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Mancano ormai poche settimane al termine dell’anno scolastico. Se maggio è per molti il periodo in cui si raccolgono i risultati degli sforzi compiuti nei mesi scorsi, per altri è il momento in cui si cerca di sanare qualche lacuna, in una sorta di rush finale. E allora c’è chi è alle prese con la matematica o chi per la prima volta si trova a studiare Kant, con l’obiettivo del tanto agognato sei. L’insegnante scorre il registro, la tensione si fa palpabile. Alla fine lo studente prescelto va alla lavagna, sotto lo sguardo vigile dei compagni che tirano un sospiro di sollievo. Se tutto questo fa parte della normale routine scolastica cui alunni e alunne sono abituati, talvolta il compito può risultare particolarmente gravoso, difficile il rapporto con gli insegnanti e faticose le relazioni con gli altri studenti, al punto da generare un’intensa sensazione di malessere. Di ansia scolastica abbiamo parlato con Maria Cristina Matteucci, professoressa di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’università di Bologna.
Il rifiuto della scuola
“L’ansia scolastica non ha una sua categoria nosologica nel manuale diagnostico dei disturbi mentali (DSM-5) – spiega Maria Cristina Matteucci –, ciò significa che non esiste una diagnosi di ansia scolastica. Può essere associata, tuttavia, ad alcuni disturbi psicologici importanti come l’ansia da separazione, l’ansia sociale o il disturbo di panico. Con il termine si intende sostanzialmente la manifestazione di un disagio caratterizzato da paura e angoscia che compromettono la regolare frequenza delle lezioni da parte del bambino o dell’adolescente e il suo rendimento, fino al totale rifiuto di recarsi a scuola. Proprio per questo si parla spesso di rifiuto della scuola, più che di ansia scolastica. Si tratta di una condizione che riguarda una percentuale compresa fra l'1% e il 5% di bambini e ragazzi in età scolastica, con la stessa prevalenza fra maschi e femmine e una lieve prevalenza in bambini fra i 5 e 10 anni”. Può manifestarsi in particolare durante i passaggi chiave dei cicli scolari, dunque all’inizio della scuola primaria (tra i cinque e i sette anni), della secondaria di primo grado (tra i dieci e gli undici anni) e della secondaria di secondo grado (tra i 13 e i 14 anni).
Matteucci spiega che i diversi disturbi d'ansia hanno ognuno peculiarità specifiche, ma anche tratti comuni, tra cui un’eccessiva, immotivata paura e comportamenti di evitamento rispetto a una minaccia percepita che può essere esterna (un discorso davanti ai compagni, per esempio), o interna (la sensazione che si prova nel disturbo di panico). A volte può trattarsi anche di una minaccia non ben identificabile. “L'ansia scolastica, per esempio, nasce dalla paura, irrazionale e non controllabile, di un giudizio negativo, dunque dal timore di ricevere brutti voti, di non riuscire a superare una verifica, o di non sapersi relazionare con compagni e insegnanti”.
Intervista completa a Maria Cristina Matteucci, professoressa di psicologia dello sviluppo e dell’educazione all’università di Bologna. Montaggio di Barbara Paknazar
I campanelli d’allarme
Si deve ricordare che un adeguato livello di ansia, quando non è paralizzante, bloccante, è un fenomeno normale. “È naturale provare un certo livello di tensione di fronte alle sfide che quotidianamente la vita e la scuola presentano. Tutti gli studenti sono in ansia quando devono affrontare una verifica o un'interrogazione, ma si tratta di una sensazione fisiologica, anzi è un'ansia adattiva perché ci permette di focalizzarci sul compito e di dare il meglio: non ha come conseguenza l'evitamento del compito, bensì induce a mettere tutto il proprio impegno nell’affrontare il compito, la sfida che la giornata, la scuola, la vita ci presentano”.
Matteucci spiega però che se la reazione d’ansia del bambino o della bambina è molto intensa, se compare frequentemente e dura a lungo, nasconde forse qualcosa di diverso da un normale stato emotivo che si può avvertire in determinate circostanze. Come nell'adulto, anche nel bambino o nel ragazzo l’ansia si associa a manifestazioni psicosomatiche: tra le più diffuse il mal di testa, il mal di pancia, la nausea, il vomito, la diarrea, le palpitazioni, la febbre. I bambini in particolare possono avere sintomi comportamentali come pianto, ira, collera, crisi di panico all'ingresso della scuola, difficoltà ad addormentarsi, fino al punto di rifiutarsi di andare a lezione. “Questa condizione ha anche dei riflessi psicologici importanti. Lo studente percepisce un senso di inadeguatezza e disistima, si ritira in sé stesso. La motivazione e l’impegno nell'affrontare le richieste della scuola calano e ciò porta a un drastico peggioramento dei risultati. E questi devono essere dei campanelli d'allarme per i genitori”.
L’importanza della prevenzione
Maria Cristina Matteucci sottolinea che l’ansia scolastica è un disturbo che può essere affrontato e risolto. La condizione emotiva della ragazza o del ragazzo dovrà essere valutata da uno specialista, psicologo o neuropsichiatra, che a seconda dei casi definirà il percorso da seguire. In caso di conclamato disturbo d’ansia è fondamentale intervenire precocemente. La docente sottolinea anche l’importanza di fare prevenzione, dunque di agire sulle cause che potrebbero contribuire a scatenare in un alunno il rifiuto della scuola. “I fattori protettivi possono essere di tipo individuale, familiare e ambientale o di contesto, cioè relativi all'ambiente scolastico”. Per alcuni ragazzi la percezione della propria efficacia e del proprio valore personale coincide con gli esiti della loro prestazione scolastica e questa spesso risponde alle aspettative dei genitori, talora molto elevate. In alcuni casi ciò può rappresentare un fattore di rischio.
Rapporti distesi con la famiglia e con gli insegnanti invece, da cui il ragazzo può ricevere sostegno, costituiscono fattori protettivi. “Vorrei sottolineare quanto sia importante la presenza di uno psicologo a scuola – conclude Matteucci –, che possa in qualche modo intercettare un eventuale malessere nello studente e contribuire a creare quel clima positivo in cui i bambini si sentono accolti e sicuri. Uno psicologo, inoltre, può agire anche sulle relazioni tra pari, altro elemento cruciale per il benessere del bambino”.