MONDO SALUTE

Passare la notte sui libri non rende più produttivi

Gli anni trascorsi all’università rappresentano una tappa cruciale per lo sviluppo personale e lavorativo, nonché per l’ingresso nella vita adulta, di coloro che decidono di continuare gli studi dopo il diploma scolastico. Durante il primo anno di università ci si ritrova a cambiare stile di vita da molti punti di vista: ci si scopre infatti improvvisamente liberi di gestire il tempo e il piano di studi come mai prima. Le responsabilità che ne derivano sottopongono le matricole a nuove sfide comportamentali, cognitive e sociali. La ricerca del giusto equilibrio tra impegni di studio, vita sociale e incombenze di ogni giorno può non essere facile né immediata e rischia perciò di ripercuotersi negativamente sul benessere fisico e mentale degli studenti, che tendono talvolta a sacrificare il loro riposo notturno per concentrarsi anima e corpo sugli impegni quotidiani dentro e fuori le aule universitarie.

La crescente tendenza degli studenti universitari a trascurare il riposo notturno è da alcuni anni oggetto di studio nella ricerca in medicina, neurobiologia e psicologia, anche perché esistono preoccupanti evidenze che questa cattiva abitudine sia positivamente correlata all’aumento dei casi di depressione, obesità e incidenti alla guida. La mancanza di sonno impoverisce inoltre il funzionamento cognitivo, e se pensiamo che ne valga la pena pur di passare gli esami ed eccellere negli studi, ci sbagliamo di grosso. Il sonno è infatti fondamentale per consolidare i ricordi acquisiti durante il giorno, costruire la memoria a lungo termine e mantenere buone capacità di concentrazione: è insomma fondamentale per consentire l’apprendimento.

Che trascurare il sonno non giovi alla carriera universitaria è stato dimostrato anche da un gruppo di ricerca dell’università Carnegie Mellon in uno studio recentemente pubblicato su PNAS, in cui sono stati valutati per la prima volta gli effetti della mancanza di sonno sul rendimento accademico di alcuni studenti del college. Gli autori di questo lavoro di ricerca hanno monitorato le abitudini notturne di 600 matricole presso tre diversi atenei statunitensi durante il primo mese di un semestre universitario e poi hanno valutato, alla fine del ciclo accademico in questione, la media dei voti dei partecipanti secondo il sistema GPA, che valuta il rendimento su una scala da 0 a 4.

A conferire valore allo studio è stata la scelta degli autori di non rilevare le abitudini di sonno dei partecipanti tramite autovalutazioni soggettive raccolte per mezzo di questionari, bensì avvalendosi del metodo più oggettivo dell’actigrafia, che attraverso l’uso di appositi dispositivi da indossare al polso con continuità, permette di monitorare nel tempo la quantità delle ore di sonno di una persona. In questo caso i dispositivi utilizzati erano dei comunissimi Fitbit che ogni partecipante ha dovuto tenere al polso per il primo mese di un semestre universitario.

I risultati dimostrano che la mancanza di sonno tende a compromettere le capacità di apprendimento degli studenti universitari. Infatti, i voti dei ragazzi e delle ragazze che dormivano di meno all’inizio del semestre erano in media più bassi rispetto a quelli dei loro compagni e compagne di corso che solevano riposare almeno 6 ore a notte. Gli autori hanno calcolato, in particolare, che ogni ora di sonno persa corrispondeva a un calo di 0,07 punti nella media dei voti alla fine del semestre.

La media di sonno notturno tra i partecipanti all’esperimento era di 6 ore e 37 minuti a notte, con una più alta percentuale delle ore di riposo nel fine settimana rispetto ai giorni feriali. Come osservano gli autori dello studio, la media in questione è decisamente inferiore rispetto alle linee guida tracciate dalla National sleep foundation degli Stati Uniti, secondo cui gli adolescenti dovrebbero dormire tra le 8 e le 10 ore a notte. Solo il 5% dei volontari che hanno partecipato allo studio rispettava la quantità di ore di sonno consigliata. Il 21% di essi riposava addirittura meno di 6 ore a notte.

I ricercatori hanno inoltre raggruppato i partecipanti in base alla loro media di ore di sonno notturno per evidenziare, in particolare, le differenze di rendimento alla fine del semestre tra gli studenti che dormivano più di 7 ore a notte, quelli che dormivano tra le 6 e le 7 ore e quelli che riposavano meno di 6 ore a notte. Mentre nei primi due gruppi la media dei voti alla fine del semestre era rispettivamente di 3,51 e 3,48 punti GPA, il gruppo di studenti che riposava meno di 6 ore a notte mostrava una media GPA significativamente inferiore, ovvero di 3,25 punti. I ricercatori non hanno rilevato altri fattori che interferissero con i risultati in questione: il genere, l’età, l’etnia, le condizioni economiche e il carico del materiale di studio dei partecipanti non intervenivano nella correlazione che invece sussisteva tra qualità del sonno e rendimento accademico.

Questi risultati suggeriscono che rilevare precocemente le abitudini notturne degli studenti possa aiutare a prevedere il loro rendimento accademico di fine semestre e lasciano quindi intravedere l’utilità di interventi finalizzati al miglioramento della qualità del sonno mirati agli studenti universitari da attuarsi a inizio anno, come la terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia o la diffusione di campagne di sensibilizzazione sul tema.

Ricerche future potrebbero cercare di approfondire alcuni parametri del sonno non rilevabili attraverso l’actografia, come la sonnolenza diurna – per capire se e quando il riposo negato causi sonnolenza diurna e se questa abbia conseguenze sul rendimento scolastico – o la percentuale della fase REM nella sessione di sonno complessiva  – per scoprire se una scarsa percentuale di sonno REM riduca la motivazione e il controllo inibitorio (la capacità di restare concentrati ignorando stimoli esterni distraenti) negli studenti universitari.

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