UNIVERSITÀ E SCUOLA

Università e calo delle iscrizioni: non si esce dalla crisi solo con le parole

Un intervento del rettore dell'università di Padova sul fenomeno del calo delle immatricolazioni denunciato da un rapporto del Consiglio universitario nazionale: tra la generale disattenzione e lontano dagli occhi dell'opinione pubblica, da ormai dieci anni si "disinveste" in conoscenza. Ma è possibile provare ad andare controcorrente.

 

Lo scalpore suscitato dalla pubblicazione del documento del Consiglio universitario nazionale (e in particolare il dato relativo al crollo delle immatricolazioni nelle università italiane) è indubbiamente motivato dall’importanza strategica che l’università assume nella vita di ogni Paese, e che l’Italia colpevolmente trascura da ormai troppo tempo. Ma al tempo stesso segnala quanta poca attenzione ci sia verso il problema: gran parte delle cifre riportate nel dossier, e che hanno attirato titoli e commenti a profusione, erano note da tempo agli addetti ai lavori; il problema evidentemente è che altrettanto non vale per l’opinione pubblica, ma ancor più per una politica che pur avrebbe ragione di meditare sul quadro prospettato. Perché, come sostengono tutti gli esperti e come va ribadendo da anni l’Unione Europea in documenti sottoscritti anche dall’Italia, senza investimenti adeguati nell’università non possono esserci prospettive reali e concrete di sviluppo duraturo. Il che dovrebbe essere evidente in particolare per un Paese come il nostro, che da una quindicina d’anni non cresce, e che vede anzi accentuarsi il divario nei confronti dei principali competitor internazionali.

Dalla lettura del documento del Cun, ci sono tre questioni essenziali su cui vorrei comunque richiamare l’attenzione. La prima riguarda il vergognoso disinvestimento attuato dai governi nei confronti del sistema universitario non in questi mesi, ma almeno negli ultimi dieci anni; a partire dal taglio del fondo di finanziamento ordinario, che serve agli atenei per garantire l’ordinario funzionamento della macchina. Ci sono stati sicuramente, in alcuni casi specifici, esempi di cattiva gestione delle risorse; ma non si può farne pagare il prezzo all’intero sistema, e in particolare alle sedi virtuose che hanno sempre proposto una gestione oculata ed attenta. Vorrei anche sottolineare che, se indubbiamente colpisce il dato del calo delle immatricolazioni, altrettanta attenzione meriterebbe quello del calo dei docenti, arrivato al 22 per cento nel giro di soli sei anni, con un rapporto docente-studente di gran lunga peggiore rispetto alla media Ocse, e oltretutto destinato ad aggravarsi malgrado la diminuzione delle nuove iscrizioni. È  certamente un effetto indotto dalla legge Tremonti, che ha costretto molti docenti a intraprendere la strada dell’esodo, facendo così venir meno al sistema universitario un inestimabile patrimonio di esperienza e professionalità.

Un secondo punto riguarda la vera e propria campagna di discredito posta in atto da qualche anno a questa parte nei confronti dell’università da parte di politici che, visto il ruolo ricoperto, avrebbero dovuto manifestare ben altro senso di responsabilità. Tacciare gli atenei come baluardi della sopravvivenza del vecchio, presentandoli come realtà presidiate da una remota logica baronale, significa non solo non conoscere la realtà di cui si sta parlando, ma anche buttare a mare quello che rappresenta un patrimonio fondamentale per il Paese, attraverso ingiustificate generalizzazioni: con il risultato collaterale di alimentare nelle famiglie l’idea che investire per mandare i figli all’università sia una spesa improduttiva e immotivata. E qui vengo al terzo e ultimo punto: il netto calo delle immatricolazioni è anche sicuramente frutto della pesante crisi economica che specie negli ultimi due anni ha colpito i bilanci familiari, obbligando molti italiani a un surplus di attenzione su come gestire le sempre più scarse risorse a disposizione. L’università è certamente costosa – soprattutto se i governi non garantiscono borse di studio e alloggi adeguati – e anche questo è un punto su cui la politica è chiamata a riflettere, senza farne motivo di propaganda elettorale gratuita in queste settimane, per poi tornare dopo il voto alle vecchie e nocive logiche degli ultimi anni.

Vorrei chiudere con una rapida riflessione sull’università di Padova. Essere riusciti anche quest’anno a registrare un aumento delle immatricolazioni, in forte controtendenza rispetto ai dati del dossier del Cun, è la prova più evidente che la nostra sede è ancora molto attrattiva, e che i sacrifici fatti dalle famiglie per mandarvi i loro ragazzi sono destinati a fruttare. Questo è merito di una serie di iniziative di cui le principali e più autorevoli graduatorie esterne ci danno atto: dalla qualità della didattica ai servizi per gli studenti, dalla ricerca all’internazionalizzazione. Credo sia giusto darne atto alle migliaia di persone che a vario titolo, dal personale docente a quello tecnico-amministrativo, si prodigano ogni giorno per mantenere all’ateneo patavino la qualità e il prestigio derivantigli da otto secoli di impegno accademico che meriterebbe ben altra attenzione da parte di chi è chiamato a gestire la cosa pubblica.

Giuseppe Zaccaria

 

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