno 2024 ha emesso una sentenza nella quale, per la prima volta, un decreto ministeriale è stato dichiarato incostituzionale sulla base dei principi dichiarati nel 2022. Si trattava del cosiddetto “decreto Priolo”: con una norma contenuta nel decreto-legge n. 2 del 2023, il Governo era stato autorizzato a intervenire per bilanciare la tutela di salute e ambiente con gli interessi economici nazionali, e aveva utilizzato questa prerogativa per contrastare il sequestro dell’impianto di depurazione dell’area industriale di Priolo-Gargallo, nel siracusano, che era stata sottoposta a sequestro nell’ambito delle indagini per l’ipotesi di reato di disastro ambientale.
Un anno dopo quei fatti è arrivata la sentenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto il provvedimento incostituzionale poiché non prevedeva che il dissequestro per tutelare gli interessi economici nazionali vigesse solo in via provvisoria e per un periodo di tempo limitato, ma consentiva che le attività dannose per l’ambiente e la salute dei cittadini proseguissero «indefinitamente […] attraverso un semplice abbassamento del livello di tutela di tali beni».
Il fatto che la Corte Costituzionale rimandi ai principi di tutela dell’ambiente e della biodiversità accanto alla tutela della salute, e affermi la necessità di limitare l’iniziativa economica quando essa danneggi questi beni comuni è stato, come ha scritto il costituzionalista Francesco Tomasone nel documento di ASviS e ECCO, “il primo e naturale banco di prova della riforma”.
Il primo, ma – forse – non il più importante: a determinare la messa in pratica di questi principi sarà, infatti, la loro attuazione in concrete misure di politica pubblica. Una delle più urgenti è senza dubbio dotare di una legge quadro sul clima il nostro Paese, che, ormai in minoranza in Europa, ancora ne è privo. Come ha scritto Matteo Leonardi, presidente di ECCO Climate, «per sviluppare e valorizzare il potenziale trasformativo della riforma, occorre declinare i nuovi principi in indirizzi politici concreti, in modo tale che essi possano riflettere pienamente le sfide presenti nella società di oggi».
Non è un compito banale: oggi i governi nazionali si trovano a dover gestire, su scala locale, le conseguenze – per lo più negative, soprattutto in mancanza di decisi interventi di contrasto – di un processo, come la triplice crisi planetaria (cambiamento climatico, declino della biodiversità, inquinamento), che si manifesta su scala globale. Per di più, è essenziale che facciano fronte a questa crisi non in modo autarchico, ma in concerto con gli altri governi nazionali e con gli organismi internazionali, come le Nazioni Unite. Alla luce di questa necessità, Leonardi suggerisce che i punti di partenza per la messa a terra dei nuovi principi costituzionali potrebbero essere da un lato «l’approvazione di una legge sul clima quale strumento normativo quadro per la definizione della governance del processo di decarbonizzazione», e dall’altro «l’adozione di pratiche che assicurino, partendo dall’evidenza che i costi futuri del cambiamento climatico sono sensibilmente maggiori dei costi attuali di riduzione delle emissioni, una correlazione tra la spesa pubblica e gli obiettivi climatici».
Una legge quadro sul clima
Un punto centrale della questione, sottolineato nel documento da Lorenzo Carrozza, Responsabile Affari Legislativi e Relazioni Istituzionali di ECCO, è che la modifica della Costituzione ha offerto alla politica un quadro valoriale di riferimento per affrontare le sfide della crisi ambientale: si tratta di un’opportunità che è importante cogliere e tradurre in azione legislativa, e la legge quadro sul clima sarebbe un primo, essenziale passo in questa direzione.
Nel 2023 è stato depositato in Senato un disegno di legge quadro sul clima (che risulta, ad oggi, ancora in lettura) che propone una dettagliata tabella di marcia per mettere l’Italia sulla strada del raggiungimento degli impegni in termini di clima e ambiente assunti in sede internazionale (Accordo di Parigi) e comunitaria (Green Deal e Nature Restoration Law). Il disegno di legge rappresenta – spiega Carrozza nel suo intervento – «uno strumento di pianificazione strategica» per delineare gli obiettivi di decarbonizzazione a breve, medio e lungo termine, e per dare organicità alle misure attuate in un quadro complesso e diversificato come quello nazionale, armonizzandole anche con il contesto internazionale. Una delle innovazioni contenute in questo disegno di legge è l’istituzione di un “Comitato parlamentare scientifico per il clima” (art. 5) con funzioni di consulenza scientifica per l’esecutivo e di valutazione e verifica delle politiche climatiche. Altrettanto degna di nota è la proposta di istituire un “Consiglio nazionale dei cittadini” (art. 11), definito come «un organo di partecipazione permanente delle associazioni e dei cittadini al processo decisionale sul cambiamento climatico». Questa proposta consente di apprezzare come sia stata anche riconosciuta, in questo disegno di legge, la necessità di coinvolgere tutti gli attori sociali, politici ed economici per affrontare al meglio a crisi ambientale.
La legge quadro – invocata da più parti, ma ancora lontana da un’eventuale approvazione da parte delle Camere – sarebbe, comunque, solo un primo passo. Ad essa dovrebbe affiancarsi una ristrutturazione del sistema della finanza pubblica, che dovrebbe includere la dimensione climatica «nella valutazione d’impatto delle politiche pubbliche e della sostenibilità della finanza pubblica», scrive ancora Lorenzo Carrozza. Questo significherebbe mettere a sistema sia i costi dovuti ai danni – ormai inevitabili, almeno in una certa misura – del cambiamento climatico, sia gli investimenti in misure di adattamento e mitigazione, che avrebbero bisogno di una programmazione, anche economica, di medio e lungo periodo.
Politica per le future generazioni
Un altro punto introdotto dalla riforma costituzionale e ancora in attesa di attuazione è la messa a sistema, nel sistema legislativo italiano, della tutela delle generazioni future. Si tratta di un tema apparentemente secondario per noi “presenti”, ma che è in realtà un nostro dovere essenziale: come scrive l’ex senatrice Anna Finocchiaro nel suo intervento per ASviS e ECCO, «trascurare oggi quell’interesse significa ledere domani il diritto di ciascuno, ad esempio, a un ambiente salubre, con tutti i danni oggettivi e soggettivi che questo può comportare. Tutelare efficacemente quell’interesse nell’oggi significa assicurare il diritto dei cittadini che verranno e, proprio per le caratteristiche della questione ambientale, contrastare possibili danni irreversibili. Significa prevedere anche come possa essere impervio l’adempimento del dovere di tutela ambientale per gli stessi governanti di domani se nell’oggi quel dovere e quella responsabilità non siano esercitati adeguatamente».
Una delle misure introdotte durante il governo Draghi per implementare la tutela degli interessi dei futuri cittadini era stata l’istituzione, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, del COVIGE (Comitato per la Valutazione dell’Impatto Generazionale delle politiche pubbliche), un organo con funzioni consultive che dovrebbe valutare sistematicamente l’impatto sulle future generazioni delle politiche pubbliche di volta in volta approvate. Il lavoro preliminare del COVIGE, a partire dalla sua istituzione nel 2021, dovrebbe portare all’introduzione della valutazione di impatto generazionale (VIG): «uno strumento informativo riguardante l’equità intergenerazionale degli effetti ambientali o sociali indotti dai provvedimenti».
La strada è lunga, ma l’abbiamo imboccata
Come ricorda nella postfazione del Quaderno Enrico Giovannini, quando, solo nel 2018, nel suo libro “L’utopia sostenibile” (Laterza 2018), aveva ventilato l’idea che si introducesse in Costituzione un riferimento allo sviluppo sostenibile, la proposta sembrava ben più che utopica. Invece, contro le aspettative dei suoi stessi proponenti, essa è diventata realtà, con un iter parlamentare molto breve rispetto alla consuetudine e con una rara compattezza di tutte le forze parlamentari. Tuttavia, scrive Giovannini, «molto resta ancora da fare perché [la riforma] influenzi appieno, come meriterebbe, politiche e comportamenti individuali, compresi quelli delle imprese». L’obiettivo a cui mirare, scrive l’ex ministro, è che le politiche, che dovranno inevitabilmente adeguarsi, prima o poi, a governare il nuovo mondo che si sta caratterizzando in risposta alla crisi ambientale, guidino consapevolmente questo cambiamento, anziché agire con attendismo per poi ritrovarsi, d’improvviso, trascinate dall’urgenza degli eventi.