SOCIETÀ

Le giovani generazioni stanno perdendo fiducia nella democrazia e nell’UE?

Poco più della metà dei giovani europei sembra preferire la democrazia a qualsiasi altra forma di governo.
Questo è il dato principale emerso dall’ultimo report condotto dalla fondazione tedesca TUI dal titolo Young Europe, a cui hanno risposto 6.703 persone tra i 16 e i 26 anni provenienti da Germania, Francia, Spagna, Italia, Grecia, Polonia e Gran Bretagna tra aprile e maggio 2025.

Nel report del TUI si legge che meno di sei giovani su dieci considerano la democrazia come la migliore forma di governo. Addirittura, uno su cinque afferma di ritenere accettabile, in determinate circostanze, un governo autoritario.

In Polonia, Spagna e Francia, la percentuale di giovani che preferiscono la democrazia a ogni altra forma di governo si aggira attorno al 50%. In Italia tale quota è del 56%, mentre in Germania è più elevata (71%). Il sostegno alla democrazia risulta particolarmente basso tra coloro che si collocano politicamente a destra e si ritengono economicamente svantaggiati.
Inoltre, un quinto – e in Italia, addirittura un quarto del campione sosterrebbe una forma di governo autoritaria a una democratica in determinate circostanze.

Secondo l’opinione di Marco Mascia, presidente del Centro di ateneo per i diritti umani “Antonio Papisca”, questi numeri non sorprendono, ma preoccupano.
“Oggi in Europa sono a rischio i principi dello Stato di diritto”, afferma. “Stiamo assistendo a un restringimento degli spazi civici. Vengono limitate, in altre parole, le libertà individuali, il diritto alla libertà di espressione e di associazione.
Inoltre, dilaga la propaganda di guerra e si moltiplicano gli appelli all’odio nazionale, razziale o religioso, entrambi vietati dall’Articolo 20 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
L’aumento della spesa militare comporterà necessariamente un taglio dei fondi destinati alla famiglia, alla sanità, all’istruzione e alle altre spese sociali. Ora più che mai bisognerebbe invece investire per costruire una cultura di pace, di dialogo e di nonviolenza”.

Anche le opinioni circa le istituzioni democratiche nazionali sono piuttosto basse, tanto che solo il 6% del campione si ritiene pienamente soddisfatto del funzionamento del sistema politico nel proprio Paese e non cambierebbe niente.

Il 48% del campione percepisce inoltre che la democrazia nel suo paese sia a rischio e il 51% ha osservato un crescente atteggiamento antidemocratico nel suo paese (in Italia questa percentuale è del 45%). Inoltre, quasi un terzo dei partecipanti non ha il coraggio di esprimere apertamente la sua opinione nel paese in cui abita.

La crisi di fiducia verso le istituzioni nazionali deriva dal fatto che i governi non rispondono ai bisogni delle persone e delle comunità, diversamente dagli enti locali, che invece sono in prima linea per soddisfare i bisogni essenziali delle persone”, prosegue Mascia. “Le persone giovani che oggi non trovano lavoro, hanno sempre più bisogno di un supporto psicologico e non trovano riscontro alle istanze per la difesa del clima e della pace percepiscono che i sistemi non riescono più a dare delle risposte adeguate alle loro esigenze. Si tratta di una tendenza che temo allontanerà ancora di più le persone giovani dai processi elettorali che sono l'humus della democrazia.

Bisogna anche considerare che in questi ultimi anni la libertà di espressione e di informazione ha subito significative restrizioni. Inoltre, i media dominanti non danno particolare risalto alle associazioni e ai movimenti che lottano per la pace e il rispetto dei diritti umani”, continua Mascia. “La marcia della pace Perugia-Assisi di domenica 12 ottobre, a cui hanno partecipato più di oltre 200.000 persone, ha ricevuto meno attenzione mediatica rispetto ad alcuni singoli atti di violenza (ovviamente da condannare) avvenuti nel corso di manifestazioni precedenti”.


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Un’UE che delude

Il report Young Europe ha indagato anche il modo in cui le giovani generazioni percepiscono l’Unione Europea. Ne è emerso un quadro frammentato, che suggerisce che le persone tra i 16 e i 26 anni siano favorevoli all’esistenza di questa istituzione, ma anche che la vorrebbero diversa. Tra le questioni più cruciali su cui l’UE dovrebbe intervenire troviamo l’accessibilità del costo della vita (36%), la difesa contro le minacce esterne (25%), l’introduzione di condizioni più favorevoli per le imprese e il contrasto al cambiamento climatico (entrambe al 23%). Inoltre, in Italia e in Germania circa la metà (53%) dei partecipanti sarebbe favorevole a una maggiore cooperazione tra gli stati membri, al contrario di quanto accade in Francia (27%) e Polonia (31%) dove tale percentuale è molto bassa.

Colpisce anche che la stessa Unione Europea non sia considerata particolarmente democratica dal 39% degli intervistati. Più della metà (il 51%) ritiene che sia una buona istituzione in teoria, ma che funzioni male.
Inoltre, sebbene due terzi del campione (66%) considerino l'appartenenza all’UE un fatto positivo (un numero in aumento del 10% rispetto all’anno precedente in tutti i paesi) la percentuale di persone giovani che si sentono rappresentate dal Parlamento di Strasburgo, già bassa nel 2019 (21%), è scesa ulteriormente e oggi è solo del 15%.

“I motivi per cui le giovani generazioni si sentono sempre meno rappresentate dal Parlamento Europeo – e dalle istituzioni europee in generale – sono molteplici”, osserva Mascia. “Tra questi, la crisi economica, l’aumento delle diseguaglianze, le minacce alla libertà di espressione e la percezione crescente che le istituzioni europee siano troppo burocratizzate e decisamente distanti dai problemi reali della popolazione.

L’Unione Europea è sempre stata considerata un attore di soft power, dotata cioè di un potere economico e culturale, non militare, espresso attraverso la promozione dei diritti umani e la negoziazione senza armi.
Eppure, non è stata capace di giocare un ruolo significativo in questo periodo di crisi e di attacco al multilateralismo e al diritto internazionale. Le posizioni che ha assunto di fronte al genocidio, ai crimini di guerra e contro l'umanità in atto a Gaza e rispetto alla guerra in Ucraina mostrano la mancanza di una strategia e la totale subordinazione agli Stati Uniti di Trump. Per questi motivi, l’Unione Europea ha perso tutta la sua credibilità”.

Mascia non è sorpreso, infatti, che il peso politico dell’UE appaia sempre più debole agli occhi delle nuove generazioni. Infatti, il sondaggio Young Europe mostra che solo il 42% degli intervistati inserisce l'Unione Europea tra gli attori politici globali più potenti, considerandola meno influente di Stati Uniti, Cina e Russia.

“I valori democratici sono a rischio anche perché i leader politici europei sono i primi a violarli”, continua Mascia. “La maggior parte degli Stati membri dell’UE e le stesse istituzioni europee non hanno fatto nulla per difendere i sistemi internazionali di garanzia dei diritti umani. Non hanno infatti dato esecuzione ai mandati di cattura emessi dalla Corte penale internazionale, consentendo a Netanyahu di atterrare a New York per parlare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e accettando la possibilità che Putin si recasse a Budapest (se avesse avuto luogo il vertice voluto da Trump sull’Ucraina, poi sfumato, ndr).

L’impunità a cui stiamo assistendo in queste settimane non solo rappresenta l'ostacolo più significativo alla giustizia e alla riparazione per le vittime e i sopravvissuti alle violazioni dei diritti umani e ai crimini di guerra e contro l'umanità, ma mina anche la fiducia nelle istituzioni democratiche e nei principi dello Stato di diritto sia a livello nazionale che internazionale. 
Se le istituzioni non riescono a far rispettare la legge, rendendo di fatto alcune persone in grado di fare quello che vogliono, mandano un messaggio devastante dal punto di vista educativo: vuol dire che ognuno può avere carta bianca e commettere crimini internazionalisenza ripercussioni”.

Un numero crescente di governi si sente in diritto di calpestare il diritto internazionale, violare la Carta delle Nazioni Unite, le convenzioni internazionali sui diritti umani e le decisioni dei tribunali internazionali senza che nulla accada António Guterres, Segretario generale dell’Onu, 24 settembre 2024

Il problema, come riflette Mascia, è capire come salvare l'unione europea di fronte a questa crisi che sta attraversando.

Coltivare la democrazia

Come scrive in un commento il politologo Thorsten Faas, professore alla Libera università di Berlino e supervisore scientifico dello studio, “la democrazia non può essere data per scontata”. Anzi, solo se i cittadini, man mano che c’è il ricambio generazionale, continuano a credere nei valori democratici e a sostenerli, allora può continuare.

La democrazia non può essere data per scontata […]. Se il 57% dei giovani europei afferma di preferire la democrazia a qualsiasi altra forma di governo, significa anche che molti di loro non la sostengono al 100% Thorsten Faas, responsabile scientifico dell’analisi Young Europe 2025

Mascia concorda. “La democrazia va coltivata e annaffiata ogni giorno”, afferma. “Ciò può essere fatto attraverso programmi di educazione alla cittadinanza democratica e ai diritti umani nelle scuole e nelle università, ma anche nel mondo dell’impresa, nelle forze dell'ordine e nel mondo dell'informazione. Sarebbe opportuno che i governi nazionali e la stessa Unione Europea investissero in questo tipo di iniziative culturali e lavorassero per promuovere tra le nuove generazioni la conoscenza di progetti come il Corpo europeo di solidarietà o il Parlamento europeo degli studenti.

Per quanto riguarda la scuola, sarebbe necessario potenziare, rafforzare e sviluppare ulteriormente l’insegnamento della storia e del diritto dell’integrazione europea. I programmi di educazione civica – ancora molto limitati allo studio della Costituzione e degli organi della nostra Repubblica – dovrebbero considerare anche il contesto sovranazionale. Sono argomenti che ci riguardano fin da vicino, dato che le decisioni dell’UE hanno un impatto diretto sulla vita quotidiana dei cittadini degli stati membri.

Le università, invece, stanno investendo già da tempo nella promozione di una cultura dell’integrazione europea attraverso programmi come l’Erasmus e le azioni Jean Monnet.
Anche il nostro ateneo è molto impegnato nella costruzione di percorsi di pace: l’università di Padova propone infatti insegnamenti incentrati sulla storia e sull’economia dell'integrazione europea, oltre che sul diritto e il sistema politico dell’Unione Europea. Sono attivi, inoltre, percorsi di laurea e dottorati di ricerca sui diritti umani e gli studi per la pace, un Centro di ateneo per i diritti umani e  programmi di accoglienza per studiosi e studiose provenienti da contesti di guerra.

In generale, in quest’epoca di grandi cambiamenti le università devono continuare a lavorare – aggiornando i programmi di insegnamento, offrendo opportunità agli studenti e formando i docenti – per rendere i giovani studenti e studentesse di oggi in grado di leggere e interpretare i processi di mutamento in atto e dare loro la possibilità, un giorno, di governare meglio di quanto stia facendo la leadership attuale.
I giovani di oggi, infatti, sono i leader di domani, non solo nel mondo politico, ma anche in quello dell’educazione, dell’amministrazione pubblica, dell'impresa e dei media. Avranno la possibilità di segnare il cambiamento nell'ottica della pace e del rispetto. Perciò, è fondamentale che abbiano forti e saldi valori democratici, che li preparino al futuro, ovvero al momento in cui questo periodo storico sarà superato e bisognerà stabilire cosa sarà l'Europa, quale sarà la sua visione e quale la sua leadership politica.
È fondamentale, dunque, continuare su questa strada e non smettere mai di investire nelle nuove generazioni. 

La speranza, infatti, è questo investimento riesca a produrre un cambio culturale in grado di intercettare e amplificare quei segnali positivi che già esistono.
Come emerge dal report Young Europe, nonostante i tempi che corrono, la maggioranza delle persone giovani crede ancora nei valori democratici. Credo che anche quel 48% di partecipanti che teme che il proprio sistema democratico nazionale sia a rischio rappresenti un segnale positivo, perché riflette una consapevolezza diffusa sulla criticità della situazione globale.

Non dobbiamo dimenticare, infine, che le giovani generazioni sono riuscite a riportare al centro del dibattito politico e pubblico la questione della pace e dei diritti umani, attraverso le manifestazioni delle scorse settimane. Si tratta di un segnale forte di speranza: dal basso può ripartire un progetto di costruzione della pace e di un ordine internazionale più giusto, equo, solidale e democratico”.

La democrazia va coltivata e innaffiata ogni giorno Marco Mascia, direttore Centro di Ateneo per i diritti umani “Antonio Papisca” – Università di Padova

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