UNIVERSITÀ E SCUOLA

Università Usa: la precarietà diventa permanente

Per i giovani italiani la carriera accademica è ormai da anni pressoché un miraggio. Ma anche nella terra promessa americana, dove fuggono tanti ricercatori del nostro paese all’inseguimento di un futuro dignitoso, le cose si stanno mettendo al peggio. Nella generalizzata atmosfera di austerità che si respira oggi, per cui in ormai tutti campi l’accento è posto sull’implacabile taglio dei costi - a partire dalle risorse umane - il sistema universitario degli Stati uniti è sempre più dipendente dallo sfruttamento economico dei cosiddetti “adjunct professors”, i professori a contratto. A costoro, che non solo non sono di ruolo ma non hanno quasi nessuna chance di diventarlo, non è dovuto né un salario né un inquadramento contrattuale omogenei, e neppure dei benefit predefiniti o alcuna garanzia sulla sicurezza del posto di lavoro. Per loro c'è soltanto quanto previsto dal contratto, rigorosamente individuale e diverso per ognuno, che firmano al momento dell'assunzione. Il che li rende più appetibili dei colleghi associati o detentori di cattedra per le dirigenze delle università in crisi, o più semplicemente di manica corta.

Dati raccolti su base volontaria dal sito Adjunct Project, che invita i professori a contratto di tutto il paese a condividere informazioni sui propri stipendi, rivelano che, in media, questa categoria di docenti universitari guadagna 2.700 dollari per corso, contro i 167.118 dollari l’anno guadagnati dai professori di ruolo delle università private e i 123.393 dollari dei colleghi delle università pubbliche. Siccome è umanamente impossibile insegnare in più di quattro, cinque corsi a semestre (e in tanti ne tengono meno), questa cifra si traduce in redditi annuali di 20-30.000 dollari l’anno al massimo, almeno per chi svolge questo lavoro a tempo pieno. Una somma nella migliore delle ipotesi pari rispettivamente a un quarto o un quinto di quella dovuta ai colleghi di ruolo. Questa  situazione, che a livello economico di fatto è insostenibile, riguarda un numero sempre maggiore di individui.  Secondo il più recente “Rapporto annuale sullo stato economico della professione” dell’American Association of Univeristy Professors (Aaup), infatti, meno del 24% di docenti universitari è composto da professori assunti e ben il 76% da professori a contratto. 

L’ideatore dell’Adjunct Project, oggi sostenuto anche dalChronicle of Higher Education, è proprio uno di loro. “Ho cominciato a lavorare come professore a contratto circa tre anni fa mentre perseguivo il mio Master in Letteratura Inglese presso la Eastern Kentucky University – dice il trentatreenne Joshua Boldt, che ora tiene corsi di scrittura presso la University of Georgia e collabora da giornalista con numerose testate che si occupano di istruzione – Di recente però ho deciso di ridurre la mia attività di insegnamento visto che guadagno di più a scrivere”. Considerato quanto è redditizio il giornalismo oggi, la sua scelta la dice tutta sulle condizioni in cui versa il settore accademico americano. E Boldt si può considerare tra i fortunati. l'University of Georgia gli ha fatto un contratto annuale da 32.000 dollari: approssimativamente il doppio di quello che guadagnava nella Eastern Kentucky University, anche se l’assicurazione sanitaria deve continuare a pagarsela da solo. 

Una condizione di per sé difficile, ma che si fa ancora più insopportabile se si considera che questa strada non porta da nessuna parte a livello professionale.  “L’idea che molti giovani hanno è di rimanere a contratto per un paio d’anni prima di essere assunti per una carriera accademica vera e propria – spiega Boldt – in realtà si finisce spesso per insegnare per 30 anni nello stesso posto senza mai ottenere un aumento o una promozione, perché le università non assumono quasi mai i propri adjunct”. 

Se questo trend è cominciato già negli anni Settanta, non c’è dubbio che sia di molto accelerato nell’ultimo decennio e in particolare durante la recessione degli anni scorsi. “Si tratta in parte di una reazione al taglio dei budget, con le università sia pubbliche sia private che hanno scelto di ridurre drasticamente i costi dell’insegnamento” afferma John Curtis, Direttore per la ricerca presso l’Aaup e tra gli autori del rapporto annuale pubblicato dall’associazione. Una scelta voluta e non necessariamente forzata dalle circostanze. Tant’è, dice Curtis, che il personale amministrativo universitario è andato invece aumentando. Così come sono andati aumentando gli stipendi delle massime dirigenze universitarie, non solo nei grandi istituti privati ma anche in quelli pubblici. Dove un numero crescente di rettori guadagna oltre un milione di dollari l’anno e dove la paga media (al 2011-2012) era di oltre 440.000 dollari, in crescita del 5% sull’anno precedente. 

A soffrire di questo degrado della professione universitaria è in particolare la qualità dell’insegnamento, che rischia di declinare proprio in un momento storico in cui il prezzo da pagare per frequentare l’università si fa sempre più astronomico. “Per gli studenti diventa molto difficile stabilire un rapporto con docenti che vanno e vengono, che lavorano simultaneamente in diverse università e che non hanno un ufficio da nessuna parte – nota Curtis – E per i professori che vivono nella paura costante di perdere il lavoro, e che quindi vogliono a tutti costi evitare di esporsi, diventa impossibile insegnare in maniera libera, esponendo i giovani all’intera gamma di idee e argomentazioni su un determinato tema”. 

Dato come stanno le cose, il consiglio degli esperti ai giovani è semplice e non molto incoraggiante: studiate se vi piace e, prima di intraprendere un dottorato di ricerca, valutate seriamente come potrete impiegare tale titolo di studio una volta entrati sul mercato del lavoro. Ma non scommettete sulla carriera accademica, che oggi offre davvero poche prospettive, negli Stati Uniti come in Italia. 

Valentina Pasquali

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