SOCIETÀ

Lo sviluppo sostenibile, un paradigma per il futuro. Giovannini e Prosperetti: un confronto

La  Repubblica «tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». Così recita, dall’11 febbraio di quest’anno, la nostra Carta costituzionale, in seguito all’avvenuta modificazione di due articoli 1– l’articolo 9 e l’articolo 41 – per introdurre un concetto che, sempre più, si sta facendo strada anche nella dimensione politica e legislativa: lo sviluppo sostenibile.

Seppur non esplicitamente nominato, infatti, lo sviluppo sostenibile è l’orizzonte di riferimento di questi interventi al testo della Legge fondamentale, che si arricchisce così di un riferimento ad ambiente, biodiversità e future generazioni (art. 9, c. 3) e sancisce un ulteriore vincolo – la preminenza della tutela dell’ambiente, accanto all’attenzione a società e salute – alla “iniziativa economica privata”. Ad essere sottintesi sono, in questo caso, i tre pilastri alla base della teoria dello sviluppo sostenibile, il quale si realizza se vi è un equo bilanciamento tra profitto economico, garanzie sociali e salute ambientale.

Infatti, come ben descritto dall’economista Kate Raworth nei suoi studi, poi confluiti nel best-seller “L’economia della ciambella” (pubblicato in Italia da Edizioni Ambiente nel 2017), l’unica configurazione sostenibile dell’economia umana nel XXI secolo può essere quella che si sviluppa all’interno di uno ‘spazio sicuro e giusto’ nel quale le dimensioni economica, sociale e ambientale siano equamente bilanciate, consentendo di mettere finalmente in atto quel genere di sviluppo – delineato, nell’ormai lontano 1987, nel famoso Rapporto Brundtland – che «soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità che le future generazioni soddisfino i propri».

Tra i principali promotori di questa riforma, salutata con soddisfazione da molti, ma anche alquanto criticata, vi è il professor Enrico Giovannini, fondatore e a lungo portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASViS) e, dal 2021, ministro delle Infrastrutture e della mobilità sostenibili (MIMS) nel governo presieduto da Mario Draghi. In L’utopia sostenibile, volume pubblicato nel 2018 (Laterza), Giovannini avanzava, tra diverse altre, la seguente proposta: «Aggiungere il seguente comma all’articolo 9 [della Costituzione]: “Tutela l’ambiente e promuove le altre condizioni di uno sviluppo sostenibile anche nell’interesse delle future generazioni”», commentandola con la seguente motivazione: «Un riferimento così esplicito al concetto di sviluppo sostenibile imporrebbe l’obbligo di prendere in considerazione tutte le dimensioni di quest’ultimo».

L’8 febbraio, la legge costituzionale avente per oggetto la riforma dei due articoli è stata approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati con una larghissima maggioranza (468 a favore, 6 contrari, una astensione), dopo aver ottenuto, pochi mesi prima, l’approvazione definitiva anche dal Senato.

Si tratta, secondo i fautori di questa riforma, di un importante passo avanti in materia di tutela ambientale e in vista dell’allineamento dell’Italia con gli ambiziosi obiettivi ‘verdi’ adottati recentemente dall’Unione Europea. Il concetto di sviluppo sostenibile, come abbiamo accennato, seppur di non recente formulazione, solo da pochi viene riconosciuto ufficialmente – peraltro ancora con timidezza –come principio guida della politica, della legislazione e dell’economia. Il maggiore attrito si registra proprio in relazione a quest’ultima dimensione: che il modello di sviluppo dominante, il neoliberismo, sia profondamente insostenibile è ormai un’evidenza inopinabile, e tuttavia abbandonarlo, o anche solamente metterne in discussione gli assiomi, è ancora difficile.

Ma questa riforma costituzionale pone il nostro Paese nella direzione giusta, riconoscendo, all’interno del testo che rappresenta la massima espressione del diritto italiano, una serie di principi che aleggiano da tempo soprattutto nella società civile, ma che si ritrovano anche nella giurisprudenza, la quale – specie negli interventi della Corte costituzionale – si è dimostrata, in varie occasioni, più lungimirante della politica.

Abbiamo avuto modo di discutere di questa importante innovazione, delle sue implicazioni future e dell’orizzonte di sostenibilità del nostro Paese con il ministro Enrico Giovannini e con il giudice della Corte costituzionale Giulio Prosperetti, professore emerito di diritto del lavoro, eletto alla Consulta nel 2015.

L'intervista completa al ministro Enrico Giovannini e al giudice Giulio Prosperetti. Servizio di Sofia Belardinelli, montaggio di Barbara Paknazar

Ministro, lei si è a lungo impegnato per la divulgazione del concetto di sviluppo sostenibile, e della visione del mondo ad esso collegata, nella società italiana. Come giudica, oggi, una riforma grazie alla quale, per la prima volta, la tutela dell’ambiente e l’attenzione alle future generazioni vengono riconosciute dalla Costituzione? Quali azioni andranno intraprese, in futuro, per dare seguito a questo importante avanzamento?

Enrico Giovannini: «Si tratta di un intervento di grande importanza, che consolida una strada già intrapresa in diverse occasioni dalla Corte costituzionale, la quale aveva già riconosciuto all’ambiente un valore in sé tramite l’estensione del concetto di paesaggio, già presente in Costituzione. La più grande innovazione riguarda invece l’introduzione del riferimento alle future generazioni: quasi tutti i Paesi membri dell’Unione europea, infatti, presentano un riferimento all’ambiente nella propria Carta costituzionale, ma soltanto sette tra questi hanno già introdotto il concetto di giustizia intergenerazionale. È una diretta assimilazione della definizione di sviluppo sostenibile contenuta nel Rapporto Brundtland, nella quale il concetto di giustizia intergenerazionale è centrale.

Certo, da un’enunciazione formale come questa alla messa in pratica di tali principi il passo non è breve; d’altronde, bisogna anche riconoscere che una parte della società italiana non ha accolto con favore questa modifica, la quale mette in discussione un certo status quo. La Corte costituzionale, in primo luogo, e il Parlamento avranno il compito di realizzare il difficile bilanciamento tra interessi anche molto diversi tra loro. E tale necessità si manifesterà nel breve periodo: basti pensare ai moltissimi interventi finalizzati alla transizione energetica che saranno avviati nell’ambito del PNRR».

Per quale motivo, se questo è il quadro teorico, il concetto di ‘sviluppo sostenibile’ non viene espressamente menzionato nei ‘nuovi’ testi degli articoli? Si tratta forse di un passo ancora prematuro?

Enrico Giovannini: «Rileggendo i lavori delle commissioni parlamentari, scopriamo che il lemma ‘sviluppo sostenibile’ è stato espunto dalla versione finale del testo perché è stato ritenuto – non in modo del tutto giustificato, a mio parere – troppo legato a un particolare momento storico, e quindi un concetto transeunte, che in futuro potrebbe dover essere modificato. Al di là della presenza esplicita del termine, bisogna però riconoscere che il concetto permea la riforma: in particolare l’intervento sull’articolo 41 – nel quale non solo si riconosce la necessità che l’attività economica non si svolga a discapito della salute e dell’ambiente, ma si afferma che l’attività economica stessa può esplicitamente perseguire anche una finalità ambientale – riprende in toto la visione olistica propria dello sviluppo sostenibile, introducendo la tensione, tipica di questa prospettiva, tra dimensione economica, sociale e ambientale. Nonostante sia ancora piuttosto diffusa l’idea che l’attività economica non vada in alcun modo ostacolata, e che anzi, nel conflitto tra interessi diversi, essa debba avere la preminenza, questa riforma evidenzia proprio la necessità che gli operatori economici privati evitino il conflitto tra interesse economico e ambiente ex ante, e non solo dopo che il conflitto è emerso, intervenendo per correggere le cosiddette ‘esternalità’. Lo sviluppo sostenibile prevede esattamente questo equo bilanciamento».

Professor Prosperetti, questa riforma del testo costituzionale è un momento importante anche per il nostro stato di diritto: infatti, è la prima volta nella storia repubblicana dell’Italia che viene apportata una modifica ad uno dei Principi Fondamentali, cioè ad uno dei primi dodici articoli della Costituzione. Cosa significa questo per la storia del diritto italiano?

Giulio Prosperetti: «Il cambiamento che ritengo più significativo è il riconoscimento della necessità di tutelare le future generazioni. Fino a pochi decenni fa, questo tema era completamente assente dal discorso pubblico: il fatto che ora faccia parte della Costituzione di più di uno Stato segna un deciso avanzamento culturale in tal senso. Questo ha molteplici risvolti dal punto di vista costituzionale, perché dobbiamo tenere presente che non esiste problema che non riguardi le future generazioni. Tale principio, infatti, non si applica soltanto in riferimento alla vivibilità dell’ambiente futuro, ma ha un’incredibile portata espansiva; la sua introduzione nella Carta costituzionale impone al parlamento il dovere di agire in vista della tutela non soltanto del presente, ma anche del futuro».

Alcune delle critiche che sono state mosse contro questa riforma presuppongono un approccio che potremmo definire ‘economicistico’ – che, cioè, dà per assunta la maggior rilevanza della dimensione economica su quelle ambientale e sociale. Quali argomenti si possono opporre a queste contestazioni?

Giulio Prosperetti: «Tra i maggiori cambiamenti apportati da questa modifica vi è una decisa estensione del concetto di salute. Il fatto che l’articolo 41, nella sua nuova formulazione, istituisca un diretto legame tra salute umana e ambiente supera ampiamente la previsione dell’articolo 32 della Costituzione, nel quale ci si riferiva alla salute solo nei termini della salute individuale, della garanzia di accesso alle cure mediche. Questa estensione renderà più difficile il bilanciamento tra ambiente ed economia. I grandi impianti industriali costruiti, nei decenni passati, in luoghi che avevano un grande valore ambientale causano ancora oggi accese discussioni, perché in molti casi la tutela di lavoro e ambiente sembrano escludersi vicendevolmente. Mi sembra, tuttavia, che oggi sia sempre più diffusa la consapevolezza che gli investimenti sull’ambiente possano rivelarsi vantaggiosi anche economicamente».

Enrico Giovannini: «L’introduzione di una seria legislazione ambientale anche nel contesto italiano è merito, in primo luogo, delle decisioni prese in sede europea. La ricezione di questa regolamentazione implica di adottare anche una serie di principi, tra cui il principio del Do not significant harm, cioè di non danneggiare l’ambiente in modo significativo e irreversibile. Ciò pone, necessariamente, dei limiti. Oggi, grazie alle soluzioni tecnologiche, possiamo ridurre il danno senza necessariamente compiere grandissime rinunce, tramite l’adozione di soluzioni alternative.

La vera fatica sarà non tanto pratica, quanto teorica: quel che l’adozione dei principi dello sviluppo sostenibile richiede è il ritorno a un capitalismo simile a quello delle origini, ben diverso dalla teoria economica affermatasi negli ultimi decenni. In tal senso, tenere in considerazione, nelle valutazioni economiche, anche l’impatto ambientale e sociale delle attività umane non solo è giusto in astratto, ma è anche urgente nella pratica: le evidenze scientifiche, infatti, hanno chiarito in modo inequivocabile che siamo ormai molto vicini ad un punto di non ritorno nella trasformazione della biosfera, e che, anzi, in alcuni casi abbiamo addirittura superato questi limiti. Tutte le decisioni che verranno prese in futuro dovranno avere chiaro tale quadro di riferimento. È proprio questo il cambiamento che la recente modifica della Costituzione ci impone».

Quello che sembra delinearsi all’orizzonte è un cambiamento epocale non soltanto dal punto di vista politico, ma anche – più in generale – sul piano culturale.

Enrico Giovannini: «Quando lavoravo in Europa, pochi anni fa, venni rimbrottato: lo sviluppo sostenibile non sarebbe mai diventato il fulcro delle politiche europee; quindi, era inutile insistere su questo tema. Gli eventi degli ultimi anni, invece, mi hanno dato ragione: quei concetti si sono dimostrati fondamentali non sono in un’ottica di lungo periodo, ma anche in risposta agli shock che stiamo vivendo. Finalmente si è iniziato a pensare, anche in ambito politico, in termini di resilienza trasformativa.

Tutto questo indica che, benché la strada che porta ad una vera penetrazione di questa nuova forma mentis sia ancora in salita, sono sempre più numerosi i segnali che puntano nella giusta direzione, sia a livello nazionale che internazionale. Ciò significa che, finalmente, abbiamo iniziato non solo a cercare soluzioni alternative, ma a porci anche domande diverse rispetto a quanto si faceva solo pochi anni fa».

A proposito di futuro, quali sono, ad oggi, le frecce al nostro arco? In altri termini, su quali strumenti dobbiamo puntare per far sì che questo ‘cambiamento trasformativo’ si realizzi nel minor tempo possibile?

Giulio Prosperetti: «Trattandosi di una sfida in primo luogo culturale, l’istituzione scolastica svolge certamente un ruolo di primo piano. La speranza è che, man mano che questi nuovi concetti si sedimenteranno nel sentire collettivo, divenendo sapere comune, diverranno principi giuridificati, e come tali arriveranno a permeare non solo le sentenze e la pratica giurisprudenziale, ma andranno a costituire anche nuovi diritti».

Enrico Giovannini: «Anche in ambito scolastico il fermento cresce. Pochi anni fa è stato reintrodotto l’insegnamento dell’educazione civica; dal 2015 ad oggi, gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 dell’ONU sono entrati sempre più spesso nei libri di testo adottati da ogni ordine scolastico; anche nelle università l’attenzione ai temi legati alla sostenibilità è cresciuta esponenzialmente (pensiamo alla Rete delle Università Sostenibili), ed è in costante crescita l’impegno per formare i futuri professionisti alla luce di questi principi.

Credo però che il cambiamento possa essere accelerato dalle sentenze della Corte costituzionale, e quindi auspico che il prima possibile vi siano casi concreti di conflitti tra opinioni legittime in cui la Corte avrà modo di prendere decisioni e adottare pronunce che rafforzino la nostra capacità di comprendere come bilanciare in modo ottimale queste diverse esigenze. D’altronde, ricordiamo che la Corte costituzionale, nel tempo, ha fatto la storia del Paese non solo da un punto di vista giuridico, ma anche sul piano culturale».

Giulio Prosperetti: «Dobbiamo ricordare, d’altro canto, che il progresso del diritto cammina sulle gambe degli avvocati: dovremo, perciò, anche alla ‘fantasia’ di coloro che promuoveranno le questioni legate a questi temi il raggiungimento di futuri traguardi».

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