Chi sono i paesi difensori della libertà di stampa: un nuovo indice per misurarli
I manifestanti tengono cartelli durante una manifestazione per chiedere giustizia per l'omicidio della giornalista Daphne Caruana Galizia, fuori dal Parlamento a La Valletta, Malta, 1° dicembre 2019. REUTERS/Vincent Kessler
La libertà di stampa a livello globale è ai livelli più bassi degli ultimi vent’anni, secondo l’ultimo rapporto di Reporter senza frontiere. In un contesto non felice per chi lavora nel giornalismo, diventa ancora più urgente capire come i diversi Stati tutelino i media non solo al proprio interno ma anche, e forse soprattutto, quanto facciano per difenderli oltre confine.
Proprio per puntare i fari su questo aspetto specifico, la difesa della libertà di stampa anche nei contesti internazionali, è stato creato un nuovo indice, l’Index on International Media Freedom Support (IMFS), realizzato da un gruppo di ricercatori della University of East Anglia e della City St George’s, University of London. Non una misurazione della libertà di stampa interna, dunque, come quello di RSF, ma una sorta di misura del grado di responsabilità internazionale.
L’indice valuta trenta Paesi membri dell’OCSE-DAC e della Media Freedom Coalition, analizzando tre ambiti: diplomazia, finanziamenti e protezione dei giornalisti. Si tratta del primo strumento che monitora il sostegno internazionale alla libertà di stampa come parte della politica estera. I risultati, possiamo dirlo subito, non sono particolarmente positivi per la gran parte dei paesi europei occidentali, che invece sono molto diversi per quanto riguarda la libertà di stampa nel contesto nazionale.
I primi paesi della classifica, come vedremo, non sorprendentemente, sono i paesi baltici. Un impegno forte che, secondo quanto affermato da Martin Scott, dell’Università di East Anglia e uno dei promotori dell’indice, “riflette la loro storia politica e la consapevolezza dei rischi legati alla disinformazione e alla propaganda”.
La presentazione di questo nuovo indice sarà oggi pomeriggio alle 17, nel contesto del World Congress and Media Innovation Festival dell’International Press Institute. IPI è un network globale di editori, giornalisti e manager del settore dei media, che quest’anno celebra i suoi 75 anni con la conferenza più partecipata di sempre, oltre 600 delegati, che si svolge in questi giorni, dal 23 al 25 ottobre, a Vienna, nelle stanze e giardini del palazzo di Schönbrunn, residenza imperiale estiva degli Asburgo.
Una conferenza cui sta partecipando anche chi scrive, e che dunque nei prossimi giorni darà conto su Il Bo Live anche di altri temi toccati nei diversi panel, fortemente collegati alle più urgenti questioni internazionali, dal pericolo nucleare al genocidio di Gaza, fino ai diversi rischi e opportunità connessi all’implementazione delle tecnologie di IA.
Ma torniamo all’Indice sul supporto ai media internazionali. E vediamo cosa misura, nello specifico.
Le tre dimensioni dell’indice
Il primo parametro misurato dal nuovo indice è la diplomazia, ossia il supporto diplomatico attivo per la libertà di stampa, e cioè la misurazione delle attività di uno Stato attraverso la politica estera e le sedi internazionali. Queste attività dipendono, secondo il rapporto, da tre variabili: la leadership multilaterale, e cioè il fatto di svolgere ruoli di presidenza o vicepresidenza in organismi come la Media Freedom Coalition (MFC), il programma UNESCO-IPDC, o i Group of Friends on the Safety of Journalists presso ONU e UNESCO; la partecipazione/membership, che si traduce nell’adesione a iniziative multilaterali sulla libertà di informazione (IPDC, International Partnership for Information and Democracy, Group of Friends, ecc.); e infine, lo “Speaking out”, e cioè la firma a dichiarazioni congiunte della MFC o la co-sponsorizzazione di risoluzioni ONU sulla sicurezza dei giornalisti. Il peso di questo primo parametro nella valutazione finale dell’indice è tra i 9 e 10 punti. Per esempio, la Lituania ha ottenuto il punteggio massimo in questa dimensione grazie a due ruoli di leadership e al forte impegno diplomatico.
La seconda dimensione è quella dei finanziamenti e dunque del supporto economico allo sviluppo dei media. In altre parole, questa dimensione misura quanto concretamente gli Stati fanno per sostenere media indipendenti e sviluppo del giornalismo all’estero. Anche questa dimensione è composta da tre indicatori:la percentuale di aiuti pubblici destinati ai media (1 punto ogni 0,1% del totale); la coerenza tra fondi promessi e fondi realmente erogati (3 punti se almeno il 90% dei fondi annunciati viene effettivamente speso) e infine, i contributi a fondi multilaterali (1 punto per ciascun fondo sostenuto tra i principali esistenti, come l’UNESCO IPDC; il Global Media Defence Fund (GMDF); il Multi-Donor Programme for Freedom of Expression and Safety of Journalists (MDP) e l’International Fund for Public Interest Media (IFPIM). Anche in questo caso, il peso nel punteggio totale è fino a 10 punti.
In un’epoca in cui i media faticano moltissimo a trovare modelli di sostenibilità e quindi le risorse necessarie per lavorare, il sostegno economico è necessario. In media, nel 2023 i trenta Stati inclusi nello studio dei ricercatori britannici hanno destinato solo lo 0,16% degli aiuti pubblici allo sviluppo dei media. Il rapporto evidenzia anche che i dati più recenti non includono ancora i tagli ai fondi per la cooperazione internazionale avvenuti nel 2025, in particolare negli Stati Uniti e nel Regno Unito, che hanno ridotto di oltre 150 milioni di dollari il sostegno ai media indipendenti all’estero. Per fare un esempio virtuoso, la Svezia è prima in questa dimensione, con lo 0,91% dei finanziamenti pubblici destinati allo sviluppo dei media.
Infine, la terza dimensione è quella della sicurezza e protezione, e misura cosa fanno i paesi per proteggere giornalisti in esilio o in pericolo attraverso due indicatori: l’esistenza di un programma di visti d’emergenza o rifugio sicuro per giornalisti a rischio (5 punti) e il sostegno a programmi nazionali di protezione o assistenza ai giornalisti in esilio (3 punti). Il peso totale di questa terza dimensione è fino a 8 punti. La Lettonia è l’unico Paese che possiede entrambe le misure, ossia un sistema di visti e un programma nazionale di sostegno ai media in esilio.
I Paesi ai vertici
Al primo posto tra i paesi più attivi nella difesa della libertà di stampa internazionale si colloca la Lituania, riconosciuta per l’impegno diplomatico e per il programma di visti d’emergenza destinati ai giornalisti in esilio da Russia e Bielorussia. Seguono la Svezia, che nel 2023 ha destinato lo 0,91% degli aiuti pubblici allo sviluppo dei media, e i Paesi Bassi, che combinano partecipazione multilaterale e programmi di sicurezza per giornalisti rifugiati.
Tra i dieci Paesi più attivi ci sono anche Estonia, Francia, Germania, Canada e Lettonia. Quest’ultima è appunto l’unico Stato a disporre sia di un sistema di visti per giornalisti a rischio sia di iniziative nazionali di sostegno ai media in esilio.
Italia in fondo alla classifica
Quasi due terzi dei Paesi analizzati rientrano nella fascia più bassa, quella classificata come bronzo (oro e argento, ovviamente, sono le prime due). Di questo gruppo fanno parte ben quattro paesi membri del G7: Regno Unito, Stati Uniti, Giappone e Italia. Gli autori del rapporto sottolineano il divario tra le dichiarazioni pubbliche di sostegno alla libertà di stampa e l’effettiva partecipazione ai programmi internazionali.
Secondo quanto dichiarato da Mel Bunce, direttrice del Centre for Journalism and Democracy, nei documenti di presentazione dell’indice, “Molti Paesi del G7 fanno grandi promesse ma non sempre le mantengono”.
Un’osservazione che pare particolarmente adeguata nel caso dell’atteggiamento tenuto dal nostro paese.
Il rapporto di Reporter senza frontiere 2025, reso pubblico nei giorni scorsi, infatti, mette l’Italia al 49esimo posto nella classifica sulla libertà di stampa nel paese. Abbiamo perso tre posizioni rispetto all’anno precedente, il 2024, quando eravamo al numero 46.
Il rapporto di RSF indica anche quali sono i principali rischi per la libertà di stampa in Italia oggi, dalle minacce da parte di organizzazioni mafiose e criminalità fino all’azione violenta e intimidatoria contro i giornalisti da parte di gruppi politici estremisti. Nel rapporto trovano posto anche le gravi violazioni del lavoro giornalistico sottoposto a sorveglianza, con citazione specifica del caso dello spyware “Graphite” inoculato nel telefono di alcuni giornalisti, di cui hanno ampiamente parlato alcune testate indipendenti, da Fanpage, colpita in prima persona, a IrpiMedia che sui temi della sorveglianza è sempre molto attiva. Ovviamente rientra tra questi casi quello di Sigfrido Ranucci, obiettivo di un attentato solo qualche giorno fa, quando due delle auto di famiglia sono state fatte esplodere nel giardino di casa.
A fronte delle preoccupazioni di RSF e in seguito proprio all’attentato a Ranucci, la presidente del consiglio Giorgia Meloni ha invece difeso, in un intervento al Senato il 22 ottobre scorso, il proprio operato sostenendo, al contrario di quanto scritto nel rapporto, di aver migliorato la situazione e aver combattuto l'influenza politica sulla stampa pubblica. Una dichiarazione senza alcun dato a supporto.
Nel 2023, l’Italia ha speso circa 2,4 milioni di dollari in iniziative legate ai media su un totale di contributi pubblici di oltre 6 miliardi, una cifra che il rapporto definisce marginale e senza un indirizzo strategico riconoscibile. L’Italia non partecipa a nessuno dei quattro fondi multilaterali principali (IPDC, GMDF, MDP, IFPIM) e non ha meccanismi strutturati di rifugio o assistenza ai giornalisti stranieri. Non c’è dunque, da parte del nostro paese, alcuna azione politica strutturata in difesa della libertà di stampa, né a livello nazionale né, tanto meno, internazionale.