SCIENZA E RICERCA

In Salute. Il bodybuilding tra rischi, controlli e maggiore informazione

La notizia è di quelle che non passano inosservate: più di 20.000 praticanti di bodybuilding presi in esame, 121 decessi, il 38% per morte cardiaca improvvisa. Con un rischio più elevato di oltre cinque volte tra i professionisti rispetto ai dilettanti. Ripreso da molti giornali nazionali ed esteri, lo studio – condotto da un gruppo di ricerca internazionale e coordinato dall’università di Padova – è stato presentato in questi giorni al congresso annuale dell’American College of Sports Medicine 2025 da Marco Vecchiato, medico dello sport e primo autore dell’articolo pubblicato sull’European Heart Journal

“Negli ultimi anni – sottolinea Vecchiato – abbiamo rilevato un numero sempre più frequente di morti improvvise tra i praticanti di bodybuilding e fitness influencers in questo settore. Abbiamo quindi deciso per la prima volta di provare a indagare la mortalità in modo robusto e sistematico: considerando una coorte internazionale di culturisti maschi, in un periodo di tempo limitato, tramite fonti definite abbiamo cercato di individuare i decessi e le cause del decesso”.

I risultati dello studio

Per raccogliere i dati i ricercatori hanno considerato due fonti: un database non ufficiale chiamato MuscleMemory curato da Tim Fogarty, un appassionato americano, e il sito ufficiale della IFBB (International Fitness and Bodybuilding Federation). Combinando i due archivi hanno individuato 20.286 atleti maschi che hanno gareggiato in eventi IFBB tra il 2005 e il 2020. Successivamente, attraverso una ricerca online che ha associato al nome dell’atleta alcune parole chiave in cinque lingue diverse, sono risaliti a 121 decessi. 

I ricercatori hanno poi indagato le cause del decesso: su 26 bodybuilder non si possedevano dati (not reported 21,5%); 22 persone invece erano decedute per morte non improvvisa come tumori, problemi renali o complicanze da Covid-19 (non sudden death 18,2%); 18 per morte traumatica improvvisa che avviene nel caso di incidenti stradali, suicidi, omicidi (traumatic sudden death 14,9%); infine 55 per morti improvvise non traumatiche (non traumatic sudden death 45,4%). Ebbene, all’interno di quest’ultimo gruppo, accanto a chi era scomparso per ictus, overdose e altre cause, ben 46 culturisti sono deceduti per morte cardiaca improvvisa, cioè il 38% del totale, con un'età media di 45 anni. 

Marco Vecchiato illustra lo studio pubblicato pubblicato sull’European Heart Journal. Riprese di Nicola Borasio, montaggio di Monica Panetto

Per cinque di loro erano disponibili anche i referti autoptici: quattro atleti presentavano una ipertrofia ventricolare sinistra severa cioè un ispessimento anomalo delle pareti, e cardiomegalia, dunque l’aumento delle dimensioni del cuore; due di loro avevano anche una malattia coronarica e uno mostrava una cicatrice ventricolare sinistra non ischemica. Un quinto referto incompleto riportava solo la presenza di malattia coronarica come causa di morte. Ancora, tre dei cinque referti tossicologici disponibili hanno evidenziato l'assunzione di steroidi anabolizzanti-androgeni. Su almeno altri 16 atleti sono state raccolte testimonianze dirette o storie personali di abuso di sostanze per il miglioramento delle prestazioni.

Pur sottolineando anche i limiti dello studio (che i ricercatori riferiscono in modo puntuale nell’articolo), Vecchiato mette in evidenza un rischio di morte significativamente elevato tra i culturisti di sesso maschile. “Il dato più rilevante – aggiunge Andrea Ermolao, direttore dell’unità operativa complessa di medicina dello sport dell’azienda ospedale-università di Padova che firma il paper – è l’elevato rischio di morte cardiaca improvvisa nei bodybuilder professionisti, che risulta oltre cinque volte superiore rispetto agli atleti dilettanti”. Ciò suggerisce che proprio il livello di competizione potrebbe contribuire ad aumentare il rischio.

Una disciplina fondata su canoni estetici

“Il bodybuilding è una disciplina sportiva che prevede delle competizioni – continua Vecchiato –. Gli atleti vengono valutati sulla base di canoni estetici e i fattori di cui si tiene conto sono vari: si considerano la simmetria del corpo, i volumi, la definizione e il tono muscolari. L'atleta deve arrivare al momento dell'evento nella forma migliore possibile, ma questo significa spingere il corpo a condizioni limite: deve aumentare al massimo la massa magra, il muscolo, riducendo al minimo la massa grassa, senza rischiare di compromettere i volumi”. Il bodybuilding, dunque, va oltre la definizione tradizionale di sport agonistico, poiché mira alla modifica estetica del corpo, e il momento dell’esibizione non coincide con il massimo sforzo fisico. 

Vecchiato spiega che esistono diversi metodi per raggiungere questi risultati. L’allenamento di forza innanzitutto è il cardine della disciplina, poiché stimola l’ipertrofia, cioè l’aumento di volume dei muscoli. È fondamentale inoltre seguire una dieta molto controllata, ad alto contenuto proteico per preservare la massa muscolare, e a basso contenuto lipidico per favorire la perdita di tessuto adiposo. Si alternano cicli con regimi di restrizione o surplus calorici: la fase di cutting prevede una dieta ipocalorica mirata alla riduzione del grasso corporeo; il bulking, invece, comporta un aumento dell’apporto calorico per favorire la crescita muscolare.

Per raggiungere e mantenere fisici altamente muscolosi e definiti c’è chi fa ricorso anche a metodi farmacologici. “Si va da pratiche come l’abuso di diuretici prima della gara, per svuotarsi dei liquidi, fino all’utilizzo delle cosiddette performance enhancing drugs (Ped), cioè sostanze dopanti. I più noti sono gli steroidi anabolizzanti”.

Fattori di rischio 

Il regime seguito da chi pratica body building, per essere nelle migliori condizioni possibili per le competizioni, può essere rischioso per la salute, come hanno  già messo in evidenza alcuni studi. “Il cambio costante di peso durante l’anno – spiega Vecchiato – stressa l’apparato cardiovascolare in modo significativo. L’esercizio estremo influisce sulla struttura del cuore  e ne crea un rimodellamento, dando luogo al cosiddetto cuore d’atleta. Entro certi limiti questo rientra in un processo fisiologico di adattamento allo sforzo. Nei soggetti che praticano body building, invece, si rileva un ingrandimento significativo della massa cardiaca e dello spessore delle pareti, che normalmente non si nota negli atleti sani”. Uno studio ha analizzato le autopsie di bodybuilder e ha dimostrato che la massa cardiaca media è più pesante del 73,7% rispetto ai valori di riferimento, con uno spessore del miocardio (il muscolo cardiaco) del ventricolo sinistro superiore del 125% rispetto alla norma.

“Anche l’abuso di sostanze come l’ormone della crescita e gli anabolizzanti può causare l’ingrandimento della massa cardiaca e l’ispessimento delle pareti. Ma può determinare pure la formazione di aree di fibrosi”. Questa condizione altera la struttura del miocardio e può compromettere la conduzione dello stimolo elettrico, aumentando il rischio di aritmie e dunque di morte cardiaca improvvisa. “L’uso di sostanze  può comportare poi un certo rischio di aterosclerosi, in quanto può favorire la formazione di placche nelle coronarie”. 

Il bodybuilding può avere conseguenze negative non solo sul cuore. L’assunzione elevata di proteine, combinata con un allenamento intenso, la perdita di peso e la disidratazione, frequentemente indotta dall’uso di diuretici, può compromettere la funzionalità renale. Inoltre, l'uso di steroidi anabolizzanti androgeni è stato collegato allo sviluppo di malattie renali acute e croniche.

Come si è visto poi circa il 15% dei decessi è stato classificato come morte traumatica improvvisa, dunque incidenti d'auto, suicidi, omicidi e overdose. “I risultati – evidenzia Vecchiato – sottolineano la necessità di affrontare anche l'impatto psicologico della cultura del bodybuilding. Questi problemi di salute mentale, a volte, peggiorano con l’abuso di sostanze e possono aumentare il rischio di comportamenti impulsivi o autodistruttivi”. La ricerca di un fisico “estremo” e talvolta anche la pressione sociale che ne deriva possono contribuire a creare stress psicologico, insoddisfazione corporea e portare allo sviluppo di disturbi come la dismorfofobia, cioè una preoccupazione eccessiva e ossessiva per difetti fisici, spesso solo percepiti.  

“Lo stile di vita, gli allenamenti ad alta intensità e in alcuni contesti l’uso di sostanze dopanti tendono dunque ad aumentare il rischio di mortalità, soprattutto nei professionisti, più esposti a queste pratiche in modo marcato e continuativo per via della pressione competitiva”.

Una questione di salute pubblica e prevenzione

“I risultati di questo studio – conclude Vecchiato – non intendono lanciare un giudizio sul bodybuilding, ma pongono una questione di salute pubblica e di prevenzione”. 

Un dato aggiuntivo, particolarmente eloquente in questo senso, riguarda i culturisti che hanno partecipato alla finale di Mister Olympia nella categoria Open, dal 2005 al 2020: su 100 atleti partecipanti sette sono morti, di cui cinque per morte cardiaca improvvisa, presunta o confermata.  “Si tratta di una mortalità del 7%, un dato estremamente elevato se confrontato con altri sport. Nello stesso periodo, per esempio, le finali di Coppa del mondo della FIFA o della UEFA Champions League hanno registrato un solo decesso per incidente stradale su un migliaio giocatori, mentre nelle finali NBA non si è verificata alcuna morte”.

Secondo il medico dunque i risultati dello studio forniscono una base scientifica solida per avviare riflessioni e interventi concreti. “Sicuramente è necessario agire in modo più robusto, serrato e consistente sui controlli antidoping. Ora sono scarsi rispetto al numero di atleti e la World Anti-Doping Agency ha già richiamato la Federazione”. Nel 2022 l’Agenzia ha dichiarato la International Federation of Bodybuilding and Fitness non conforme al codice mondiale antidoping, a causa di carenze nell'implementazione di un programma di controlli efficace e della mancanza di risorse sufficienti per lo sviluppo di un programma antidoping in tutte le aree obbligatorie. L’IFFB non ha contestato il provvedimento. 

Vecchiato spiega che in molti Paesi il bodybuilding non viene considerato uno sport e dunque non vengono eseguiti controlli medici su chi lo pratica. “I nostri risultati suggeriscono in secondo luogo l’importanza di uno screening e di una consulenza cardiovascolare proattiva in questa popolazione, anche negli atleti giovani e apparentemente sani. Sulla base di questi dati, le associazioni mediche non possono più ignorare questo problema di salute e dovrebbero collaborare con le rispettive federazioni e i responsabili politici per promuovere una partecipazione più sicura. Soprattutto perché l’approccio di atleti famosi può influenzare anche molte altre persone”. 

Si dovrebbero promuovere poi campagne educative che informino i giovani atleti sui rischi legati all’abuso di sostanze dopanti, e prevedere eventualmente anche lo sviluppo di programmi specifici di sorveglianza sanitaria per tutelarne la salute. “Infine sarebbe utile anche la creazione di un registro ufficiale che dia conto dei decessi e degli eventi avversi gravi che colpiscono questi atleti, al fine di monitorarli in modo sistematico, come già avviene per altri sport, attraverso un archivio consultabile e pubblico”. 

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